(di Viviana Minervini)

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Due condizioni d’illusione opposte: vivere senza amore e vivere di solo amore. La  furia algida di una donna che ha deciso di non cedere mai a nessun uomo, all’eros incandescente di chi ha deciso di dedicare tutta se stessa, per sempre, a quello stesso uomo.

Vive così Armida, nel dramma di Torquato Tasso, il suo amore verso Rinaldo.

La fine, è quella che volle Tasso, con il crollo di questa duplice illusione che finirà per essere devastante per la protagonista e, quindi, con il crollo del palazzo incantato in cui Armida aveva pensato di potersi chiudere con il bel Rinaldo.

Il testo del “La Gerusalemme liberata” ben si è prestato alla sintesi che l’artista bitontino Tommaso Traetta ha fatto tra bel canto italiano e l’opera lirica francese.

Nel 1760, Traetta, all’apice della sua carriera, era maestro di musica a Parma dai Borbone e in particolare della principessa Isabella: protetto dal primo ministro Du Tillot, il compositore bitontino era impegnato ad “accordare” lo stile italiano con quello francese, come si conveniva ad una corte che guardava a Parigi, pur amando il bel canto della tradizione napoletana.
Quando, ad ottobre di quell’anno, Isabella andò sposa a
 Giuseppe II d’Asburgo Lorena, per Traetta si aprì un ingaggio imperiale: il conte Durazzo, direttore generale degli spettacoli a Vienna, gli commissionò il rifacimento “italiano” dell’opera forse più celebre del barocco francese: l’Armide di Quinault-Lully.

La riduzione a festa teatrale della monumentale tragedia in musica (in origine in cinque atti) è dello stesso Durazzo, i versi sono di Giovanni Ambrogio Migliavacca. Il risultato è un capolavoro di sintesi.
A gennaio del 1761, l’antico amore di Armida e Rinaldo, cui nemmeno la magia può dar sollievo, rivive in moderne melodie e con un’orchestrazione suggestiva. E poi, cori e balli contribuiscono al dinamismo scenico. Fu un enorme successo anche a Napoli nel 1763, e a Venezia nel 1767.

L’opera è stata protagonista della quarantesima edizione del Festival della Valle d’Itria a Martina Franca  presso Palazzo Ducale nell’ottica costante della rivalutazione del melodramma settecentesco di scuola napoletana e pugliese.

L’Armida, è stata eseguita varie volte in forma di concerto ma il Festival riscopre come opera lirica in prima assoluta, nei tempi moderni, in una edizione curata dalla musicologa leccese Luisa Cosi e che avrà per protagonista un brillante interprete della scena internazionale, Diego Fasolis.

La rappresentazione dell’Armida è stato uno spettacolo suggestivo, ricco di emozioni e tanto sfarzo, così come lo concepì Tommaso Traetta.

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La regia è stata affidata alla giovane e talentuosa francese Juliette Deschamps.

Le scene sono state firmate da Nelson Willmotte e i costumi da Vanessa Sannino.

Il disegno luci è stato di Francois Menou.

Il miraggio di un recupero di emozioni irripetibili rimane ovviamente tale pur con l’apporto valido degli interpreti che hanno onorato questa ripresa. Roberta Mameli nei panni di Armida, si è difesa con bravura nelle agilità e nella tessitura acuta dei numerosi numeri, con un crescendo di risultati che è andato via via confermandosi con il procedere delle scene.

Rinaldo, Marina Comparato, si è fatta notare all’inizio soprattutto per il lato virtuosistico, senza impressionare per la qualità di emissione sia nel registro grave che in quello sovracuto.

Al loro fianco, giovani talenti come Federica CarnevaleMert Sungu e Leonardo Cortellazzi.

Danzatori Maura Di VietriGiuseppe Insalaco e Filippo Porro, su coreografie di Riccardo Olivier.

Al coro della Filarmonica di Stato “Transilvania” di Cluj-Napoca, diretto dal maestro Cornel Groza accompagnato dall’Orchestra Internazionale d’Italia, sono state affidate ben diciassette arie solistiche.

Foto di Viviana Minervini, tutti i diritti riservati.

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