Premio Lattes Grinzane IX edizione

Haruki Murakami è il vincitore della sezione La Quercia

Roberto Alajmo, Jean Echenoz (Francia), Yewande Omotoso (Sud Africa), Alessandro Perissinotto e Christoph Ransmayr (Austria)

sono i finalisti della sezione Il Germoglio

Da Aosta a Crotone 400 studenti italiani decreteranno sabato 12 ottobre

il vincitore tra i cinque finalisti della sezione Il Germoglio

www.fondazionebottarilattes.it

Cuneo, 13 aprile 2019. Sono stati annunciati i nomi di finalisti e vincitori del Premio Lattes Grinzane 2019, organizzato dalla Fondazione Bottari Lattes e giunto alla IX edizione.

Haruki Murakami (Giappone), edito in Italia da Einaudi (tradotto da Antonietta Pastore e Giorgio Amitrano), è il vincitore della sezione La Quercia, intitolata a Mario Lattes (editore, pittore, scrittore, scomparso nel 2001) e dedicata a un autore internazionale che abbia saputo raccogliere nel corso del tempo condivisi apprezzamenti di critica e di pubblico.

Murakami sarà in Italia venerdì 11 ottobre, per tenere una lectio magistralis (ore 18, Teatro Sociale di Alba), e sabato 12 ottobre, per ricevere il riconoscimento durante la cerimonia di premiazione (ore 16.30, Castello di Grinzane Cavour). Ingresso libero, fino a esaurimento posti.

Roberto Alajmo con L’estate del ’78 (Sellerio), Jean Echenoz (Francia) con Inviata speciale (Adelphi, traduzione di Federica e Lorenza Di Lella), Yewande Omotoso (Sud Africa) con La signora della porta accanto (66thand2nd, traduzione di Natalia Stabilini), Alessandro Perissinotto con Il silenzio della collina (Mondadori) e Christoph Ransmayr (Austria) con Cox o Il corso del tempo (Feltrinelli, traduzione di Margherita Carbonaro) sono i finalisti del Premio Lattes Grinzane IX edizione per la sezione Il Germoglio, il riconoscimento internazionale che fa concorrere insieme autori italiani e stranieri, dedicato ai migliori libri di narrativa pubblicati nell’ultimo anno.

Sabato 12 ottobre i cinque autori saranno in Italia per incontrare pubblico e studenti (ore 10, Fondazione Bottari Lattes a Monforte d’Alba) e per ricevere il riconoscimento durante la cerimonia di premiazione, nel corso della quale sarà proclamato il vincitore, sulla base dei voti degli studenti delle giurie scolastiche (ore 16.30, Castello di Grinzane Cavour). Ingresso libero, fino a esaurimento posti.

«La proposta di quest’anno premia una varietà di esperienze narrative che toccano generi e stili differenti – dalla Francia al Sud Africa, dall’Austria all’Italia – presentando un contrastato e sfaccettato rapporto tra natura e civiltà», commenta la Giuria Tecnica del Premio. «Dal giallo locale che scava nel passato (Perissinotto), al romanzo storico raffinato (Ransmayr), dalla spy story di humor nero (Echenoz), alla memoria familiare (Alajmo), fino ai ritratti femminili sullo sfondo della questione razziale (Omotoso)», spiega la Giuria Tecnica del Premio.

«Diventato autore di culto a livello mondiale, Murakami è lo scrittore che più ha contribuito ad avvicinare il Giappone ai lettori occidentali», spiegano i Giurati nella motivazione. «Fin dagli esordi, alla fine degli anni Settanta, egli esce dalla cornice della tradizione letteraria giapponese creando un suo mondo narrativo originalissimo, tramite un linguaggio nuovo e comunicativo, molto vicino al parlato. La semplicità stilistica è un tramite per affrontare profondi temi esistenziali – il rimpianto per il “perduto”, la ricerca di sé nell’assurdità di un’esistenza alienata, l’attrazione per l’aspetto magico e misterioso, del mondo – e di toccare alcuni tasti dolenti del Giappone: le colpe storiche, le responsabilità politiche del passato e del presente. Caratteristica rilevante dei grandi romanzi di Murakami è la presenza di personaggi che conducono vite ordinarie (in cui l’ampia platea dei lettori immediatamente si identifica, al di là di ogni barriera culturale), ma nel seguito del racconto capita che la loro storia si venga di solito a trovare sospesa tra reale e irreale, coinvolta in eventi magici e inquietanti. Il brusco passaggio dalla realtà al sogno rappresenta pienamente lo smarrimento dell’essere umano contemporaneo di fronte a fenomeni sempre nuovi e incontrollabili. Lo sconfinamento in un universo parallelo tuttavia non è mai una fuga, ma discesa nel profondo di se stessi, alla ricerca di ciò che si cela nei recessi della nostra coscienza».

Finalisti e vincitore sono stati designati e annunciati sabato 13 aprile 2019 a Cuneo, alla sede della Fondazione CRC (ente che collabora e sostiene il Premio per il triennio 2017-2019) dalla Giuria Tecnica del Premio, in un incontro aperto al pubblico condotto dalla giornalista Chiara Pottini. I componenti della Giuria Tecnica sono: il presidente Gian Luigi Beccaria (linguista, critico letterario e saggista), Valter Boggione (docente di letteratura italiana), Vittorio Coletti (linguista e consigliere dell’Accademia della Crusca), Rosario Esposito La Rossa (libraio a Scampia), Giulio Ferroni (critico letterario e studioso della letteratura italiana), Bruno Luverà (giornalista), Alessandro Mari (scrittore ed editor), Romano Montroni (presidente Cepell-Centro per il libro e la lettura), Laura Pariani (scrittrice), Marco Vallora (critico d’arte) e Bruno Ventavoli (critico letterario).

Per i cinque romanzi finalisti della sezione Il Germoglio, la parola passa ora ai giovani: tra aprile e settembre 2019 i cinque libri saranno letti e discussi dai 400 studenti delle 25 Giurie Scolastiche. Ventiquattro giurie sono scelte in modo da coprire tutto il territorio della Penisola: quattro in Piemonte (regione sede del Premio) e almeno una per ciascuna delle altre regioni. A queste si aggiunge la giuria estera a Madrid, presso la Scuola Italiana Statale.

Le Giurie Scolastiche italiane sono: Istituto di Istruzione Superiore “G. Govone” di Alba (Cuneo); Liceo “A. Avogadro” di Biella; Istituto di Istruzione Superiore “Giordano Bruno” di Budrio (Bologna); Liceo “Galanti” di Campobasso; Istituto Omnicomprensivo “Rosselli-Rasetti” di Castiglione del Lago (Perugia); Liceo Classico “Pitagora” di Crotone; Liceo Scientifico Statale “V. Volterra” di Fabriano; Liceo Classico “V. Lanza” di Foggia; Liceo Scientifico “Pacinotti” di La Spezia; Istituto di Istruzione Superiore “Duni-Levi” di Matera; Liceo Artistico Statale “Caravaggio” di Milano; Liceo Scientifico e Linguistico “E. Fermi” di Nuoro; Liceo Statale “G. Marconi” di Pescara; Liceo Classico Statale “G. F. Porporato” di Pinerolo (Torino); Liceo Scientifico “Amedeo di Savoia Duca d’Aosta” di Pistoia; Liceo Classico “M. T. Varrone” di Rieti; Liceo Scientifico “Michelangelo Grigoletti” di Pordenone; Liceo Scientifico Statale “C. Darwin” di Rivoli (Torino); Liceo “F. Filzi” di Rovereto (Trento); Liceo Statale “Francesco De Sanctis” di Salerno; Istituto di Istruzione Superiore “Fardella-Ximenes” di Trapani; Liceo Ginnasio Statale “A. Canova” di Treviso; Istituzione Scolastica di Istruzione Liceale, Tecnica e Professionale di Verrès (Aosta). A loro si aggiunge il Gruppo di Lettura “La Scugnizzeria” di Scampia a Napoli.

Il vincitore della sezione La Quercia ottiene un premio di 10.000 euro. I finalisti della sezione Il Germoglio ricevono un premio di 2.500 euro ciascuno. Al vincitore va un ulteriore premio di 2.500 euro.

Le precedenti edizioni della sezione La Quercia sono state vinte da António Lobo Antunes (2018; Feltrinelli), Ian McEwan (2017; Einaudi), Amos Oz (2016; Feltrinelli), Javier Marías (2015; Einaudi), Martin Amis (2014; Einaudi), Alberto Arbasino (2013; Adelphi), Patrick Modiano (2012; Einaudi e Guanda), Premio Nobel 2014, Enrique Vila-Matas (2011; Feltrinelli).

Negli anni precedenti i vincitori della sezione Il Germoglio sono stati: Yu Hua (Feltrinelli) nel 2018; Laurent Mauvignier (Feltrinelli) nel 2017; Joachim Meyerhoff (Marsilio) nel 2016; Morten Brask (Iperborea) nel 2015; Andrew Sean Greer (Rizzoli) nel 2014; Melania Mazzucco (Einaudi) nel 2013; Romana Petri (Longanesi) nel 2012; Colum McCann (Rizzoli) nel 2011.

Il Premio Lattes Grinzane è organizzato dalla Fondazione Bottari Lattes sotto gli auspici del Centro per il libro e la lettura e con il sostegno di: Mibac, Regione Piemonte, Fondazione CRC (principale sostenitore per il triennio 2017-2019), Fondazione CRT, Banca D’Alba, Città di Cuneo, Comune di Alba, Comune di Grinzane Cavour, Comune di Monforte d’Alba, Cantina Giacomo Conterno, Cantina Terre del Barolo, Enoteca Regionale Piemontese Cavour, Unione di Comuni Colline di Langa e del Barolo, Banor, Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba, Felicin-Ristorante Albergo Dimora Storica, La Ribezza Boutique Hotel, Sebaste – Antica Torroneria Piemontese.

Indicazioni sull’accesso alla lectio magistralis di Haruki Murakami

L’ingresso alla lectio è libero fino a esaurimento posti. La prenotazione non è obbligatoria ma consigliata (0173.789282 eventi@fondazionebottarilattes.it). Per rispetto dei desiderata dell’autore, non sarà possibile scattare fotografie, né realizzare riprese video da parte del pubblico e della stampa.

 

———————————————————————————————————————————–

Haruki Murakami vincitore sezione La Quercia

Premio Lattes Grinzane 2019

Haruki Murakami Premio Lattes Grinzane 2019 Fondazione Bottari Lattes IX edizioneHaruki Murakami è il vincitore del Premio Lattes Grinzane 2019 per la sezione La Quercia, dedicata a Mario Lattes (pittore, scrittore ed editore, scomparso nel 2001).

Haruki Murakami (edito in Italia da Einaudi, tradotto da Antonietta Pastore e Giorgio Amitrano), nato a Kyoto nel 1949 e cresciuto a Kobe, è tra i massimi autori della narrativa mondiale. Pubblicato in oltre cinquanta lingue, è uno scrittore amatissimo dai lettori ed è stato insignito di premi importanti in tutto il mondo. È autore di romanzi, racconti e saggi ed è traduttore in giapponese di autori americani come Francis Scott Fitzgerald, Raymond Carver, Truman Capote, J. D. Salinger, Tim O’Brien, John Irving e Ursula K. Le Guin. Grande appassionato di musica (classica, jazz e rock), negli anni Settanta ha gestito un jazz bar a Tokyo, insieme alla moglie, il Peter Cat (tappezzato di foto di gatti), esperienza preziosa per la sua formazione di scrittore grazie alle storie umane con cui è venuto in contatto.

Fin dal suo primo romanzo, Ascolta la canzone del vento, del 1979, Murakami si è imposto sulla scena letteraria giapponese come uno scrittore di primo piano che non sembrava appartenere alla tradizione nipponica. Gli scenari metropolitani, i riferimenti alla cultura popolare occidentale (da Michel Polnareff ai Beach Boys, dai film di Peckinpah a Jean Seberg), la forma della scrittura, debitrice a Fitzgerald e a Capote più che a Kawabata o Tanizaki, proiettavano la letteratura giapponese in spazi nuovi e inattesi. Tra gli aspetti che hanno contribuito al successo dei suoi romanzi, spiccano il taglio cinematografico, la cura per la descrizione minuziosa, lo stile semplice, minimalista e realistico, che ingloba la presenza di un certo grado di surrealismo e “realismo magico”, situazioni in cui accadono eventi bizzarri o soprannaturali che i personaggi stessi non riescono quasi mai a decifrare completamente.

Motivazione

«Diventato autore di culto a livello mondiale, Murakami è lo scrittore che più ha contribuito ad avvicinare il Giappone ai lettori occidentali. Fin dagli esordi, alla fine degli anni Settanta, egli esce dalla cornice della tradizione letteraria giapponese creando un suo mondo narrativo originalissimo, tramite un linguaggio nuovo e comunicativo, molto vicino al parlato. La semplicità stilistica è un tramite per affrontare profondi temi esistenziali – il rimpianto per il “perduto”, la ricerca di sé nell’assurdità di un’esistenza alienata, l’attrazione per l’aspetto magico e misterioso, del mondo – e di toccare alcuni tasti dolenti del Giappone: le colpe storiche, le responsabilità politiche del passato e del presente. Caratteristica rilevante dei grandi romanzi di Murakami è la presenza di personaggi che conducono vite ordinarie (in cui l’ampia platea dei lettori immediatamente si identifica, al di là di ogni barriera culturale), ma nel seguito del racconto capita che la loro storia si venga di solito a trovare sospesa tra reale e irreale, coinvolta in eventi magici e inquietanti. Il brusco passaggio dalla realtà al sogno rappresenta pienamente lo smarrimento dell’essere umano contemporaneo di fronte a fenomeni sempre nuovi e incontrollabili. Lo sconfinamento in un universo parallelo tuttavia non è mai una fuga, ma discesa nel profondo di se stessi, alla ricerca di ciò che si cela nei recessi della nostra coscienza».

Le precedenti edizioni della sezione La Quercia sono state vinte da: António Lobo Antunes (2018; Feltrinelli), Ian McEwan (2017; Einaudi), Amos Oz (2016; Feltrinelli), Javier Marías (2015; Einaudi), Martin Amis (2014; Einaudi), Alberto Arbasino (2013; Adelphi), Patrick Modiano (2012, Einaudi, Guanda) Premio Nobel 2014, Enrique Vila-Matas (2011; Feltrinelli).

Haruki Murakami

I primi due romanzi di Haruki Murakammi Ascolta la canzone del vento (1979; Einaudi, 2016) e Il Flipper del ’73 (1980; Einaudi, 2016) rientrano tra le poche opere realistiche di Murakami. A partire dal terzo libro, Nel segno della pecora (Longanesi, 1982; Einaudi, 2010), e dal successivo, La fine del mondo e il paese delle meraviglie (1985; Baldini+Castoldi, 2002; Einaudi, 2008), nei suoi libri compaiono elementi surreali che si ritroveranno poi in quasi tutte le opere. È con il quinto romanzo (1987) che Murakami ottiene un grande successo commerciale e di critica: Norwegian wood. Tokyo blues (Feltrinelli, 1993; Einaudi, 2006), che deve il suo nome all’omonima canzone dei Beatles e che vede la luce durante il suo viaggio in Sicilia e a Roma. Segue l’altro successo Dance dance dance (1988; Einaudi, 1996). Nel 1991 Murakami si trasferisce temporaneamente negli Stati Uniti dove diviene ricercatore associato e poi professore associato nell’Università di Princeton. Nel 1992 esce A sud del confine, a ovest del sole (Feltrinelli 2000; Einaudi 2013). Nel luglio del 1993 Murakami si trasferisce a Santa Ana (California), per insegnare all’università William H. Taft. Nel 1994 e nel 1995 vengono pubblicati i tre volumi di L’uccello che girava le viti del mondo (Baldini+Castoldi, 1999; Einaudi, 2007), che gli valgono nel 1996 il prestigioso Premio Yomiuri. Nel 1997 viene pubblicato Underground (Einaudi, 2003), saggio in cui Murakami raccoglie le interviste ai sopravvissuti e ai parenti delle vittime dell’attentato alla metropolitana di Tokyo compiuto con il gas Sarin dalla setta Aum nel 1995, cercando di tracciare un quadro del Giappone contemporaneo. Nel 1999 esce La ragazza dello Sputnik (Einaudi, 2001). Nel 2001 Murakami si trasferisce a Ōiso, prefettura di Kanagawa, dove vive dedicandosi alla scrittura, e alla corsa (ha disputato oltre venti maratone), pubblicando tra gli altri: Kafka sulla spiaggia (2002; Einaudi, 2008); After Dark (2004; Einaudi, 2008); il romanzo in tre libri 1Q84 (2009-2010; Einaudi 2011-2012); il saggio Il mestiere dello scrittore (2015; Einaudi 2017); L’assassinio del commendatore. Libro primo. Idee che affiorano (2018) e L’assassinio del commendatore. Libro secondo. Metafore che si trasformano (2019).

Nel 2006 gli viene conferito il Premio Franz Kafka, in passato già assegnato ad autori del calibro di Philip Roth, Harold Pinter ed Elfriede Jelinek.

Romanzi principali

Nel segno della pecora (Longanesi, 1982; Einaudi, 2010). Un giovane agente pubblicitario inserisce in una newsletter la foto di un gregge. Una pecora, in particolare, suscita l’interesse di un uomo vestito di nero, collaboratore del “Maestro” – un potente politico dal passato torbido – che obbliga il giovane a trovare quell’animale. Accompagnato da una ragazza con orecchie bellissime e dotata di poteri sovrannaturali, e come unico indizio un panorama fotografato, l’agente attraverserà tutto il Giappone sino alla gelida regione dello Hokkaido.

Norwegian Wood. Tokyo Blues (Feltrinelli, 1993; Einaudi, 2006). Il libro più intimo, introspettivo di Murakami, che abbandona le atmosfere oniriche per esplorare il mondo dei sentimenti e della solitudine. Un romanzo sull’adolescenza, sul conflitto tra il desiderio di integrarsi con gli altri per diventare adulti e il bisogno irrinunciabile di essere se stessi. Toru è assalito dal dubbio di aver sbagliato o sbagliare nelle sue scelte di vita e di amore, ma è anche guidato da un personale senso della morale e da un’avversione per tutto ciò che sa di finto e costruito. Non può fare altro che decidere o aspettare che la vita (e la morte) decidano per lui.

Dance Dance Dance (Einaudi, 1996). Proseguimento del romanzo Nel segno della pecora. Il giovane agente pubblicitario, detective suo malgrado, si muove tra cadaveri veri e presunti, tra una Tokyo iperrealistica e notturna, una Sapporo sotto una nevicata perenne e la tranquillità illusoria dell’antica cittadina di Hakone. Accanto a lui c’è una ragazza dai poteri sovrannaturali, ma compaiono anche una receptionist troppo nervosa, un attore dal fascino irresistibile, un poeta con un braccio solo e sei scheletri che, a Honolulu, guardano la televisione. Esiste un collegamento fra tutte queste cose, un senso: l’unico modo per trovarlo è non avere troppa paura e, un passo dopo l’altro, continuare a danzare.

L’uccello che girava le viti del mondo (Baldini+Castoldi, 1999; Einaudi, 2007). In un sobborgo di Tokyo il giovane Okada Toru ha appena lasciato volontariamente il suo lavoro e si dedica alle faccende di casa. Due episodi apparentemente insignificanti rovesciano la sua vita tranquilla: la scomparsa del suo gatto e la telefonata anonima di una donna dalla voce sensuale. Toru si accorgerà presto che oltre al gatto, dovrà cercare la moglie Kumiko. Lo spazio limitato del suo quotidiano diventerà il teatro di una ricerca in cui sogni, ricordi e realtà si confondono e che lo porterà a incontrare personaggi sempre più strani. A poco a poco dovrà risolvere i conflitti della sua vita passata di cui nemmeno sospettava l’esistenza.

La ragazza dello Sputnik (Einaudi, 2001). Sumire è una ragazza impulsiva, disordinata, generosa, con il mito di Kerouac e della scrittura. Myu è una donna matura, sposata, molto ricca e molto bella. Sumire ama Myu come non ha mai amato nessun ragazzo, e Myu parrebbe provare lo stesso sentimento, ma uno schermo invisibile sembra separarla dal sesso, e forse dal mondo. Riusciranno a incontrarsi o si perderanno senza lasciare traccia come lo Sputnik, condannato a vagare nello spazio per sempre? Il narratore è un giovane senza nome, prima studente, poi maestro elementare, innamorato di Sumire innamorata di Myu. Così i destini dei tre protagonisti s’inseguono ma non si congiungono mai, simili a satelliti alla deriva per l’eternità.

Kafka sulla spiaggia (Einaudi, 2008). Un ragazzo di quindici anni, maturo e determinato come un adulto, e un vecchio con l’ingenuità e il candore di un bambino, si allontanano dallo stesso quartiere di Tokyo diretti a Takamatsu, nel sud del Giappone. Il primo, che ha scelto come pseudonimo Kafka, è in fuga dal padre, scultore geniale e satanico, mentre il secondo, Nakata, fugge dalla scena di un delitto nel quale è stato coinvolto contro la sua volontà. Seguendo percorsi paralleli, che non tarderanno a sovrapporsi, il vecchio e il ragazzo avanzano nell’incomprensibile, schivando ostacoli, ognuno proteso verso un obiettivo che ignora, ma che rappresenterà il compimento del proprio destino.

After Dark (Einaudi, 2008). In una Tokyo aliena, nell’arco di una sola notte, si incrociano i destini di Kaoru, ex campionessa di lotta libera che gestisce un love hotel, di una giovane prostituta cinese picchiata da un cliente, del giovane e disinvolto musicista jazz Takahashi, della diciannovenne Mari in cerca di solitudine e di sua sorella, caduta in un letargo volontario dal quale non sembra volersi svegliare.

L’arte di correre (Einaudi, 2009). Una riflessione sul talento, la creatività e la condizione umana. L’autoritratto di uno scrittore-maratoneta, di un uomo di straordinaria determinazione, di profonda consapevolezza – dei propri limiti come delle proprie capacità –, di maniacale autodisciplina nel sottoporre il proprio fisico al duro esercizio della corsa. E non da ultimo la sorpresa di scoprire che un autore celebrato per la potenza della sua fantasia sia in realtà una natura estremamente metodica, ordinata, agli antipodi dello stereotipo dell’artista tutto genio e sregolatezza.

1Q84 (Einaudi, 2011-2012). Trilogia ambientata a Tokyo nel 1984. Aomame è spietata e fragile. È un killer che in minigonna e tacchi a spillo, con una tecnica micidiale e invisibile, vendica tutte le donne che subiscono una violenza. Tengo è un ghostwriter che deve riscrivere un libro inquietante, pericoloso come una profezia. Persi sotto un cielo ostile in cui brillano due lune, entrambi si giocano la vita in una storia che sembra destinata a farli incontrare. Il titolo è un omaggio a 1984 di George Orwell: la lettera “Q” del titolo ha la stessa pronuncia del numero 9 (kyuu) in giapponese.

Vento & Flipper (Einaudi, 2016), i primi due romanzi di Murakami. Un giorno, a ventinove anni, Murakami è allo stadio a guardare una partita di baseball quando, osservando la traiettoria della palla finire nel guantone di un giocatore, ha come un’illuminazione: lui, un giorno, diventerà uno scrittore. Tornato a casa, inizia a scrivere un romanzo e poi un altro ancora, Ascolta la canzone del vento (uscito nel 1979) e Flipper (uscito nel 1973) che raccontano la storia di un ragazzo di vent’anni con la voglia sfrenata di scrivere un romanzo bello. Nel frattempo, però, fuma, beve, pensa alle ragazze con cui in passato ha fatto l’amore. Le cataloga, le evoca. E chiacchiera con un suo amico, più cinico e disilluso di lui, nella convinzione di poter trasformare la realtà con le parole. Ma l’età adulta è ormai a un passo e il tempo a sconti a nessuno.

Il mestiere dello scrittore (Einaudi, 2017). Murakami fa entrare i suoi lettori nell’intimità del suo laboratorio creativo, li fa accomodare al tavolo di lavoro e dispiega i segreti della sua scrittura. Sono “chiacchiere di bottega”, che presto però si aprono a qualcosa di più. Confidenze, dettagli biografici e ammissioni di passi falsi.

L’assassinio del commendatore. Libro primo. Idee che affiorano (Einaudi, 2018). Un ritrattista trova nella soffitta della casa appartenuta a un famoso pittore giapponese un suo quadro, L’Assassinio del Commendatore, e inizia a studiarlo con l’occhio dell’esperto. Parallelamente, un uomo ricchissimo dal passato ambiguo, Menshiki gli commissiona il proprio ritratto. La ricerca dello stile per dipingere il volto del committente cogliendone l’essenza si sovrappone così all’inchiesta sul vero soggetto raffigurato nel quadro, che sembra incongruo e terribile. 

L’assassinio del commendatore. Libro secondo. Metafore che si trasformano (Einaudi, 2019). Tutte le domande, gli eventi inspiegabili, le apparizioni che hanno animato il primo volume dell’Assassinio del Commendatore trovano qui la più imprevedibile delle soluzioni, rivelando il romanzo per quello che è autenticamente: una riflessione realistica e attuale sulle ferite della storia, sulla colpa e la responsabilità. Una terapia per sopravvivere ai traumi. Una guida pratica per orientarsi nel mondo delle metafore. Ma anche un racconto fantastico sui mostri che ci divorano dall’interno, sulle paure che ci sbranano nella notte dell’anima; e su come, quei mostri, possiamo vincerli: prendendoci cura di chi arriverà dopo di noi.

«Amo la cultura pop: i Rolling Stones, i Doors, David Lynch, questo genere di cose. Non mi piace ciò che è elitario. Amo i film del terrore, Stephen King, Raymond Chandler, e i polizieschi. Ma non è questo ciò che voglio scrivere. Quello che voglio fare è usarne le strutture, non il contenuto. Mi piace mettere i miei contenuti in queste strutture. Questa è la mia via, il mio stile. Perciò non piaccio né agli scrittori di consumo né ai letterati seri. lo sono a metà strada, e cerco di fare qualcosa di nuovo. […] Scrivo storie strane, bizzarre. Non so perché mi piaccia tanto tutto ciò che è strano. In realtà, sono un uomo molto razionale. Non credo alla New Age, né alla reincarnazione, ai sogni, ai tarocchi, all’oroscopo. […] Ma quando scrivo, scrivo cose bizzarre. Non so perché. Più sono serio, più divento balzano e contorto».

Haruki Murakami «The Salon Magazine», 16-12-1997

———————————————————————————————————————————–

Finalisti Premio Lattes Grinzane

Roberto Alajmo

L’estate del ’78, Sellerio

Un pomeriggio d’estate Roberto Alajmo incontra la madre in una strada di Mondello. Non può immaginarlo, ma quello è un addio. «Cos’abbia fatto lei, nei tre mesi successivi, ancora oggi non lo so. È oggetto della presente indagine».

Prendere per mano i lettori, invitarli in casa, guardare assieme le foto dell’infanzia, raccontare la parte più inconfessabile di sé e della propria famiglia. Roberto Alajmo ha trasformato un materiale intimo e doloroso nel romanzo di una vita.

Luglio 1978: lo scrittore è uno studente in attesa degli orali dell’esame di maturità, studia con i compagni a Mondello, vicino Palermo, e a fine giornata esce insieme a loro per riposarsi, rifiatare, mangiare un gelato. Una passeggiata di trenta metri e lì, seduta sul marciapiede, trova la madre. Lei lo guarda riparandosi dal sole con la mano. «Mamma, che ci fai qui?». È l’ultimo incontro tra Elena e suo figlio Roberto, il momento da cui scaturisce questo libro, l’investigazione familiare di uno scrittore su un evento che ha segnato la sua giovinezza e la sua maturità: l’esistenza intera. È la storia di un addio di cui il ragazzo non aveva avuto sentore, la ricerca di un senso per il commiato improvviso di una madre dal marito, dai figli, dalla vita stessa. Il ritratto di una donna che voleva afferrare il mondo, e il mondo le scappava dalle dita. Un dramma di disagio domestico come forse se ne consumavano tanti, in quegli anni, nel chiuso segreto degli appartamenti della borghesia italiana. È un racconto di grande originalità letteraria, attraversato da una suspense che a tratti toglie il respiro, da un’emozione attenta a trasformarsi in pensiero e parola, da un umorismo necessario ed elegante. Mai il lettore ha la sensazione di spiare dal buco della serratura il dolore altrui. E questo accade nonostante l’autore accompagni il testo con le foto di una famiglia come le altre, almeno all’apparenza. Alajmo condivide la sua indagine con noi, ci esorta ad appropriarci del suo passato, ad affrontare con lui il mistero del susseguirsi delle generazioni umane. «Statemi a sentire», sembra dirci. E non c’è altro che possiamo fare.

Roberto Alajmo, nato a Palermo nel 1959, giornalista e scrittore, dal 2013 dirige il Teatro Biondo di Palermo. Tra i suoi libri: Notizia del disastro (2001), Cuore di madre (2003), È stato il figlio (2005), da cui è stato tratto nel 2012 l’omonimo film diretto da Daniele Ciprì, Palermo è una cipolla (2005), L’arte di annacarsi (2010). Con Sellerio ha pubblicato Carne mia (2016), L’estate del ’78 (2018) e Repertorio dei pazzi della città di Palermo (2018).

Motivazione

Ne l’estate del ’78 di Roberto Alajmo, il commiato della madre assume la forma della gioia irrecuperabile, l’ultimo incontro, in cui l’autore vive senza saperlo l’istantaneità della felicità, prima dell’assenza della madre, che scompare per non pesare della sua malattia sull’estate del figlio, dopo la conquistata maturità.

Nell’indagine sulla madre lo scrittore ricostruisce, seguendo tracce fotografiche, il tempo del “privato dolore e del pubblico silenzio” di una donna moderna non convenzionale, che “voleva afferrare il mondo ma il mondo le scappava di mano”. Il 1978 come anno di cesura familiare con la morte della madre, nella distanza dal figlio imposta dal “pudore di un anelito di affetto”. Il ’78 anche come cesura collettiva, con Roberto Alajmo che obbliga il lettore a ritornare alla tragedia nazionale della strage di Via Fani e della morte di Aldo Moro, un lavoro di memoria recuperabile di un’Italia che si separava dalla sua costruita e irreale innocenza.

Jean Echenoz

Inviata speciale, Adelphi

Traduzione di Federica e Lorenza Di Lella

Trentaquattro anni, camicetta azzurra attillata, pantaloni skinny antracite, corto caschetto alla Louise Brooks – in una parola, incantevole. È così che ci appare Constance, poco attiva e poco qualificata, ma in compenso duttile, molto incline alle disavventure sentimentali e misteriosamente capace di scatenare, con la sua morbida svagatezza, l’imprevedibile. Una quindicina di anni fa, fra l’altro, Constance è stata l’interprete di un successo planetario, Excessif, una di quelle canzoni che fanno ballare il mondo intero, dalla Lapponia allo Yemen, e assicurano a chi le compone – nella fattispecie il suo ex marito, Lou Tausk – un’esistenza oziosa e dorata. Una canzone che tutti ricordano ma che continua a essere popolarissima, guarda caso, fra gli apparatcik della Corea del Nord, incluso uno dei consiglieri più influenti del Leader supremo, Gang Un-ok. Giovane, charmant, educato in Svizzera e presumibilmente aperto al dialogo con l’Occidente, Gang è insomma il bersaglio ideale del languido fascino di Constance, che dopo varie, e per noi irresistibili, peripezie finirà – agente segreto suo malgrado – in una opulenta villa di Pyongyang con la missione quanto mai rischiosa di sedurre Gang, e destabilizzare la Corea del Nord. Con Inviata speciale Jean Echenoz torna alla narrazione pura, e insieme al noir e alla spy story, di cui è da sempre appassionato, mettendo la sua impareggiabile ironia e tutte le scintillanti risorse della sua scrittura al servizio della più affettuosa celebrazione: «Sabotare per espandere, potrebbe essere il mio slogan» ha del resto dichiarato. Quel che è certo è che seguendo Constance da Parigi alla Creuse alla baia di Wonsan, dov’è ormeggiato lo yacht di Kim Jong-un, ritroveremo, miracolosamente, l’euforia della lettura.

Jean Echenoz, nato nel 1946 a Valencienne, dopo studi di sociologia e ingegneria civile, nel 1970 si trasferisce a Parigi. Il suo primo manoscritto viene accettato e pubblicato nel 1979 da Les Éditions de Minuit, allora diretta da Jérôme Lindon. I suoi primi quattro libri vengono presentati come esercizi di letteratura e omaggi ai codici di genere: Le Méridien de Greenwich per l’immaginario, Cherokee (1983) per il poliziesco, L’équipée Malaise (1989) per l’avventura e Lac (1989) per la spy story. I critici affermano che la sua opera è emblematica della “postmodernità letteraria”, movimento che nasce negli Stati Uniti negli anni Cinquanta e rappresenta una volontà di rottura con la modernità.

Motivazione

Tra gli autori più versatili del moderno romanzo francese, Jean Echenoz è un virtuoso della scrittura, capace di passare dalla letteratura di genere alle vite di personaggi celebri trasfigurate in epici medaglioni. Con Inviata speciale tributa un omaggio alla spy story, proiettando una cantante pop (famosa in tutto il mondo per un’unica hit) in un bizzarro intrigo internazionale per destabilizzare la Corea del Nord. Commedia degli equivoci, teatro dell’assurdo e colpi di scena alla James Bond, si fondono in un intreccio che ha come fine ultimo la meraviglia del testo, il trionfo dell’ironia. E il piacere della lettura.

Yewande Omotoso

La signora della porta accanto, 66thand2nd

Traduzione di Natalia Stabilini

Marion e Hortensia sono come il diavolo e l’acqua santa: bianca e snob l’una, nera e scontrosa l’altra. Da quasi vent’anni sono vicine di casa a Katterijn, una zona residenziale di Città del Capo. A unirle è il successo ottenuto sul lavoro, in un’epoca in cui le donne in carriera erano rare: se Marion è riuscita ad aprire uno studio di architettura con più di trenta impiegati, Hortensia è diventata una «guru del design». A separarle due decenni di disprezzo reciproco e futili litigi. Fresche di vedovanza e con un piede nella tomba, le due vecchiette – l’Avvoltoio e la Terribile, come si chiamano tra loro – continuano a detestarsi apertamente, finché un evento inaspettato non le costringe a una convivenza forzata. Tra battibecchi quotidiani, sfoghi velenosi e i timidi tentativi di Marion di creare una complicità alla Thelma & Louise, l’ostilità si addolcisce e i rancori si trasformano lentamente nel terreno comune tra due donne forti capaci di farsi strada negli anni difficili della segregazione razziale. Con sguardo lieve e umorismo caustico, Yewande Omotoso dà vita a un racconto sull’emancipazione femminile, sull’impatto del colonialismo nella società sudafricana e, soprattutto, su una materia spesso elusiva: l’amicizia.

Yewande Omotoso è nata nel 1980. Originaria delle Isole Barbados da parte di madre, e della Nigeria da parte di padre, è cresciuta in Nigeria per poi trasferirsi in Sud Africa insieme alla sua famiglia. Si riconosce in un’identità culturale multipla, frutto della commistione di tradizioni e culture dei diversi paesi in cui ha vissuto da ragazza. Ha studiato architettura e scrittura creativa alla University of Cape Town, diventando prima architetto e poi scrittrice. Il suo primo romanzo (Bom Boy, non ancora edito in Italia) le è valso il South African Literary Award per la migliore opera d’esordio.

Motivazione

La signora della porta accanto di Yewande Omotoso è un romanzo ambientato in un quartiere residenziale di Città del Capo. È la storia di due ricche vicine di casa – Marion, ebrea snob, e Hortensia, nera aggressiva – che per due decenni si sono detestate, evitando perfino di frequentarsi. La malattia, la vedovanza e una buona dose di “imprevisto” le costringono a superare il disprezzo reciproco e intraprendere un faticoso tentativo di solidarietà. Molto dell’esperienza personale di Yewande Omotoso confluisce nel romanzo: come Marion, l’autrice è architetta e, come Hortensia, ha trascorso in Inghilterra gli anni della propria formazione; e sullo sfondo passano la storia della fine dell’apartheid e tutti i problemi della riconciliazione col proprio passato, che Yewande Omotoso ha vissuto sulla propria pelle. Ma soprattutto colpisce la sua capacità di elaborare con taglio vivacemente cinematografico due formidabili ritratti al femminile, che fanno venire in mente le complicità della coppia Thelma e Louise e i taglienti dialoghi di A spasso con Daisy.

Alessandro Perissinotto

Il silenzio della collina, Mondadori

Domenico Boschis è nato nelle Langhe, ma da molti anni ormai la sua vita è a Roma, dove ha raggiunto il successo come attore di fiction TV. Una notizia inaspettata lo costringe a tornare tra le sue colline: il padre, col quale ha da tempo interrotto ogni contatto, è malato e gli resta poco da vivere. Il vecchio non riesce quasi più a parlare, ma c’è una cosa che sembra voler dire al figlio con urgenza disperata. «La ragazza, Domenico, la ragazza!» grida, per scoppiare poi in un pianto muto. Chi è la ragazza che sembra turbarlo fino all’ossessione? Mentre Domenico riprende confidenza con la terra in cui è cresciuto e cerca di addomesticare i fantasmi che popolano i suoi ricordi d’infanzia, si imbatte in un fatto di cronaca avvenuto cinquant’anni prima a una manciata di chilometri da lì. La protagonista è proprio una ragazza: ha tredici anni quando, una notte di dicembre del 1968, viene “rubata” da casa sua. Di lei non si sa nulla per otto mesi, poi la verità emerge con tutta la sua forza. È possibile che sia il ricordo della tredicenne a perseguitare il padre di Domenico? E se così fosse, significa che il vecchio ha avuto un ruolo nella vicenda della ragazza? Lui l’ha sempre considerato un cattivo padre; deve forse cominciare a pensare che sia stato anche un cattivo uomo?

Nel solco del romanzo-verità tracciato da Carrère con L’avversario, Alessandro Perissinotto prende le mosse da una storia realmente accaduta, raccontata dai giornali dell’epoca e poi colpevolmente dimenticata, innestandola però su un impianto romanzesco. Così facendo, rompe il silenzio sul primo sequestro di una minorenne nell’Italia repubblicana, in un libro feroce e al tempo stesso necessario per capire da dove viene la violenza sulle donne, per comprendere che, contro quella violenza, sono gli uomini a doversi muovere.

Alessandro Perissinotto, nato a Torino nel 1964, si laurea in lettere con una tesi in semiotica e inizia a dedicarsi al mondo della multimedialità. Pubblica con Gian Paolo Caprettini il Dizionario della fiaba. Nel 1997 inizia a pubblicare libri di narrativa che vengono definiti romanzi polizieschi: L’anno che uccisero Rosetta, La canzone di Colombano, Treno 8017, e Al mio giudice (2004). Nei successivi romanzi Una piccola storia ignobile, L’ultima notte bianca e L’orchestra del Titanic (Rizzoli) le indagini sono condotte dalla psicologa Anna Pavesi. Tra i libri successivi: Semina il vento (Piemme), Lo sguardo oltre l’orizzonte, Le colpe dei padri (Piemme, 2013), secondo al Premio Strega, Coordinate d’oriente (Piemme, 2014), Quello che l’acqua nasconde (Piemme, 2017). Parallelamente, dal 2016, scrive con lo pseudonimo di Arno Saar romanzi polizieschi ambientati in Estonia con protagonista il detective Marko Kurismaa: Il treno per Tallinn e La neve sotto la neve. È docente universitario a Torino.

Motivazione

L’ultimo inestimabile attimo in cui la memoria ti offre uno spiraglio, e l’attimo in cui decidiamo di infilare quello spiraglio per risalire i decenni e scoprire quale dolorosa verità si nasconde laggiù in fondo. Il romanzo di Perissinotto vive di questo spiraglio. Ormai cinquantenne, una carriera d’attore televisivo a Roma, Domenico ritorna nelle Langhe, le dolci colline dov’è nato e dove suo padre sta morendo di cancro: è un’inesorabile, commovente corsa contro il tempo – la malattia che s’aggrava, il corpo che si sgretola, l’autoritaria e prepotente bocca paterna che infine si schiude per spalancare un segreto. Il segreto di quella ragazzina scomparsa, e non solo. Per Domenico è un tuffo vertiginoso nelle memorie d’infanzia, una lacerante presa di coscienza sull’identità del padre e della sua terra. Quello che leggiamo è il condivisibile, auspicabile sforzo di un singolo che, ricostruendo i misteri di un’epoca e riscrivendo i propri ricordi, spezza il silenzio colpevole di una collettività capace – quando vuole – di seppellire ogni male. Il silenzio della collina è un romanzo che infatti si confronta con quel male all’apparenza sempre lontano eppure vicino, vicinissimo. Un romanzo che sembra spingerci a credere che il racconto, laddove si confronta coi fatti, sia ancora capace di emendare le colpe del reale attraverso l’esercizio della memoria.

Christoph Ransmayr

Cox o Il corso del tempo, Feltrinelli

Traduzione di Margherita Carbonaro

Il grande imperatore cinese Qiánlóng, l’uomo più potente dell’epoca, invita alla propria corte a Beijing il celebre orologiaio inglese Alister Cox. Vuole che costruisca per lui preziosi e raffinatissimi strumenti che sappiano misurare le diverse velocità con cui scorre l’esistenza umana, nei suoi svariati momenti: il tempo dell’infanzia, dell’amore, della felicità, della malattia e del morire. E, infine, un orologio capace di misurare persino l’eternità. Sullo sfondo dello splendido diciottesimo secolo cinese, Christoph Ransmayr racconta l’incontro di due figure storiche che, nella realtà, non si incontrarono mai. La potenza del racconto dà vivace corpo a una suggestiva riflessione sullo scorrere della vita, in una lingua elegante e precisa quanto i delicati dispositivi che scandiscono il tempo. “Il Maestro Alister Cox era invitato, a nome del Figlio del cielo e sommo imperatore Qiánlóng, a recarsi alla corte di Beijing e a prendere alloggio, primo uomo occidentale, in una Città proibita per crearvi, secondo i progetti e i sogni dell’Eccelso sovrano, opere mai viste per il supremo e massimo cultore e collezionista di orologi e automi.” “La potenza e l’eleganza della lingua di Ransmayr.” Frankfurter Allgemeine    

Christoph Ransmayr, nato a Wels nel 1954 e cresciuto nelle zone rurali dell’Alta Austria, ha studiato filosofia ed etnologia a Vienna dal 1972 al 1978. È stato redattore culturale del periodico Extrablatt dal 1978 al 1982, anno in cui ha esordito nella letteratura con il saggio Radiosa fine scritto a quattro mani con Willy Puchner. Autore di numerosi romanzi e saggi tradotti in oltre trenta lingue, la sua opera più celebre è probabilmente Il mondo estremo, romanzo che prende spunto dalle Metamorfosi di Ovidio per narrare la vicenda di Cotta, suo ammiratore perso nei labirinti della città eccesiva di Toma tra i personaggi del poema epico. Tra le sue opere principali: Der Wolfsjäger. Drei polnische Duette con Martin Pollack (2011), Atlante di un uomo irrequieto (Feltrinelli, 2015), Gerede: Elf Ansprachen (2014). È autore per le riviste Geo, Merian e TransAtlantik, e dal 2006 risiede a Vienna.

Motivazione

Cox o il corso del tempo di Chrisoph Ransmayr è un romanzo storico in cui si svolge un’intensa interrogazione dello scorrere del tempo, dell’alterità e della distanza del passato, dell’identità di mondi lontani e inaccessibili. Vi si intrecciano storia e geografia, l’occidente del XVIII secolo, da cui proviene l’orologiaio inglese Cox con i suoi congegni, che si reca in Cina su invito dell’imperatore Qiánlóng, e l’oriente misterioso della corte cinese e della Città Proibita di Pechino. Con rigorosa misura stilistica, con un linguaggio la cui forza espressiva si percepisce anche nella traduzione, l’autore dà voce ad un tempo e ad uno spazio tanto lontani dall’atto della sua scrittura e dallo sguardo del lettore contemporaneo: ma nello stesso tempo giunge a rappresentarne i più precisi particolari con una formidabile evidenza visiva. Nella difficoltà e nelle diversioni dello scambio e della comunicazione tra l’universo meccanico dell’orologiaio e le modalità di vita di quella Cina remota, in un alternarsi tra il balenare di implacabile violenza e lo spettacolare dispiegarsi di esotiche meraviglie, di controllati paradisi cortigiani, nell’impegno a costruire una sorta di orologio assoluto e totale, espressione del potere dell’imperatore come Signore del tempo, si proietta il sogno impossibile di una riproduzione e moltiplicazione delle forme del tempo e dell’esistenza, di un riscatto delle vite perdute, di un dominio umano sull’inevitabile fuggire dell’esperienza.

Testo e immagini da Ufficio Stampa Premio Lattes Grinzane

Dove i classici si incontrano. ClassiCult è una Testata Giornalistica registrata presso il Tribunale di Bari numero R.G. 5753/2018 – R.S. 17. Direttore Responsabile Domenico Saracino, Vice Direttrice Alessandra Randazzo. Gli articoli a nome di ClassiCult possono essere 1) articoli a più mani (in tal caso, i diversi autori sono indicati subito dopo il titolo); 2) comunicati stampa (in tal caso se ne indica provenienza e autore a fine articolo).

Write A Comment

Pin It