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Guerra del Peloponneso

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Non è sconosciuto, agli esperti e non, lo scontro ‘mondiale’ che ha visto contrapposte, nell’ultimo trentennio del V a.C., Atene e Sparta: la Guerra del Peloponneso. Entrambe le egemonie giungevano da un periodo prospero: la vittoria contro il barbaro nemico persiano. Due potenze che, all’inizio del V a.C., combattevano insieme per fronteggiare il temibile e innumerevole esercito orientale, ma che si lanciarono, inevitabilmente, sul finire del secolo, l’uno contro l’altro.

Come per ogni fenomeno storico e non, si ricerca il motivo, il casus belli, con la finalità di comprenderne la natura; per questo è inevitabile prendere in considerazione le motivazioni che hanno indotto Atene e Sparta a fronteggiarsi in un lungo e sanguinoso conflitto.

È necessario fare, però, una piccola premessa: nel 446 a.C. Atene e Sparta avevano firmato, in seguito ad un iniziale conflitto d’interessi, un trattato di pace trentennale che prevedeva il rispetto dei possedimenti sia spartani che ateniesi e la non intromissione in questioni relative agli alleati dell’una e dell’altra fazione. Trattato di pace che, però, non fu rispettato; circa undici anni dopo, nel 435 a.C., i malumori tra le due potenze ricominciarono a riacuirsi.

Le cause di questi possono essere ricercate su più fronti, ma, a detta di Tucidide, storico ateniese e cronista della Guerra del Peloponneso, «il motivo più vero […] penso che fosse il crescere della potenza ateniese e il suo incutere timore ai Lacedemoni, sì da provocare la guerra» (I, 23, 6). In effetti, la constatazione tucididea ha ragion d’essere dal momento che, in quegli anni, Pericle aveva condotto Atene al suo massimo splendore e dal punto di vista politico-militare e da quello più strettamente architettonico (un esempio lampante è la riedificazione dell’Acropoli all’indomani dell’incendio persiano).

 

Testo di Dario Carnicella

E’ partita questa mattina, alla volta del Palazzo della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in Lussemburgo, la Doppia Erma di Erodoto/Tucidide (II sec. d.C.) del Museo Archeologico Nazionale di Napoli: l’opera, che da domani sarà esposta al Palais per 18 mesi, è la terza “ambasciatrice” del MANN presso la prestigiosa istituzione lussemburghese.

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