20 Febbraio – 20 Marzo 2015
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Cosa hanno in comune le città e le invasioni da parte di alcune specie? Più di quanto si possa immaginare, secondo un’analisi di dati riguardanti differenti specie di uccelli, portati dagli esseri umani nelle isole oceaniche.
Il Prof. Piotr Tryjanowski, Direttore all’Istituto di Zoologia dell’Università di Scienze della Vita a Poznań, spiega che chi giunge in Nuova Zelanda (o altrove) si meraviglia dei tanti uccelli europei sul posto. E ha una risposta alla domanda, nello studio pubblicato su Oecologia. Da cosa viene la predisposizione degli uccelli a conquistare nuovi ambienti? Secondo il Prof. Tryjanowski e il Prof. Anders P. Møller dal Laboratorio di Ecologia, Sistematica ed Evoluzione dell’Université Paris-Sud (Francia), la chiave di adattamento a nuovi luoghi è l’abilità degli uccelli a sopravvivere nelle città.
In altre parole, quanto più le specie sono associate alla città, e hanno familiarità con la vicinanza delle persone, tanto più sarà facile per loro adattarsi al nuovo ambiente. Per esempio, in un isola nel mezzo dell’oceano, come la Nuova Zelanda, nella quale i passeri sono stati condotti dagli umani per controllare gli insetti che piagano le coltivazioni di cereali. Similmente il cigno nero apparse, mentre nelle Hawaii furono portati storni, passeri, anatre, aironi, canarini, fagiani, allodole.
L’introduzione massificata avvenne a causa di immigranti dal Vecchio Mondo. La storia di molte di queste espansioni può essere tracciata, in quanto le attività umane sono documentate. E così sappiamo che gli emigranti per il Nord America portarono papere e cigni con loro (per decorare parchi e giardini) così come faraone, pernici, fagiani di monte, galli cedroni, pavoni, piccioni, pappagalli, allodole e capinere. “Spostandosi nel mondo, erano guidati da ragioni estetiche e sentimentali. Volevano essere circondati da elementi che conoscevano dall’infanzia” – spiega il Prof. Tryjanowski.
D’altra parte, sempre secondo questo studio, gli uccelli che tendono ad evitare la vicinanza delle persone non sono sopravvissuti a una simile espansione. Si tratta di specie come la tortora, il fanello eurasiatico, la sterpazzola, che non tollerano la cattività e il trasporto: per loro è più difficile riprodursi in nuovi ambienti. I professori citati spiegano che l’abilità degli uccelli di vivere nelle città ha una base ormonale e comportamentale, ed è associata alla storia vitale dell’individuo. Si abituano al fatto che l’uomo non è più un predatore ma un fornitore di cibo e di luoghi di nidificazione.
L’importanza dello studio riguarda sia la protezione ambientale che il problema delle specie invasive. Gli umani cominciarono a fondare città dieci – undicimila anni fa, e il processo di urbanizzazione prosegue ancora: più della metà della popolazione mondiale vive nelle città e nella prossimità di queste, e per la metà del secolo si salirà ai due terzi. Lo studio contribuisce a spiegare come gli effetti degli insediamenti determinino una rivoluzione del paesaggio e una pressione delle risorse, e alcuni cambiamenti anche nei comportamenti animali.

Lo studio “Urbanized birds have superior establishment success in novel environments”, di Anders Pape Møller, Mario Díaz, Einar Flensted-Jensen, Tomas Grim, Juan Diego Ibáñez-Álamo, Jukka Jokimäki, Raivo Mänd, Gábor Markó, Piotr Tryjanowski, è stato pubblicato su Oecologia.

Link: Oecologia; Pap – Science & Scholarship in Poland
Capinera, foto di Vogelartinfo, da WikipediaGFDL 1.2, caricata da MPF.
Fagiano di monte, di Natuur Digitaal (Marc Plomp); Stichting Natuurbeelden, da WikipediaCreative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Netherlands.
 

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