Quando fu proiettato nelle sale, nel 1951, A Place in the Sun di George Stevens, remake di An American Tragedy di Josef Van Stenberg del 1931, già riadattamento dell’omonimo romanzo del 1925 di Theodor Dreiser, ottenne un successo straordinario di pubblico e di critica (sei Oscar, un Golden Globe, un Nastro d’argento). Il film fu una delle prime grandi prove attoriali di Montgomery Clift e Elizabeth Taylor, giovani astri nascenti del cinema hollywoodiano.

Un posto al sole Elizabeth Taylor Montgomery Clift Shelley Winters George Stevens A place in the sun cinema
Poster del film

La pellicola portava sul grande schermo un intenso dramma (scabroso sotto certi aspetti per la pruderie americana d’inizio anni ’50) che vede come fulcro narrativo la figura di George Eastman (Montgomery Clift), un ragazzo povero di Kansas City, figlio di pastori metodisti, che va a cercare fortuna ad Ovest presso il ricco zio industriale. Accolto con diffidenza per le sue umili origini, George accetta una modesta mansione alla catena di montaggio. Qui, disobbedendo alle ferree regole della fabbrica, frequenta la giovane operaia Alice (un’efficacissima Shelley Winters) con la quale intraprende una relazione clandestina. Quando, però, lo zio di George, visti i suoi buoni modi e il suo spirito di abnegazione, decide di promuoverlo ad un ruolo di responsabilità, tutto nella vita del giovane è destinato a cambiare.

Il timido e impacciato ragazzo di provincia è ora ammesso alle feste dell’alta società americana. Qui incontra Angela Vickers (un’incantevole Liz Taylor), giovane e ricca rampolla, la cui vita privata è argomento di tutti i rotocalchi dell’epoca. Il loro è un amore a prima vista. L’ambizione e l’ingenua passione di George lo portano a coltivare una doppia relazione e il sogno di una scalata sociale.

George Eastman (Montgomery Clift) e Angela Vickers (Elizabeth Taylor)

Tuttavia, a far precipitare la situazione è la notizia della gravidanza di Alice. Esclusa l’opzione aborto (non vi sono medici disposti ad aiutare la giovane coppia), a George non resta che pianificare l’omicidio di Alice, sempre più irrequieta e indisposta a ritardare il loro matrimonio, che avrebbe significato per George la rovina: perdere la fiducia dello zio, perdere Angela, decisa a sposarlo ad ogni costo, e rinunciare così alle sue ambizioni. Pronto a farla finita, George conduce Alice in barca su un lago, ma nel momento fatale non ha il coraggio di uccidere la ragazza che, però, maldestramente, cade dalla barca dopo un litigio. Quando si decide ad intervenire per salvarle la vita, è già troppo tardi. Logorato dal senso di colpa e scoperto ben presto dalla polizia, George finisce in tribunale dove, nonostante l’accorata confessione, viene condannato alla sedia elettrica.

La vicenda drammatica di George riflette a pieno il titolo originale del romanzo (An American Tragedy): George è davvero un personaggio tragico perché diviso fra due mondi, quello ‘basso’ dell’umiltà e della povertà a cui lo aveva costretto la scelta di vita religiosa dei suoi genitori e a cui lo avrebbe costretto, ancora una volta, il matrimonio con Alice, e dall’altro il mondo ‘alto’, del benessere, del sogno americano, della promessa di migliorare la propria condizione, incarnato dall’irresistibile e sensuale Angela a cui un ragazzo come George non può in alcun modo dire di no.

George non è un cinico parvenu, disposto a tutto, persino all’omicidio, pur di realizzarsi, ma è una vittima ingenua di un ingranaggio più grande di lui, quell’ingranaggio alla cui base vi è la catena di montaggio dove nasce e fiorisce la relazione con la povera Alice. George così come Alice e la stessa Angela sono vittime di un ingranaggio che non contempla gli affetti, che non può essere ostacolato da essi (in questo il divieto dello zio di intrattenere relazioni con altri salariati della fabbrica è simbolico, oltre che decisivo nello sviluppo della vicenda). Il venir meno di George al divieto dello zio e ai divieti morali e religiosi della madre (che si era raccomandata con il figlio prima della sua partenza per l’Ovest) lo spinge verso il baratro. Nel momento in cui George viene promosso, cioè si allontana dalla catena di montaggio, l’amore naturale, genuino per Alice è inutile, se non controproducente, e perciò va soppresso in funzione di un ‘bene superiore’, che è reale e concreto al tempo stesso: George è davvero innamorato di Angela, è davvero disposto a tutto pur di sposarla e trovare così il suo ‘posto al sole’. È impossibile, dunque, scindere il sentimento amoroso dall’ambizione nella figura complessa e sfaccettata di George, magistralmente interpretato da un introspettivo Montgomery Clift (attore che, nei suoi film, insieme con Marlon Brando e James Dean, incarnò la ‘gioventù bruciata’ dell’America eisenhoweriana). I suoi silenzi e la sua enigmatica espressività, infatti, riescono in modo molto efficace a rendere la complessità di un personaggio solo in apparenza molto semplice e lineare.

Questo torbido triangolo rappresenta, ad una più profonda analisi, su un piano simbolico, il lato oscuro del sogno americano e porta alla luce una falla enorme nella sua narrazione ottimistica ed entusiastica: la scalata sociale è possibile, ma solo a determinate condizioni, solo a costo di enormi sacrifici, solo a costo di frenare anche i propri più naturali e genuini sentimenti. In questa duplice e contemporanea tensione verso l’‘alto’ e verso il ‘basso’, George resta schiacciato: ha voluto tutto e ha voluto troppo, proprio perché non aveva avuto niente.

Vittima di quella sperequazione sociale che sostanzia il sistema economico americano, la Giustizia, che vede in lui solo un bugiardo, lo condanna a morte come colpevole di un omicidio che non aveva commesso, ma che aveva intimamente desiderato (beffardo paradosso).

Quella di George è una fiaccola che brucia in fretta: tutta la sua vicenda umana si consuma senza che lui possa rendersene conto. Solo alla fine, solo dopo la visita di Angela in carcere, capisce di aver perso tutto fuorché l’unica cosa per cui aveva agito, cioè Angela, che gli giura amore eterno e a cui lui chiede di amarlo ‘per il tempo che gli rimane da vivere’. È questo l’unico bene vero che gli resta, l’ultima scintilla di quel sogno che era stato la sua rovina.

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