“AD INTEGRUM”: Michelangelo Galliani “rivitalizza” il concetto di classico AD INTEGRUM Michelangelo Galliani

Fino al 19 novembre quattro sculture dell’artista reggiano dialogano con il suggestivo spazio nel cuore del capoluogo meneghino.

Una basilica fondata nell’VIII sec. d.C., nel luogo dove si dice Sant’Ambrogio abbia rinvenuto i corpi dei martiri Nazaro e Celso; un altare costituito da una sovracassa di marmo che ha custodito il sarcofago con le preziose reliquie di San Celso; capitelli di forma romano-corinzia; una facciata ricostruita nel 1854 dall’architetto svizzero Luigi Canonica.

Tutto nella Basilica di San Celso, in Corso Italia 37 a Milano, parla di storia.

Confrontarsi, scontrarsi e infine dialogare con un tale spazio espositivo, ora totalmente dedicato a progetti culturali, non è facile per un artista contemporaneo.

Michelangelo Galliani, classe 1975 e un diploma in scultura alle spalle, si è cimentato nell’impresa e ha vinto la sfida.

AD INTEGRUM Michelangelo Galliani

La mostraAd integrum”, curata da Angela Madesani, promossa da Cris Contini Contemporary ed organizzata dall’associazione culturale lartquotidien, in collaborazione con il Santuario, propone le opere di un artista che, fin dall’inizio della sua carriera, ha scelto di rapportarsi con la classicità. Decisione tutt’altro che semplice, visto il rischio di venir considerati dai futuri osservatori come meri copiatori privi di creatività.

4 opere di Michelangelo Galliani alla Basilica di San Celso”, questo il sottotitolo dell’esposizione, è effettivamente ricchissima di rimandi alla storia dell’arte, ma in chiave rivisitata e concettualmente tutt’altro che banale.

Dunque le chiavi di lettura, da tener a mente visitando l’esposizione, sono il concetto di tempo e di frammento.

I personaggi che via via si “incontreranno” saranno Giorgione, Caravaggio, Auguste Rodin, Medardo Rosso e, secondo la curatrice, Adolfo Wildt, Luciano Fabro, Pier Paolo Calzolari e Giuseppe Penone.

Ma andiamo con ordine e partiamo dal titolo della retrospettiva, già di per sé molto evocativo.

Ad integrum”, completare: caratteristica preponderante di due delle opere esposte è il loro essere frammento. Una porzione che non è mai stata parte di un tutto, non ha mai goduto di completezza. Eppure la scheggia riesce a rappresentare proprio quell’insieme a lei sconosciuto, facendosi metafora dell’esistenza umana.

E avendo presente questi concetti inizio con il descrivervi “Fuggi”, una scultura del 2018.

“AD INTEGRUM”: Michelangelo Galliani “rivitalizza” il concetto di classico

AD INTEGRUM
“AD INTEGRUM”: Michelangelo Galliani “rivitalizza” il concetto di classico Michelangelo Galliani, “Fuggi”, 2018, marmo dell’Altissimo e vetro di Murano.

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Due gambe distinte sono state ricavate da steli di marmo separati. Il resto del corpo manca, anzi non è mai esistito né è stato progettato. Un po’ come “L’Homme qui Marche” di Auguste Rodin, privo di braccia e soprattutto dell’elemento che più di ogni altro distingue l’uomo: il volto.

Sotto uno dei due talloni della presenza che fugge germogliano dei rossi fiori in vetro di Murano: forse petali di rose. Ci tengo a definirlo “presenza” in quanto non è completo, non ha tutte le “componenti” fisiche dell’essere umano. Eppure, proprio per questo suo essere fluido, si candida a rappresentare ognuno di noi, senza distinzione alcuna.

Anche in “Rebus vitae” (2018) appare una figura, questa volta tagliata sopra la vita. I vari elementi della scultura, di cui alcuni in acciaio inox a guisa di dardi, costituiscono un rebus vero e proprio, la cui soluzione è intimamente legata ad un episodio della vita di Michelangelo Galliani. Ai piedi della composizione un serpente viene trafitto dal metallo.

Il senso dell’opera assume così un significato più profondo, di matrice esistenziale.

San Celso

AD INTEGRUM
“AD INTEGRUM”: Michelangelo Galliani “rivitalizza” il concetto di classico Michelangelo Galliani, “Rebus vitae”, 2018, marmo statuario di Carrara e acciaio inox.

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Arriviamo dunque al centro della scena e dello spazio espositivo, al culmine della dialettica e della riflessione. “Twins” (2020) e “Col tempo” (2010) si scambiano un mutuo sguardo d’intesa, mantenendo intatta la loro profonda diversità.

All’apparenza non sono frammenti, ma anche queste opere sono caratterizzate da una mancanza.

La bambina accovacciata su una testuggine è sola, a dispetto del nome. Manca il suo gemello, twin, che l’artista deve ancora eseguire. L’animale che funge da comoda seduta è ricchissimo di simbologia. Ad esempio il paradosso di “Achille e la Tartaruga” è una delle tesi più famose di Zenone di Elea, filosofo presocratico della Magna Grecia. La bambina guarda avanti, l’animale indietro. La scultura è essa stessa un po’ un paradosso: i fanciulli sono per natura frenetici e qui la loro vitalità viene contrapposta alla lentezza.

Michelangelo Galliani

Michelangelo Galliani
“AD INTEGRUM”: Michelangelo Galliani “rivitalizza” il concetto di classico Michelangelo Galliani, “Twins”, 2020, marmo bianco di Carrara e acciaio inox.

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Il tempo è, del resto, uno dei soggetti principali della poetica di Galliani, che non cita banalmente i grandi maestri del passato, ma si rifà ad essi contestualizzando le sue creazioni nel periodo storico in cui vive. La scelta di lavorare un materiale così legato alla tradizione è stata essa stessa una presa di posizione che conferma quanto ho espresso.

A mio giudizio il vero capolavoro della retrospettiva è però “Col tempo”, che, non a caso, è posta sopra l’altare, il punto più sacro del complesso. La scultura in cera vergine d’api rappresenta una donna che è distesa su un letto di piombo.

Michelangelo Galliani

Michelangelo Galliani
“AD INTEGRUM”: Michelangelo Galliani “rivitalizza” il concetto di classico Michelangelo Galliani, “Col tempo”, 2010, cera, argento e piombo.

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Nella versione esposta a San Celso la figura stringe tra le mani un ex voto ottocentesco, un po’ accartocciato.

Esanime testimonia la vita che è stata.

Il titolo è un chiaro omaggio all’opera di Giorgione, “Ritratto di vecchia” del 1506, in cui viene raffigurata un’anziana che impugna un cartiglio su cui è scritta la famosa frase “col tempo”. Il monito per i fruitori era ben chiaro: lo scorrere degli anni ed i suoi effetti sul nostro corpo sono inevitabili. La signora si appoggia la mano al petto rievocando il gesto del “mea culpa”.

Galliani, per dare forma al suo “memento”, utilizza invece la cera, richiamando così Medardo Rosso, mentre la postura della figura sdraiata riprende quella di Santa Lucia nel famoso seppellimento narrato figurativamente dal Merisi.

L’avvertimento è chiaro: il tempo passa, inesorabile, lasciando dietro di sé solo alcuni frammenti: di storia, di memoria, di poesia.

 

Si ringrazia l’ufficio stampa CSART per le foto.

Genovese di nascita, milanese d’adozione, Elisabetta Roncati ha deciso di unire formazione universitaria economica/manageriale e passione per la cultura con un unico obbiettivo: avvicinare le persone all’arte in maniera chiara, facilmente comprensibile e professionale. Interessata ad ogni forma di espressione artistica e culturale, contemporanea e non, ha tre grandi passioni: l’arte tessile, l’arte africana e l’arte islamica. Crede fermamente che la cultura abbia il potere di travalicare i confini delle singole nazioni, creando una comunità globale di appassionati e professionisti. Perché, “L’arte è un incidente dal quale non si esce mai illesi” (Leo Longanesi).

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