Nuovo interessante appuntamento nel rinnovato Museo Ostiense dove, grazie al lavoro dell’archeologa Paola Germoni, sono stati esposti 20 bronzetti di pregio databili tra il I e il III secolo d.C. provenienti da uno stesso ambiente del Panificio di via dei Molini nel sito di Ostia antica.

L’edificio, uno dei più grandi del sito, presenta anche un impianto per la produzione del pane e ha avuto una continuità di vita di circa due secoli. La sua distruzione si deve ad un incendio che provocò un crollo dei piani superiori dell’edificio ma non la distruzione di alcuni oggetti, tra cui questi bronzetti, che si salvarono nonostante le fiamme. I reperti esposti furono scoperti intorno al 1913 da Guido Calza e descritti in una pubblicazione scientifica su un volume del 1915 (Notizie dagli scavi di Antichità).

Foto: Parco Archeologico di Ostia Antica

La collezione di bronzi è abbastanza eterogenea e si compone di figure di divinità e di animali, ritratti, appliques decorative per mobili e letti lignei forse provenienti da un appartamento residenziale la cui esistenza oggi è testimoniata dalla persistenza di due scale. Sappiamo dalle fonti antiche che alcuni edifici romani potevano raggiungere l’altezza di ben 7 piani con non poche difficoltà per i pompieri dell’epoca a aggiungere altezze così elevate per l’epoca.

La funzionaria archeologa Marina Lo Blundo ci racconta alcune curiosità sui bronzetti esposti:

“Come consueto nella bronzistica di età romana, le iconografie scelte per ritrarre i personaggi si ispirano alle più famose opere di età greca”, spiega l’archeologa Marina Lo Blundo nel video che, all’interno della Sala XI, ritrae i bronzetti e ne illustra i dettagli storici e artistici. Come l’Ercole fanciullo con la pelle di leone che gli copre il capo e, nella mano sinistra, i pomi delle Esperidi, allusione a una delle sue leggendarie fatiche; o come il busto bronzeo che rappresenta Giove Tonante, con corona di foglie di quercia e mantello, ispirato alla celebre statua dello scultore ellenistico Leocare”. Un altro piccolo busto raffigura Giove Serapide, identificabile dal caratteristico copricapo svasato detto kalathos. Di fattura particolarmente raffinata è la statuetta di un Lare, divinità del focolare che proteggeva la vita domestica” prosegue Marina Lo Blundo. “È un giovane senza barba, ha i capelli ondulati, è vestito di un manto trattenuto alla cintura, che svolazza. La sua base originale quadrata è impreziosita con alcune foglie di alloro in argento”, inserite ad incastro nel bronzo con la tecnica dell’ageminatura.

Busto di Etiope. Foto: Parco Archeologico di Ostia Antica

Straordinario il ritratto di un giovane africano: “è estremamente realistico  nei dettagli del volto e dell’abbigliamento: ha gli occhi infossati, le labbra particolarmente carnose, ciocche di capelli che delineano l’aspetto crespo. Indossa un mantello, chiamato paenula, che termina con un cucullus ovvero un cappuccio, il che connota il nostro personaggio come uno schiavo”.

Una segnalazione speciale merita la testa di Gorgone, un’applique del II secolo realizzata in stile arcaizzante. Si tratta di una maschera con funzione apotropaica, ovvero di protezione contro gli influssi maligni: la caratterizza un’espressione mostruosa sul viso incorniciato da ciocche ricciute, gli occhi allungati e la bocca semiaperta, dalla quale spunta la lingua. Decorava probabilmente l’ansa di un vaso metallico.

“I 20 bronzetti esposti sono riconducibili a diverse funzioni: alcuni erano oggetti d’arredo (quali, ad esempio, le appliques), altri sono strettamente connessi alla sfera del sacro, come chiaramente suggeriscono le numerose statuette di divinità,“essi costituiscono una selezione dei numerosi esemplari provenienti dal medesimo contesto e, soprattutto, della collezione, che conta circa 1500 reperti, custodita nei Depositi ostiensi”.

Statuetta di Lare. Foto: Parco Archeologico di Ostia Antica

“Il secondo appuntamento con “Eppur si Espone” propone al pubblico opere di pregevole fattura che documentano l’alto livello della cultura artistica ostiense” riflette Cristina Genovese, archeologa e coordinatrice dell’iniziativa espositiva. “Nel caso specifico, il valore documentario dei reperti in questione è accresciuto dal singolare e straordinario contesto di rinvenimento: recuperati negli strati di distruzione, a causa di un incendio, del piano superiore di alcuni ambienti di un centralissimo impianto destinato ad attività produttive e commerciali- ma anche cultuali (come attesta la presenza del cd. Sacello del Silvano nel medesimo edificio), non si può escludere, tra le varie ipotesi, che essi costituissero una sorta di “piccola collezione”, che, vista l’eterogeneità cronologica e tipologica dei soggetti, potrebbe darci interessanti informazioni sulle modalità di selezione e tesaurizzazione di tali oggetti preziosi da parte di uno o più proprietari dell’edificio. Ancora una volta i Depositi Ostiensi ci restituiscono inestimabili tesori di quella che fu una delle più importanti, ricche e potenti città del Mediterraneo in età romana”.

 

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