Durante il Settecento vi era un peculiare atelier la cui storia si forgia sulle forme dell’antico. Tutto nasce da una scoperta nel rione Monti a Roma, che vede protagonista il ceramista ed antiquario Giovanni Trevisan, meglio noto come il Volpato.
La narra una rassegna che dall’epoca classica giunge ad oggi, a noi mostrata nella particolare esposizione “Il classico si fa pop. Di scavi, copie e altri pasticci” visitabile sino al 7 aprile 2019. Due le diverse sedi in cui avrà luogo: la Crypta Balbi ed il Palazzo Massimo, ambedue appartenenti al Museo Nazionale Romano che promuove l’evento insieme ad Electa.
Progettata e curata da Mirella Serlorenzi, coadiuvata da Marcello Barbanera ed Antonio Pinelli, prevede un allestimento davvero accattivante: proiezioni d’effetto con luci ed ombre che esaltano le forme, il tutto partendo dal Volpato e dalle sue ceramiche. Il rinomato incisore, amico di Canova e Kaufmann, era solito creare copie e prodotti raffinati quali ad esempio dei centrotavola, plasmando un materiale d’aspetto marmoreo denominato “biscuit”. Fu tra i più rilevanti collezionisti ed antiquari del XVIII secolo, un cultore e mediatore dell’antico che finanziò in prima persona innumerevoli scavi tra i quali le Terme di Caracalla e quelle di Tito. Astuto uomo d’affari, si dedicò al restauro e al commercio delle antichità, avendo anche il pregio di lavorare per famiglie reali, come quella di Gustavo III, re di Svezia, e di Caterina II, imperatrice di Russia.
Tappa fondamentale del percorso espositivo è il periodo del Grand Tour, rappresentato da prodotti ed arredi in micro-mosaico raffiguranti monumenti d’epoca romana, infatti durante questa fase emerse la passione per i souvenirs. Il pubblico dotto di quella stagione apprezzava particolarmente le opere di Volpato, che congiungevano sapientemente il gusto archeologico con l’elemento decorativo, riproducendo capolavori della classicità in dimensioni ridotte. La Crypta Balbi che lo espone è la location ideale, in quanto è una struttura museale eretta al termine del I secolo a.C. per ordine dell’imperatore Augusto ed evolutasi nei secoli nell’aspetto e nelle funzionalità. Edificata da Lucio Cornelio Balbo, testimonia il mutare nei secoli della società romana, dei costumi, dell’economia, nonché del contesto urbano a partire dai tempi antichi.
Palazzo Massimo fu invece fondato a fine Ottocento, con uno stile rinascimentale in qualità di sede collegiale, accogliendo poi tra le sue varie collezioni una raccolta numismatica. Nella suddetta mostra illustra la serialità artistica: cinque dei venti esemplari presenti esprimono l’idea di moltiplicazione ed i Discoboli d’epoca classica sono un esempio di riproduzione successiva di originarie opere greche. D’altronde, da sempre il Discobolo permane una figura culturalmente potente, parimenti all’Ermafrodito dormiente – riproduzione romana di un’immagine del periodo ellenistico – che ispirò molto l’operato di Canova e Vezzoli. A sua volta il canoviano “Teseo e il Minotauro” si rinviene nella versione di Volpato realizzata in biscuit.
Del resto l’arte non risulta esclusivamente una questione di illuminazione, bensì è sovente effetto di influssi inevitabili che veicolano la loro forza ispiratrice. In tal modo opere vetuste fungono da fonte per l’arte successiva, congiungendo i modelli e le loro versioni neoclassica e contemporanea. Piacevoli comparazioni per nulla scontate, ma che piuttosto forgiano sempre nuovi significati e re-interpretazioni.
Giorni e orari di apertura: dal martedì alla domenica ore 9:30 – 19,30
Info: +39 06 399 67 700