Cristò, La carne – recensione
Questo articolo è scritto di notte, e non poteva essere altrimenti.
Ho letto La carne di Cristò e ho deciso che non voglio saperne niente di lui. Esatto, voglio che sia Cristò e nient’altro, non voglio vedere una sua foto, conoscere il suo cognome, sapere dove vive e cosa mangia. Non mi interessa se ha strani interessi nella numismatica o se passeggia scalzo per casa. Per me Cristò è Cristò, e così dovrà essere fino alla fine del mondo, non sarà uno dei tanti scrittori che affollerà i miei scaffali ma sarà una imago mortis, un memento mori, scultura gotica che si sgretola dall’alto di una cattedrale esecranda dove i peccati ballano in una sabba stregato. Perché sì, Cristò deve essere immortalato nel canone di una teologia oscura, inscritto tra le leggi dei morti del Necronomicon. Non voglio conoscerlo, non voglio umanizzarlo, per me Cristò è la stessa controparte che si avvale del lusso di non avere un accento sulla O. Cristo messia del cristianesimo, Cristò profeta della fine, dell’apocalisse, del disastro.
Scrivere per condannare
La scrittura è disastro, patologia, lama, angioma e anatema per condannare; scrivere è pericoloso – così enunciava Maurice Blanchot nel dittico saggistico “La scrittura del disastro” e “Lo spazio letterario” – , raccontare e mettere i pensieri nella prigione dell’inchiostro su carta significa allacciarsi alla notte, incatenarsi al cosmo mentre dèi alieni e bislacchi rifiutano i dogmi del canone letterario moderno. E fanno bene.
Cristò scrive horror, diciamolo senza vergogna ed eleviamo la letteratura di genere a quello che è realmente, ovvero letteratura. Cristò ha messo nel suo calderone uscito dalle fiabe dei fratelli Grimm tutti gli ingredienti di un successo letterario, e la Neo. Edizioni lo sa benissimo. Con una prosa elegante ma mai astrusa, Cristò elabora l’estinzione umana; si scorgono echi e controcanti di altri autori e poeti, passando da Nietzsche a Blake, intravedendo il Paradiso Perduto e il fiero pasto del Conte Ugolino in questo anno dantesco. Raccontare significa massacrare. Fagocitare qualsiasi cosa. Nutrire la bestia, placare la follia collettiva. E ricordatela la parola “collettiva”, siamo insetti e siamo sciame. L’individualismo è un miraggio dello scheletro del capitalismo.
Non è un caso che il romanzo proceda sui binari traballanti di una narrazione doppia, la voce di un vecchio che ricorda il mondo prima della catastrofe si affianca a quella di un medico che cerca di tenere in piedi la sua esistenza fatta di cocci, e per ironia del campo semantico viene coattamente ostracizzato dalla vita. Fuori il mondo è corrotto dall’estetica della necrosi, esseri umani infetti deambulano su strade lastricate da cadaveri putrescenti che poi si rialzano e i morti viventi, beh vivono.
Tornano dall’anabasi dell’Ade, come Orfeo che tenta di salvare Euridice i morti riemergono dalle tenebre della vera morte e vivono un’esistenza catatonica spezzata solo dal bisogno di nutrirsi di carne umana. In parole povere, zombi. Ma non c’è aggressività, non sembrano esistere gli scenari classicamente horror del mondo americano, non ci sono orde fameliche che assediano i pochi superstiti del genere umano. C’è molto peggio.
Chiamiamoli innocenti, o se volete colpevoli. Ignari o coscienti. La morte forse non fa il censimento dei dannati ma spalanca la bocca con indifferente ingordigia. In questo mondo spogliato dalla sanità mentale gli esseri umani si svegliano nella notte urlando, creano un sillabario della dannazione una esegesi sconnessa dell’annichilamento. Scrivono biglietti, sono frasi disallineate da un ragionamento sensato, sono concetti claudicanti sulla retta via della comprensione. Il medico li colleziona con serafica curiosità le testimonianze stralunate degli uomini e delle donne che scrivono, e tutti quei fogli sembrano essere scritti dalla stessa persona. O dettati dalla stessa volontà. Il mistero degli incubi è innestato in questo The Walking Dead letterario dove filosofia e storytelling sono in osmosi perfetta.
Non posso dire di più, non voglio creare altri collegamenti, voglio deragliare in questa corsa fantasma nella necrosi delle sinapsi.
Leggete Cristò e La carne di notte, non per amplificare la paura, ma per vivere nei sogni dei sogni di dèi mai esistiti. Dobbiamo brancolare nella nostra cecità cannibale. Buonanotte.
Il libro recensito è stato cortesemente fornito dalla casa editrice.