26 Ottobre 2015

Archeologi Polacchi scoprono un tempio sconosciuto di Hatshepsut

Foto di P. Witkowski
Foto di P. Witkowski
Intagliato nella roccia, comprende due stanze, i muri delle quali sono coperti di decorazioni e iscrizioni geroglifiche mal conservate: un team di archeologi al lavoro sotto gli auspici del Centro Polacco di Archeologia Mediterranea dell’Università di Varsavia ha cominciato le ricerche in un antico tempio a Gebelein, nell’Alto Egitto.
Questo luogo era già noto alle autorità locali, ma finora nessun archeologo lo aveva studiato. I precedenti ricercatori sono stati probabilmente scoraggiati dalle cattive condizioni delle decorazioni. I risultati della ricerca polacca di quest’anno sono stati sorprendenti.
“Questo tempio era dedicato a due divinità. Non c’è dubbio che una di queste fosse Hathor, con l’epiteto di culto di Signora di Gebelein. L’altra divinità potrebbe essere Amun-Ra. Sfortunatamente, le raffigurazioni non si sono preservate e studi ulteriori sono necessari per verificare questa idea” – ha spiegato Daniel Takács, uno dei membri della spedizione.

Foto di P. Witkowski
Foto di P. Witkowski

Immagini di molte divinità furono distrutte in antichità. Il faraone Akhenaten, che regnò nel quattordicesimo secolo a. C., promosse la venerazione di un unico dio, il cui simbolo era il disco solare. Raffigurazioni di altri dèi che non possedevano aspetti solari furono distrutte durante il suo regno. La dea Hathor era associata al sole, e quindi le sue rappresentazioni furono risparmiate.
Foto di W. Ejsmond
Foto di W. Ejsmond


“L’aspetto più oscuro è nella mancanza di nomi reali nel tempio. I regnanti dell’antico Egitto amavano porre i propri nomi sui muri dei tempi esposti alla vista pubblica. Alle volte avrebbero distrutto i nomi di regnanti precedenti per mettere i propri al loro posto” – ha aggiunto Wojciech Ejsmond, direttore della spedizione.
Studi dettagliati di bassorilievi e iscrizioni, effettuati da Daniel Takács, hanno prodotto risultati sensazionali, datando la costruzione del tempio e la prima fase delle decorazioni al regno della regina il cui nome gli antichi volevano cominciare a cancellare dalla storia. Si tratta di Hatshepsut (quindicesimo secolo a. C.). La presenza delle sue raffigurazioni è indicata, tra l’altro, da frammenti di iscrizioni geroglifiche contenenti terminazioni di parole femminili. Il contesto nel quale il cartiglio (il riquadro ovale, nel quale gli antichi Egiziani collocavano il nome dei Faraoni) è collocato indica che conteneva il nome di questa regina.
Dopo la morte di suo marito – Thutmose II – Hatshepsut esercitò il potere di un reggente per conto del suo figliastro e nipote – Thutmose III. Ejsmond ha spiegato che a un certo punto Hatshepsut cominciò ad applicare una titolazione regale completa, riservata solo ai faraoni, nonostante il fatto che l’Egitto avesse un sovrano legittimo – Thutmose III. Per decenni, i ricercatori hanno pensato che la regina volesse prendere pieno potere, e che i suoi ambiziosi programmi di costruzione e raffigurazione della regina come monarca legittimo sui muri dei tempi fossero intesi al fine di legittimare il suo regno a spese del figliastro.
“Al momento si crede che la situazione fosse più complicata. La regina Hatshepsut regnò insieme al giovane Thutmose III al fine di assicurare la stabilità dell’Egitto, e molte delle sue azioni condussero al rafforzamento del giovane re” – ha spiegato Ejsmond. “Forse, molti anni dopo la sua morte, a causa di una situazione dinastica complicata, Thutmose III ebbe paura che un’altra ambiziosa regina potesse subentrare e spingere via il proprio figlio dal potere? Questo potrebbe aver condotto alla sua decisione di rimuovere i riferimenti ad Hatshepsut come faraone, secondo il principio – se non è scolpito nei geroglifici, non è mai successo. Ma questa è una delle molte teorie. Perché volesse cancellare il suo nome è ancora un mistero” – ha aggiunto.
Ejsmond ha notato che Hatshepsut non era né la prima né l’ultima donna faraone nella storia egiziana. Ad ogni modo, gli antichi non cercarono di cancellare altre donne faraone dalla storia. Ecco perché gli scienziati sono così disorientati dai costanti tentativi di rimuovere il nome di Hatshepsut. Ulteriori lavori al tempio nella roccia di Gebelein potrebbero anche fornire altre informazioni sul suo regno. Gli Archeologi programmano di rimuovere le macerie dal pavimento. Forse potranno ritrovare manufatti del periodo di attività del tempio.
Coinvolti nello studio del tempio sono anche gli archeologi Piotr Witkowski e Julia M. Chyla che hanno contribuito a creare una moderna documentazione del luogo. Piotr Witkowski è responsabile della documentazione fotografica.
Varie tecniche fotografiche hanno permesso non solo di produrre immagini delle antichità, ma dopo l’elaborazione con software specializzato, anche di evidenziare le caratteristiche che non sono più visibili o che sono molto difficili da vedere ad occhio nudo. Questo ha permesso di vedere alcuni frammenti della decorazione murale, e di confermare l’esistenza di iscrizioni dipinte, diversi metri sopra il tempio. Grazie alla tecnica fotogrammetrica, gli scienziati hanno effettuato misurazioni e creato la pianta del tempio più velocemente e in modo più preciso che utilizzando metodi tradizionali.
La scoperta del tempio è stata effettuata nell’ambito di un progetto più ampio di studio multidisciplinare dell’importante centro che era Gebelein nel panorama dell’antico Egitto. Al momento è un complesso di siti archeologici collocati circa 30 km a sud-ovest di Luxor. Oltre cinquemila anni fa c’era probabilmente una capitale di uno dei proto-stati, che pose le basi per la civiltà dei Faraoni.
La ricerca sul campo di quest’anno e gli studi dei materiali sono stati possibili grazie ai finanziamenti conferiti dal Consiglio Consultivo del Movimento Scientifico Studentesco dell’Università di Varsavia, dalla Fondazione dell’Università di Varsavia, dalla Fondazione per la Scienza Polacca e dal Fondo Visegrad.
Traduzione da PAP – Science & Scholarship in Poland. PAP non è responsabile dell’accuratezza della traduzione.

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