FERNANDO BOTERO: la mostra a Palazzo Bonaparte, Roma
17 settembre 2024 – 19 gennaio 2025

Dal 17 settembre Arthemisia e Palazzo Bonaparte a Roma dedicano la più grande mostra mai realizzata in Italia a Fernando Botero, artista amatissimo dal grande pubblico, autore di opere iconiche

Fernando Botero, Bailarina en la barra (2001), Olio su tela, 164x116 cmCollezione privata
Fernando Botero, Bailarina en la barra (2001), Olio su tela, 164×116 cm
Collezione privata

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L’esperienza della vita con Fernando Botero – la mostra a Palazzo Bonaparte

Per Fernando Botero “l’arte dovrebbe essere un’oasi di gioia nella vita”, e andando a Palazzo Bonaparte, troverete la testimonianza di questa estrosa capacità di dare forma al suo desiderio.

Arthemisia porta a Roma la più grande mostra mai realizzata in Italia sull’artista colombiano, che per quasi ottant’anni ha coltivato incessantemente il sogno di fare il pittore.

Omaggio a Mantegna (1958). Foto di Alessandro Turillo
Omaggio a Mantegna (1958). Foto di Alessandro Turillo

Qualcuno forse ricorda ancora che Maurizio Costanzo aveva scelto proprio Botero come compagno di viaggio tra le scenografie del suo “Show”. Erano gli anni ‘80 e in effetti il mio primo incontro con i suoi lavori fu quello mediato dalla TV. Fernando a quel tempo era già un artista internazionale: con “Omaggio a Mantegna” aveva vinto il primo premio all’XI Salón Anual de Artistas Colombianos (1958), e il MOMA di New York aveva esposto (unica opera figurativa di quell’anno acquistata dal museo) “Mona Lisa all’età di dodici anni” (1961). Se pensiamo che l’artista nel 2022 continuava a sperimentare, potremo iniziare ad avere un’idea di quanto ampia sia stata la sua produzione.

La mostra si fa carico di questa grandezza, proponendo un percorso articolato e in grado di rispondere a molte domande che il grande pubblico potrebbe avere: come mai i suoi personaggi sono così pingui? Si è occupato solo dell’abbondanza della forma? La sua produzione è stata monotematica? Di cosa tratta il suo lavoro? Perché ha ricevuto così tanta attenzione a livello mondiale?

Come sempre a Palazzo Bonaparte la mostra si sviluppa su due piani. Al primo piano si viene accolti in una sala dove è proiettato a loop un breve documentario ricco d’informazioni preziose. Nella sala attigua, incontriamo subito lo splendido omaggio al Mantegna. Il quadro, ritrovato fortunosamente da Lina Botero (figlia di Fernando), era tra le molte opere di una collezione privata di Miami, venuta alla luce poco tempo fa.

L’opera del ‘58 sintetizza la scoperta dello stile dell’artista avvenuta solo qualche anno prima, e presenta in modo eloquente il rapporto tra il pittore e grandi classici del Rinascimento. Come un laboratorio a vista prefigura inoltre gli sviluppi futuri sulla figura umana. A mio avviso sono ancora presenti alcune suggestioni del Picasso neoclassico, artista per cui Botero aveva grande ammirazione. La composizione mi sollecita echi delle geometrie cubiste. Mentre l’uso del colore ha delle assonanze con la matericità delle “Due donne che corrono sulla spiaggia” (1922). In quest’opera la trasformazione dello stile di Botero è comunque la cosa che prende il sopravvento: Marta Traba, una delle critiche colombiane più importanti dell’epoca disse

“ci si lasciava alle spalle l’insignificante replicarsi della realtà, si deformava la visione logica, con l’aggiunta della fantasia, dello strepitoso peso delle forme”.

Nel 1954 Botero aveva fatto un viaggio in Messico e mentre disegnava un mandolino dalle forme abbondanti ebbe l’intuizione di fare un foro d’uscita della cassa di risonanza molto piccolo. È lui stesso a dire “guardavo questo bozzetto e sentivo che era successo qualcosa di importante”, e in effetti fu proprio a partire da questo primo disegno che Botero cominciò a sperimentare le possibilità di forme più voluminose. Poi prosegue

“a me piace questa pienezza, questa generosità, questa sensualità che si comunica perché, vedi, la realtà è piuttosto arida”.

Botero nasce a Medellín nel 1932, la Colombia è scossa dalla guerra contro il Perù. Il paese intanto è afflitto dallo scontro tra due fazioni politiche. Gli scontri sociali violenti porteranno prima alla formazione di guerriglieri, e successivamente anche agli sviluppi del narcotraffico, che vedrà in Escobar il suo più famoso rappresentante.

Per lungo tempo Fernando terrà fede al suo proposito di fare arte come “un’oasi di gioia nella vita” tanto che solo dopo gli anni ’90 nella sua produzione emergerà il tema della violenza come “Donna che cade dal balcone” (1994) “Massacro delle 20:15” (2004) e l’importante serie dedicata agli scempi americani di “Abu Ghraib” del 2005.

Questa serie nasce dopo aver visto alcune foto pubblicate sui giornali, riguardanti le torture perpetrate nel carcere iracheno. L’artista si sente spinto a dare forma all’orrore del presente e al contempo, come già aveva fatto per la morte del figlio Pedro, prova ad usare la pittura come forma di liberazione dal dolore provato

“È diventata come un’ossessione. Per 14 mesi ho lavorato solo a questo. Alla fine mi sono sentito vuoto. Non avevo più niente da dire. Per qualche ragione ero in pace con me stesso.”

Le 56 opere prodotte saranno donate a BAMPFA (Berkeley Art Museum and Pacific Film Archive) in riconoscimento del ruolo storico di questa istituzione californiana nell’area dei diritti umani, e soprattutto perché dice Botero, non si trattava di lavori che potevano essere venduti, il loro significato simbolico aveva bisogno di uno slancio che oltrepassasse anche il mondo del commercio.

Dopo la mostra ho cercato di chiedere ai miei conoscenti cosa ricordassero di Botero e che impressione ne avessero ricevuto nel tempo, e senza troppe sorprese l’immagine che mediamente si è impressa nella memoria è quella di una placida opulenza, un soddisfatto stare nel mondo nella propria pienezza. La domanda in realtà nasce proprio da questa patina percettiva che potrebbe essere la più immediata. Ma nella realtà dei fatti, la mostra è un’ottima occasione di andare in profondità rispetto ad una mole di lavori di quasi ottant’anni, e alla complessità che riverbera dall’insieme delle sue opere.

Come si può comprendere già dell’opera dedicata a Mantegna e proseguendo con le rivisitazioni dei classici, di cui accenno solo a Piero della Francesca, e Velázquez, siamo a contatto con un artista che ha amato, studiato e reinterpretato la tradizione rinascimentale e barocca. L’esito di queste operazioni è sembrato fin dai suoi esordi anticonvenzionale ed è stato mal visto per il suo potenziale derisorio da parte della critica. Ma anche qui Botero ha sempre avuto le idee chiare

“…l’umorismo non toglie nulla. Qualcuno potrebbe dire “senti hai un senso dell’umorismo un po’ eccessivo” ma questo non toglie nulla a un dipinto, anzi fornisce all’osservatore una piccola porta o un dettaglio che lo invita a immergersi più facilmente nell’opera d’arte”.

La pittura di Botero ha qualcosa di molto familiare. Molte sue scene parlano della vita quotidiana, c’è dunque una conoscenza implicita di quanto rappresentato, mentre la morbidezza delle forme, forse, ci sollecita nella nostra ricerca di pienezza nella vita. In una delle ultime sale del primo piano si incontra una nicchia all’interno della quale ci sono solo nature morte, anche se al cospetto di questi dipinti la parola morte sembra davvero inappropriata. All’ingresso della piccola sala ci troveremo di fronte ad un trittico di fiori dipinto ciascuno con un colore primario, alla destra di questo tripudio di colori si trova un’enorme pera. Avvicinandoci, scorgeremo ancora il vermicello che la sta attraversando. L’amplificazione di forme e colore sembra possa raggiungere il cuore dello spettatore infondergli nuova vita. Credo sia questo il ricordo maggiore che si potrebbe avere dell’opera del colombiano. È proprio per questo che mi piacerebbe invitarvi anche in un percorso alternativo, alla ricerca degli sguardi dei suoi personaggi.

Si potrebbe scoprire che l’esperienza del vivere, si è insinuata proprio lì, in attesa di essere scoperta: noie, afflizioni, gioie, sorprese, e malinconie tutte sospese su quei volti.

L’allestimento della mostra, ricco e ben articolato, propone alcune tematiche fondamentali per il pittore. La corrida, che Botero trasforma e allegorizza in vari modi, e di cui qui ricordo: “El Arrastre” (1987) e “Morte di Ramon Torres” (1986).

Nella prima vedremo il toro trascinato via dopo la sua uccisione. Nella seconda, in una preziosa citazione dell’arte medievale con uno scheletro a cavallo del toro, parteciperemo alla fine del torero, mentre le tracce del rapporto tra vita e la morte danno profondità prospettica alla poetica dell’artista.

Completano questo panorama, le sculture in bronzo e altri materiali, che amplificano ulteriormente la voluminosità del lavoro di Botero.

Quello della scultura è un passo che il pittore fa a quarantun anni. In un’intervista dice che sapeva che se avesse voluto provare a scolpire avrebbe dovuto lasciare la pittura per un po’ di tempo, e così fece. Si trasferisce a Parigi, e per un intero anno si dedica solo allo studio della scultura. Il risultato è in grande assonanza con la sua produzione pittorica, la forma trova soprattutto nel bronzo la pienezza espressiva di Fernando. In alcune sale troveremo il dipinto e la scultura stessa, come nel caso del Ratto di Europa” (1998). In altre sale, sculture e dipinti saranno pronte ad un dialogo reciproco.

I personaggi di Botero sono abbondanti ma non immobili. Ballerine, circensi, ma anche toreri e musicisti, presi dal vortice della vita, senza che il loro universo si opponga alla mole che li caratterizza. Anche questo è parte della magia dei quadri esposti, che fluttuano dall’amata quotidianità del mondo colombiano fino alla pungente critica dei soprusi della chiesa e dello stato, nelle loro forme più umane e fragili.

Botero avrebbe voluto come Picasso finire la sua vita col pennello in mano, e così accadde nel 2023. Nella sala al primo piano tra le tante preziosità, potrete trovare “Odalisca” (2022), un dei suoi ultimi lavori dove ha usato la tecnica dell’acquerello (a cui la mostra dedica una sala), mentre al secondo piano sarete di fronte a “La Menina da Velázquez” (senza data), un ritrovamento dopo la scomparsa del pittore nella sua casa di Parigi.

La menina da Velázquez. Foto di Alessandro Turillo
alla mostra Fernando Botero a Palazzo Bonaparte, La menina da Velázquez. Foto di Alessandro Turillo

L’arte per essere universale, deve essere soprattutto locale”, questa frase del pittore colpisce soprattutto oggi, in cui la Biennale di Venezia ha dato spazio a tutti gli artisti che hanno lavorato ai confini dell’arte ufficiale, ma con un forte radicamento nel proprio territorio o vissuto: artisti queer, outsider, folk, e indigeni. Fernando prima del suo successo e anche dopo, ha sempre mantenuto il contatto profondo con la sua Colombia. E quel contesto, vissuto e sognato, è diventato la trama delle sue opere.

Lo scopo dell’arte è quello di creare piacere” ed è forse per questo che il suo pubblico è così vasto: Sud America, Europa, Cina, Giappone, Russia e America. Un riconoscimento così ampio è frutto di molteplici fattori, tra i quali emerge fortissimo l’impegno a sollecitare nel mondo la spinta verso la gioia, nonostante le asperità della vita.


Attraverso l’esposizione di oltre 120 capolavori, si ripercorre l’intero percorso artistico di Botero e si entra nel suo mondo esuberante e magico. Tra le opere esposte ci saranno anche inediti eccezionali, esposti per la prima volta al mondo, come la Menina (After Velazquez) e Omaggio a Mantegna, che si riteneva perduto.

Con la prima e più completa mostra di pittura mai realizzata in Italia a un anno dalla sua scomparsa, Palazzo Bonaparte a Roma vuole rendere omaggio a uno degli artisti più amati dal grande pubblico internazionale, Fernando Botero.

La mostra, che racconta oltre 60 anni di carriera artistica, è curata da Lina Botero, figlia dell’artista, e Cristina Carrillo de Albornoz, grande esperta della sua opera e presenta

Oltre 120 opere tra dipinti, acquerelli, sanguigne, carboncini, sculture e alcuni straordinari inediti, prestati eccezionalmente solo per questa mostra, saranno esposte nelle prestigiose sale di Palazzo Bonaparte.

Opere di grandi dimensioni che rappresentano la sontuosa rotondità dello stile di Botero, restituito con effetti tridimensionali e colori accesi e vibranti. Un universo inventato e poetico completamente nuovo, che affonda le radici nella sua Colombia.

La mostra si apre con un’opera importantissima e mai esposta primaOmaggio a Mantegna (1958), che dopo decenni è stata recentemente scoperta da Lina Botero tramite Christie’s.
Non mancheranno le versioni di capolavori della storia dell’arte, come la “Fornarina” di Raffaello, il celebre dittico dei Montefeltro di Piero della Francesca, i ritratti borghesi di Rubens e van Eyck fino ad arrivare alle ultime opere che Botero realizzò nel 2023 come il grande acquerello dell’Odalisca.

Altra opera fondamentale ed inedita e mai esposta al pubblico – perchè da sempre appesa nello studio parigino di Botero – è una versione dell’infanta da “Las Meninas” di Velázquez.

Immancabili le sue iconiche serie coi temi classici e a lui più cari come l’amata America Latina, il circo, la religione, la mitologia, la natura morta e la corrida, quest’ultima forse il tema più interessante perché interpretato attraverso il filtro della tradizione ispanica molto sentita nell’arte, da Goya a Picasso.

Col patrocinio della Regione Lazio, la mostra è prodotta e organizzata da Arthemisia in collaborazione con la Fernando Botero Foundation e in partnership con la Fondazione Terzo Pilastro Internazionale.
La mostra vede come sponsor Generali Valore Cultura, special partner Ricola, sponsor tecnico Cantine Ferrari Trento, partner Atac e Frecciarossa Treno Ufficiale, media partner la Repubblica e Urban Vision, hospitality partner Hotel de Russie e Hotel de la Ville.


203.408 i visitatori.
Picchi di oltre 4.000 visitatori nei weekend e negli ultimi giorni di mostra con turni soldout già dall’apertura delle prevendite e file dei visitatori non prenotati con oltre due ore di attesa.

18.000 biglietti per bambini e studenti.

1.800 gruppi totali di cui 600 gruppi scuole.

Oltre 1.000 visite guidate di cui oltre 650 visite per scuole.

Centinaia gli articoli stampa e migliaia di condivisioni e contenuti postati sui social networks.

Questo è il bilancio finale di “Fernando Botero. La grande mostra” che si è conclusa ieri, domenica 19 gennaio, a Palazzo Bonaparte di Roma.

Un grandissimo successo per la prima e più completa mostra di pittura mai realizzata in Italia a un anno dalla scomparsa del Maestro colombiano, che conferma la passione e l’affetto da parte del pubblico per un artista senza pari nel suo genere, dallo stile unico e immediatamente risconoscibile, che dei suoi soggetti e delle fisicità corpulente ne ha fatto da sempre il suo marchio iconico.

La mostra a Palazzo Bonaparte ha raccontato l’intero percorso artistico e di vita di Fernando Botero: oltre 60 anni di carriera narrati attraverso oltre 120 opere tra dipinti, acquerelli, sanguigne, carboncini, sculture e alcuni straordinari inediti; soggetti entrati nell’immaginario di tutti e che hanno accompagnato alla scoperta e alla conoscenza dei temi classici e a lui più cari come l’amata America Latina, il circo, la religione, la mitologia, la natura morta, la corrida.

“Siamo molto contenti di come e quanto il pubblico, italiano e internazionale, abbia accolto e apprezzato la mostra sul grande Botero. – dichiara Iole Siena, Presidente di Arthemisia – Un successo inaspettato ma che conferma, oltre al fascino che questo grande artista esercita su chi si trova di fronte alle sue opere, l’importanza che Botero ha avuto e avrà nella storia dell’arte.”

“Questo successo di media e di pubblico ci rende estermamente felici – afferma Alessandra Taccone, Presidente di Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, main-partner della mostra.
Esso infatti ha premiato 
un’esposizione di eccezionale ampiezza, dedicata alla più che sessantennale carriera del Maestro e sintesi di tutti i temi a lui cari, che ha consentito ai visitatori provenienti da tutto il mondo di ammirare più di cento delle sue opere, tra cui alcune inedite, confermandone la statura di gigante dell’arte contemporanea.”

 

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa Arthemisia. Aggiornato il 20 gennaio 2025.

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