Di fughe e di dannati, anime alla deriva: un assaggio di Sarah Kane

Cosa succederebbe se, fin dall’infanzia, fossimo educati esclusivamente ai valori della violenza e della bestialità? Quando sei un’amante delle litterae, cerchi di vedere sempre oltre i tuoi limiti umani, la voglia in tasca di occupare spazi della mente non tuoi. Dentro le storie si è ciechi, solitamente serve sempre un terzo o un quarto occhio che ti mostri che stai sbagliando, che dovresti uscirne e slacciarti dallo stato di oppressione e sofferenza in cui ti ritrovi ogni volta che vorresti essere un protagonista.

Capita di amare profondamente qualcuno, tanto che ad un certo punto senti la necessità di riemergere perché si è imparato qualcosa di sconvolgente, perché è la trasformazione viscerale che spaventa l’uomo e lo pone ad affrontare le sue dannazioni. La visione della realtà subirebbe, così, un’alterazione tale da disinvestire emotivamente il livello di umanità e assimilarlo a quello di bestie: così facendo, si vivrebbe in una società consumata da bestie feroci, cannibali della propria rabbia, brutalità fisica e spregiudicatezza, ognuno escluso dall’altro, senza relazioni ed intimità, in un massacro che esalta il vacuo. In realtà, a ben pensarci, non è uno scenario così distante da alcune vicissitudini di guerra a cui siamo, ormai, abituati ad assistere quotidianamente, perché, come dice John Keats, siamo «anime alla deriva»[1].

Dannati (Blasted) di Sarah Kane è contenuto nella raccolta Tutto il teatro (2000), pubblicata da Giulio Einaudi editore nella collana Collezione di teatro, con traduzione di Barbara Nativi e introduzione di Luca Scarlini. Foto di Rosa Gadaleta

Se lo chiede anche la drammaturga britannica Sarah Kane, uno dei volti del In-Yer-Theatre, che a 23 anni scrive la sua prima pièce, priva di ogni moralità, fortemente aggressiva, vicina alle tavole borghesi del teatro giacobita e forte dell’influenza di personalità teatrali come Edward Bond. Nata nel 1971, debutta giovanissima con la trilogia di monologhi Sick nel 1994 che nel gennaio dell’anno seguente viene messa in scena al Royal Court di Londra per la regia di James Macdonald, con titolo Blasted.

In seguito Sarah Kane si cimenta nella creazione di altre drammaturgie: una riscrittura della tragedia greca euripidea, Phaedra’s love (Londra, Gate Theatre, 1996), Cleansed (Regia James Macdonald, Londra, Royal Court, 1998) e Crave (Regia Vicky Featherstone, Edimburgo, Traverse Theatre, 1998). Nel festival dedicato al drammaturgo tedesco Georg Buchner, poi, i due testi di Phaedra’s love e Woyzeck ottengono una rappresentazione al Gate Theatre.

Nel 1995 viene invitata a comporre la sceneggiatura di Skin, cortometraggio diretto da Vincent O’Connell e prodotto da Channel 4. Il suo ultimo lavoro 4.48 Psychosis, rappresentato postumo al Royal Court Theatre per la regia di James Macdonald nel giugno 2000, è il testamento di vita e di morte: Sarah Kane, dopo aver terminato quest’opera, tenta fallimentarmente un primo suicidio a seguito di un’overdose di compresse antidepressive, ricoverata in ospedale riuscirà nel suo intento nel febbraio del 1999.

La giovane venne ritrovata impiccata in uno dei bagni dell’ospedale. Il suo suicidio venne in seguito giustificato con disturbi psichiatrici che compromisero effettivamente la salute mentale di Kane, afflitta da angoscia e tormentata da un’insoddisfazione della realtà che l’aveva condotta irrimediabilmente a soffrire di depressione.

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Sarah Kane Dannati Blasted Tutto il teatro
Dannati (Blasted) di Sarah Kane è contenuto nella raccolta Tutto il teatro (2000), pubblicata da Giulio Einaudi editore nella collana Collezione di teatro, con traduzione di Barbara Nativi e introduzione di Luca Scarlini

Dal plot di Blasted, in italiano Dannati[2] (presentato in Italia per la prima volta al Festival Intercity di Sesto Fiorentino nel 1997, per la regia di Barbara Nativi), che costituisce il debutto di Sarah Kane sulla scena londinese nel 1995, critici e spettatori restano inorriditi. Opinioni contrastanti contornate da un fortissimo battage mediatico e, a fase alterne, il menzionare quel «gran banchetto di oscenità» (espressione adottata dalla critica del tempo) che lascia intendere come non sia stata immediatamente compresa l’intenzione di parallelismo con le violenze subite dai bosniaci durante la guerra.

Blasted non è facile da guardare, tantomeno favorisce un’immediata immedesimazione nei personaggi o nella storia. L’obiettivo di Sarah Kane è di mettere il pubblico di fronte a una realtà che preferirebbe evitare, nel modo più audace, crudo ed esplicito possibile, è cercare di porre in primo piano la brutalità fisica e sessuale, operando un «confronto tra gli stupri perpetrati nel testo e quelli di massa ammessi dalla politica serba nell’ottica di una pulizia etnica»[3], abusi che, differentemente a Bosnia e Cina, vengono adottati come arma di guerra per degradare le donne musulmane.

Le realtà della guerra vengono molte volte nascoste, anche deliberatamente, così come per le riprese della guerra del Vietnam che hanno indirizzato il pubblico americano contro di essa alla fine degli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70. La guerra è ripulita per un pubblico “civile”. Molte persone non vogliono nemmeno sapere cosa succede veramente in guerra, cosa fa veramente alle persone. Vogliono che la guerra sia un affare giusto ed eroico, come in quasi tutti i film di guerra. I film di guerra sono propaganda sciovinista e disonesta che presenta la guerra come sfondo per narrazioni eroiche sul bene che trionfa sul male.

Kane voleva mettere il pubblico di fronte all’orribile realtà della guerra, volendo far vedere che è radicata nella violenza quotidiana delle nostre vite private. Forse uno dei motivi per cui non vogliamo sapere com’è veramente la guerra è che inconsciamente ci si rende conto di quanta violenza è accettata nelle nostre fantasie domestiche e civili, quella che chiamiamo “vita normale”. La violenza e il trauma sono l’involucro in cui ognuno di noi si stratifica. Blasted fa luce su molte cose o molte sfaccettature diverse di una certa tematica: definisce come la violenza politica del mondo pubblico si rispecchi nella violenza domestica del mondo privato, il ciclo di vittimizzazione che porta le vittime a diventare carnefici, creando sempre più vittime – e quindi più carnefici – e come ognuno di noi è una vittima, un passante e un carnefice. Riguarda l’uso e l’abuso del potere.

Lo stupro è di fatti il fulcro dell’intero dramma e in Blasted, Kane rappresenta il modo in cui si evidenziano tali episodi per consolidare l’idea dello stupro come arma per eccellenza con cui si rafforza il divario sociale tra uomini e donne non solo nel mondo moderno, ma dagli albori delle civiltà. Si esaspera una nuova prospettiva del “rape in general”, fenomeno trans-storico che coagula le pratiche di violenza nei confronti delle sole vittime femminili, riproducendolo mediante vere scene di stupro fisico, vividamente descritte e rappresentate dal corpo maschile femminilizzato prima in Ian e poi nella vittima Cate. Così facendo, va rinforzando il binario oppositivo uomo-donna e il gap sociale, oltre che storico, del silenzio dello stupro: nelle scene dell’opera ciò che colpisce maggiormente non è la pura cruda violenza in sé per sé, attorniata dalle considerazioni su guerra, questioni di genere e società in arresto cardiaco, bensì l’insistenza esplicita, quasi coinvolgente, in cui il pubblico si trova ad assistere. Nei quattro diversi atti si assistono a quattro modalità differenti di stupro, un’insistenza che genera un senso di disfunzionalità intima.

Di seguito l’articolo prosegue con dettagli della trama e del finale. 

Il dramma è ambientato in un elegante camera d’albergo, presso Leeds, Inghilterra. Ian è un giornalista di mezza età, biasima i “Wog and Pakis”, letteralmente persone di colore e pakistani, che hanno in pugno la Gran Bretagna. Sin dall’inizio è presentato come chi non adopera un modo consono o tradizionale di esprimersi, ma non volgare: i suoi interventi, tuttavia, sono impregnati di pura violenza, dà sfoggio di una personalità tempestiva, a tratti depressa, che poggia la sua mancanza di affetto su frasi dimezzate, vomitando su ogni persona o cosa senza alcun controllo perché le sue critiche sono volte ad una realtà totalmente alienante dal vero.

A questo si aggiunge che lui sembra essere conscio della sua imminente morte a causa di una malattia non meglio specificata dal testo e proprio per questo ha intenzione di volersi concedere gli ultimi momenti di vita con l’ex compagna Cate (si apprende immediatamente che i due avevano avuto una relazione finita diversi anni prima a causa di Ian, che aveva smesso di chiamare la donna, quando era poco più che un’adolescente). Lei è, invece, una giovane donna vulnerabile, all’incirca di vent’anni, che accetta di ritornare fra le braccia del suo amante perché infelice della sua condizione sentimentale. All’inizio del racconto la porta si apre e Cate entra di corsa, preoccupata per lui, affascinata da ciò che vede, trasuda energia, spensieratezza, innocenza. Subito dopo entra Ian, sicuro di sé, sprezzante e maleducato, bramoso nel suo desiderio carnale, lui che spera non solo di riaccendere la loro relazione, anche se solo per un momento, prima che sia troppo tardi, ma che Cate possa accondiscendere ad ogni sua richiesta sessuale.

Immediatamente si individuano due personalità divere: Cate è di mentalità aperta, tollerante e caritatevole. Ian è razzista, misogino, omofobo, xenofobo. Cate non ha un lavoro, forse non ha mai lavorato in vita sua, anche se sembrerebbe aver fatto domanda di recente. Ian è un giornalista scandalistico ed è oppresso da qualcosa che lo perseguita. Mentre Cate è spensierata, Ian è nervoso, ansioso, persino paranoico. Cate è vegetariana, Ian è carnivoro.

Tutti questi aspetti emergono dalla loro interazione: Cate ha portato i bagagli. Ian no. Ian porta una pistola in una fondina da spalla, che controlla spesso per assicurarsi che sia carica. E in tutto questo scenario che si consuma tra sesso e amore, la guerra sta arrivando. Gli eserciti di un nemico senza nome si stanno avvicinando. Cate non è turbata da questo. Ian, invece, sembra rassegnato ad accettarlo e angosciato per quello che potrebbe accadere. Man mano che Cate e Ian si riavvicinano, emergono i rituali e le abitudini della loro precedente relazione. Ian è pronto all’ira, la sua sicurezza si rende insicurezza e talvolta si comporta in modo crudele quando si sente attaccato o rifiutato, anche se sembra fare marcia indietro per un po’, diventando più accondiscendente, ogni volta che Cate gli dice di no.

Anche se anche Cate è attratta da questi vecchi rituali, è chiaramente cambiata e cresciuta dall’ultima volta che si sono visti, per cui c’è una sicurezza e un autocontrollo in lei che ora le consente di cogliere Ian di sorpresa. Non è più un’adolescente. Probabilmente questa trasformazione è stata aiutata dal fatto che lei si è presa cura della madre e del fratello con bisogni speciali. Talmente è incisivo l’elemento familiare sulla psicologia delicata di Cate che, d’altro canto, da quando suo padre è ritornato in casa, ha iniziato ad avere alcune crisi psicologiche, che le provocano svenimenti e stordimenti di vario genere: a volte questi attacchi di durata variabile, minuti o addirittura settimane, costringono Cate a sentirsi intrappolata in una dimensione onirica in cui il tempo si ferma. Per Ian le crisi di Cate sono spaventose perché gli ricordano la morte: qui sgorga per la prima volta un velato sentimento amoroso di Ian verso la compagna, sebbene rozzo e mal articolato, è un’apertura che si rinnova nel corso dell’opera fino al tragico finale.

 

Chiude gli occhi e pian piano ritorna normale.

Guarda Ian e sorride

 

IAN Che c’è?

CATE Sono svenuta

IAN Ma facevi sul serio?

CATE Mi succede sempre.

IAN Crisi epilettiche?

CATE Da quando è tornato papà.

IAN Ti fa male?

CATE Il dottore dice che crescendo passerà.

IAN Come stai ora?

CATE (sorride)

IAN Sembravi morta.

CATE Più o meno è così.

IAN Non lo rifare, cazzo se mi sono spaventato.

CATE Non so che mi succede, parto. Posso star via un minuto o un mese magari, poi ritorno sempre dov’ero.

IAN È terribile.

CATE Non sono andata lontano.

IAN E se non tornavi più?

CATE Boh. Sarei rimasta lì.

IAN Non lo sopporto.

CATE Cosa?

IAN Morire. Non essere.

 

Seppur all’inizio le loro battute siano giocose e si noti un sincero affetto tra di loro, dopo che Ian ha ripetutamente confessato il suo amore per Cate, lei finalmente gli confessa di non poterlo ricambiare. A questo punto qualcosa cambia in Ian: sentendosi rifiutato, agisce in un modo talmente terribile da traumatizzare Cate, finché anche lui stesso smette, sentendosi confuso e inutile. Si rende conto di aver sbagliato – cosciente di aver sbagliato per molti anni – ma non sa capire come sfuggire ai propri schemi di comportamento: la sua unica preoccupazione è chi sia e cosa stia diventando. Questi atteggiamenti convincono Cate a comportarsi diversamente, sin dalla mattina dopo, lo spirito spensierato viene sostituito da rabbia, paura e tradimento. Annuncia che se ne va. Inizialmente Ian cerca di fermarla, ma alla fine si arrende.

 

IAN Quando sono con te non riesco a pensare a nient’altro. Mi porti lontano in un altro mondo.

CATE È così che mi sento quando ho le crisi.

IAN Sei veramente unica.

CATE Il mondo non esiste, non è come ora. Sembra uguale ma –

Il tempo rallenta –

È un sogno e io ci sono incastrata dentro, non ci posso far nulla.

Certe volte –

IAN Fai l’amore con me.

CATE Mi allontana da tutto

Altre –

IAN Faccio l’amore con te.

CATE È come quando mi tocco

 

Ian è imbarazzato

 

CATE Un secondo prima mi chiedo come sarà, un secondo dopo penso alla prossima volta, ma quando lo faccio è bello non penso a nient’altro.

IAN Come la prima sigaretta della giornata.

CATE Quella però ti fa male.

IAN Ora smettila, tu non ne sai niente.

CATE Lo so.

IAN Tu non sai niente. Ecco perché ti amo, e voglio fare l’amore con te.

CATE Non puoi.

IAN Perché no?

CATE Io non voglio,

IAN Che ci sei venuta a fare qui?

CATE Ti ho sentito triste.

IAN Fammi contento.

CATE Non posso.

IAN Per favore.

CATE No.

IAN Perché no?

CATE Non posso

IAN Sì che puoi.

CATE Come.

IAN Lo sai.

CATE No.

IAN Per favore.

CATE No.

IAN Io ti amo.

CATE Io no.

 

Ian si gira.

Vede il mazzo di fiori e lo prende.

 

IAN Questi sono per te.

 

Buio. Rumore di pioggia primaverile.

 

Cate entra nel bagno per fare un bagno prima di tornare a casa.

A metà dei giochi sessuali, un soldato irrompe nella stanza: da questo momento sembra svolgersi uno spettacolo nello spettacolo o un altro tipo di dramma, non più ambientato a Leeds.

 

SOLDATO Lei è lì dentro?

IAN Chi?

SOLDATO Sento l’odore del sesso.

(Comincia a rovistare nella stanza).

Sei un giornalista?

IAN Io –

SOLDATO Passaporto.

IAN Perché?

SOLDATO (lo guarda).

IAN Nella giacca.

 

Il soldato rovista nei cassetti del comò.

Trova un paio di mutande di Cate e le mostra con un sorriso.

 

SOLDATO Sue?

IAN (non risponde).

SOLDATO O tue.

(Chiude gli occhi e se le strofina delicatamente sul viso, annusando con piacere).

Com’è?

IAN (non risponde).

SOLDATO È morbida?

È? –

IAN (non risponde).

 

Il Soldato si mette le mutande di Cate in tasca e va verso il bagno.

Bussa alla porta. Nessuna risposta.

Cerca di aprire la porta. È chiusa a chiave. La forza ed entra.

Ian aspetta, in preda al panico.

Si sente il rumore dei rubinetti che vengono chiusi.

Ian guarda fuori dalla finestra.

 

Blasted si complica, in poco tempo si amplia lo spettro di un meccanismo più universale e inquietante. Nell’ultimo passaggio, il più violento, esplode senza alcun preavviso una bomba, in una panoramica che trascina all’interno della stanza la guerra, e gli stupri di massa. Non c’è più un confronto uomo-donna, bensì un confronto umano-umano: il soldato stupra Ian, dopo aver ricordato la disumanizzazione fuori da quello spazio.

Tutto ciò che sembrava vero si rivela una falsità: in quei pochi metri è caduta una bomba che ha distrutto ogni uomo lì presente. La guerra ha stuprato non i corpi ma le coscienze dei tre. Il soldato ha voluto che Ian, in quanto giornalista, saggiasse le atrocità belliche così da poter raccontare una sua versione della storia.

Nella quinta scena Cate torna in scena con una bambina, un suo doppio che, morta, viene sepolta sotto le assi del pavimento.

 

Cate sta seppellendo la bambina sotto le tavole del pavimento.

 

Si guarda attorno e trova due pezzi di legno. Strappa la fodera della giacca di Ian lega assieme i due legni a formare una croce che incastra tra le tavole.

Raccoglie alcuni dei fiori sparsi a terra e li mette sotto la croce.

 

CATE Non so come si chiama.

IAN Non importa. Nessuno verrà a farle visita.

CATE Dovevo occuparmi io di lei.

IAN Presto potrai seppellirmi accanto a lei e a ballare sulla mia tomba.

CATE Che tu non provi dolore che tu non sappia nulla di ciò che non devi sapere –

IAN Cate.

CATE Ssst.

IAN Cosa stai facendo?

CATE Prego. Non si sa mai.

IAN Pregherai anche per me?

CATE No.

IAN Quando sarò morto, non ora.

CATE Non serve se sei morto.

IAN Per lei preghi.

CATE È una bambina.

IAN E allora?

CATE È innocente.

IAN Non mi puoi perdonare?

CATE Che tu non veda brutte cose, che tu non capiti in brutti posti –

IAN È morta, Cate.

CATE Che tu non incontri nessuno che ti faccia brutte cose –

IAN Non succederà, Cate, è morta.

CATE Amen.

 

Tutti questi fili convergono in una medesima destinazione: è necessario sgranare gli occhi sulla violenza che ci circonda e allontanarci da essa scegliendo invece compassione, misericordia e gentilezza. Non è facile – Kane si assicura che si veda quanto sia difficile, quasi impossibile, scegliere di trattare con compassione la persona che ti ha perseguitato – ma è l’unica via d’uscita, comprendere l’orrido per esorcizzarlo dalla propria pelle. Ian, Cate e il soldato sono uniti non solo dalla violenza e dal trauma, ma anche da tratti teneri che tutti gli esseri umani condividono: solitudine, desiderio di connettersi con altre persone, desiderio di amare ed essere amati e, naturalmente, paura. Questi sono aspetti della vita di tutti, in una certa misura, e in questi si possono trovare dei punti in comune per affinare l’empatia. Il linguaggio di Ian perpetra tale atrocità dettata dal rifiuto e dal contrasto totale e decisivo del mondo fuori da quella stanza che si trasforma di fatto in una camera ardente d’amore (nella quarta scena il soldato si spara un colpo di pistola in testa), mentre Ian scende nel suo personale inferno di disperazione, la scena si dissolve in scene sconnesse.

 

In Dannati, Sarah Kane è stata capace di dare una nuova visione dello stupro, modificando il solito luogo comune che vede la donna stuprabile e l’uomo stupratore: alla luce dei tentativi femministi di recidere i ruoli di genere, il testo potrebbe essere interpretato come una rappresentazione estrinseca di un progresso in cui l’opposizione binaria del maschile e del femminile può essere cancellato, ponendo l’attenzione narrativa sullo stupro subito da un uomo e non da una figura femminile. Tuttavia, sebbene l’unico stupro fisico venga patito da Ian, è solo Cate ad essere violentata in senso sociale – non sfugge effettivamente dalla scena di stupro a cui assiste dalla finestra del bagno, confermando così la costruzione patriarcale dell’“oggetto stupro” come esclusivamente femminile: anche quando un uomo viene stuprato, viene stuprato in quanto “donna”. Nonostante Kane aderisca alla tradizionale critica femminista dello stupro, si pone nell’ottica di costruire uno spazio sociale che genera le scene vivide di violenza attraverso cui decide di sfruttare il corpo del personaggio maschile per la rappresentazione metonimica di uno stupro femminile: Cate, seppur inizialmente sia fragile e ingenua, poi si rivela masochista da un lato, capovolgendo dall’altro il ruolo di Ian evoluto in qualcuno di debole e passivo, dunque femminile, pertanto vittima di una violenza maschile aggressiva da parte del soldato.

 

[1] JOHN KEATS, da una lettera a J.A. Hessey (8 ottobre 1818).

[2] Il titolo tradotto in italiano Dannati non corrisponde ad una traduzione letterale, sebbene la traduttrice avrebbe potuto scegliere Scoppiati, «di cui però non amavo l’impronta un po’ trendy-giornalistica» o Dilaniati, «che mi pareva troppo letterario». In Note della traduttrice, KANE 2000, p. 4.

[3] SAUNDERS 2002, pp. 92-93.

 

BIBLIOGRAFIA 

S. KANE, Tutto il Teatro, Torino Einaudi 2000.

S. KANE, Blasted, Londra, 2002.

O. KELLY, Women as Weapons of War: Iraq, Sex, and the Media, New York 2007.

M. LUCKHURST, Infamy and Dying Young: Sarah Kane, 1971-1999. Theatre and Celebrity in Britain, 1660-2000. Eds. Mary Luckhurst and Jane Moody. New York 2005.

G. SAUNDERS, Love Me or Kill Me, Boston 2002.

A. SIERZ, In-Yer-Face Theatre: British Drama Today, Londra 2001.

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