Prima di diventare padrone incontrastato di Roma, Giulio Cesare dovette fronteggiare la minaccia marittima dei pirati che nella prima metà del primo secolo a.C. infestavano il mar Mediterraneo.
Il triumviro, il conquistatore, il dittatore. Ancora oggi Gaio Giulio Cesare, emblema della tarda età repubblicana e personaggio tra i più noti della storia dell’uomo, continua a far parlare di sé per i suoi successi militari e politici, la sua arguzia e la determinazione grazie alla quale inaugurò una nuova era, conquistando un potere personale che qualche secolo prima Roma aveva tentato di bandire per sempre.
Eppure, in gioventù, la dominazione sillana complicò non poco i piani di un giovane e ambizioso Cesare. Da buon rappresentante del partito popularis, infatti, il futuro padrone di Roma finisce ben presto nel mirino di Lucio Cornelio Silla, che in lui a detta di Svetonio vede – tutt’altro che a torto, dato che, essendo nipote di sua moglie, Cesare era legato a Mario anche da un rapporto di parentela – “molti Gaio Mario”, un modo per far intendere ai suoi fedelissimi il rischio di lasciare in vita un uomo tanto valente quanto arroccato su posizioni politiche completamente opposte.
Nonostante le continue minacce di Silla, Cesare riesce comunque ad avere salva la vita, ma le continue fughe da Roma e dalle vendette degli optimates lo portano ad imbattersi con un pericolo non meno concreto, quello dei pirati che all’epoca – qualche anno prima della risolutiva campagna di Pompeo – infestavano il Mediterraneo.
È il 75 a.C. quando, in rotta verso Rodi per il viaggio di istruzione in Grecia tipico dei rampolli romani di buona famiglia, l’imbarcazione di Cesare cade preda dei pirati di Cilicia. Plutarco racconta che i suoi carcerieri chiesero venti talenti in cambio del riscatto del futuro dittatore, che per tutta risposta scoppiò a ridere loro in faccia: troppo pochi per uno come lui, che giurò di provvedere di sua iniziativa a fargliene avere cinquanta.
Detto, fatto: mentre Cesare e il suo carisma fanno breccia nell’equipaggio finendo per prendere il controllo della nave, deridendo, minacciando e comandando a bacchetta i carcerieri, i suoi uomini di fiducia chiedono aiuto alle città costiere dell’Asia – Mileto in primis – che raccolgono la cifra fissata da Cesare per affidarla alle mani dei pirati, esterrefatti di fronte a una tale somma di denaro.
Restava però ancora un’ultima cosa da fare. Armate delle navi da privato cittadino, Cesare salpa da Mileto e parte, come promesso, all’attacco dei pirati. Dopo lo scontro navale in pochi riescono a sfuggire alla cattura, ma la sentenza del propretore d’Asia Marco Iunco, ingolosito secondo Velleio Patercolo dalla prospettiva di un’eventuale rivendita degli stessi pirati sul mercato degli schiavi, tarda ad arrivare. È ancora una volta Cesare, dunque, a prendere l’iniziativa, tornando in mare e provvedendo personalmente alla crocifissione dei suoi ex carcerieri.
Bibliografia:
Plutarco, Vita di Cesare
Svetonio, Vita di Cesare
Velleio Patercolo, Storia romana
L. Canfora, Giulio Cesare. Il dittatore democratico, Bari 1999.