La premessa
Se da una parte di Pompei dal punto di vista archeologico si conosce quasi tutto, delle vittime dell’eruzione abbiamo spesso un’immagine evanescente, emotiva, di cui ancora poco si sa, se non dopo l’invenzione dei calchi in gesso di Giuseppe Fiorelli. Il primo rinvenimento di una vittima risale al 19 aprile 1748, assieme ad un suo tesoretto di 18 monete di bronzo e una d’argento al di sopra dello strato di pomici. Gli scavi avviati proprio in quell’anno da Carlo di Borbone erano chiaramente intenzionati, sulla scia delle grandi scoperte archeologiche orientali, a tirare fuori quanto di più prestigioso e ricco: edifici quindi, ma anche e soprattutto preziosi di ogni genere.
Delle vittime fino a quel momento nessuna menzione, se non in appositi Diari in cui si annotavano le scoperte del giorno. Naturalmente in diverse aree della città cominciano a riaffiorare “gli abitanti” che non sopravvissero alla catastrofe e questo man mano cominciò per certi versi ad interessare gli scavatori e le autorità stesse, forse più di case e monumenti. La fantasia non mancava e allora tra le annotazioni suggestive sono le immagini: di vittime incatenate, schiavi morti senza poter fuggire (come avvenne infatti per un gruppo di quattro corpi ritrovati il 20 dicembre 1766 in un ambiente aperto su un porticato) o della donna, sicuramente una matrona amante di un gladiatore e perita riccamente adorna di gioielli e monili dopo un incontro passionale.
Il diffondersi delle notizie e della curiosità, da parte delle corti europee, per quanto avveniva e veniva scoperto a Pompei fu determinante per l’inserimento della città antiche di tappe obbligate per gli illustri ospiti del Regno.
L’imperatore Giuseppe II d’Aragona in visita a Ferdinando IV, assieme alla moglie, a Francesco La Vega e a William Hamilton – oltre a visitare attentamente man mano le rovine che tornavano alla luce – , si impressionò notevolmente alla scoperta di una vittima in un’abitazione vicina al Foro Triangolare, inaugurando in un certo senso una lunghissima stagione emotiva in cui musicisti e scrittori produssero varie opere, proprio rievocando i poveri abitanti di Pompei. Non mancarono nemmeno episodi di pruderie: la famosa Arria Marcella del romanzo di Théophile Gautier, dove il seno impresso nel frammento di cenere di una donna ritrovata nella villa di Diomede appare, durante una visita notturna a Pompei, al protagonista come simbolo della bellezza e della classicità.
Una tappa fondamentale nella storia dei rinvenimenti ossei avvenne il 5 febbraio 1863, quando l’allora direttore Fiorelli ebbe l’intuizione di ricavare il calco dei corpi versando, all’interno delle cavità che venivano scoperte nello strato di cenere depositato dai surges, del gesso allo stato liquido.
La scoperta suscitò all’epoca un’incredibile sensazione, tanto da essere tutt’oggi citata come una delle grandi invenzioni della Pompei moderna. Negli anni successivi e fino ai nostri giorni si sono recuperati numerosi calchi di corpi umani e animali, tra i quali possiamo ricordare nel 1914 i quattro corpi su un totale di nove della Casa del Criptoportico, nel 1961 i tredici corpi nel cosiddetto orto dei Fuggiaschi e i dieci corpi negli scavi condotti fino dal 1958 e fino alla metà degli anni ’70 nell’Insula Occidentalis.
Ma cosa sappiamo di queste vittime dell’eruzione? Chi erano e che rapporti avevano tra di loro e con la società della Pompei del 79 d.C.? A parte le ricostruzioni fantasiose che spesso accompagnano queste vicende, le moderne tecnologie oggi permettono uno studio approfondito del DNA di questi individui.
La nuova ricerca
Lo studio internazionale, pubblicato in Current Biology e condotto da Elena Pilli, Stefania Vai, Victoria Carley Moses, Stefania Morelli, Martina Lari, Alessandra Modi, Maria Angela Diroma, Valeria Amoretti, Gabriel Zuchtriegel, Massimo Osanna, Douglas J. Kennett, Richard J. George, John Krigbaum, Nadin Rohland, Swapan Mallick, David Caramelli, David Reich, Alissa Mittnik, coinvolge prestigiosi enti di ricerca come le Università di Firenze, di Harvard, della California a Santa Barbara, della Florida, la Harvard Medical School e il Max Planck — Harvard Research Center for the Archaeoscience of the Ancient Mediterranean di Lipsia e di Cambridge MA. Le analisi sono state effettuate sui resti scheletrici, molto frammentati e mescolati coi calchi, di 14 vittime provenienti da Villa dei Misteri, dalla Casa del Criptoportico e dalla Casa del Bracciale d’oro, vuole comprendere a fondo le diversità e le origini degli abitanti attraverso l’analisi del DNA e i dati degli isotopi dello stronzio.
Come riportato il 7 novembre 2024, in Current Biology, l’evidenza del DNA mostra che i sessi e le relazioni familiari degli individui a Pompei non corrispondono alle interpretazioni tradizionali che erano state formulate in gran parte dalle ipotesi moderne.
“I dati scientifici che forniamo non sempre si allineano con le ipotesi comuni”, afferma David Reich dell’Università di Harvard. “Un esempio degno di nota è la scoperta che un adulto che indossa un braccialetto d’oro e tiene in mano un bambino, tradizionalmente interpretato come una madre con il figlio, erano invece un maschio adulto e un bambino non correlati. Similmente, una coppia di individui che si pensava fossero sorelle, o madre e figlia, include invece almeno un individuo geneticamente maschio. Questi risultati mettono in discussione le tradizionali ipotesi di genere e familiari.”
Il gruppo di studio, che comprende Alissa Mittnik, anch’essa dell’Università di Harvard, e David Caramelli dell’Università di Firenze, ha capito che il DNA antico, con gli isotopi di stronzio utilizzati per datare i campioni, potrebbero aiutare a comprendere meglio la diversità e le origini degli abitanti di Pompei. Per capire tali diversità hanno estratto il DNA da resti scheletrici altamente frammentati che si erano mescolati coi calchi in gesso, concentrandosi su 14 degli 86 calchi pompeiani in fase di restauro.
L’obiettivo dei ricercatori è stato quello di ricavare più informazioni possibili da questi campioni e il loro approccio multidisciplinare ha permesso di determinare con precisione i rapporti genetici, il sesso e l’ascendenza di questi individui. Ciò che i ricercatori hanno scoperto è in gran parte in contrasto con le ipotesi di lunga data, basate esclusivamente sull’aspetto fisico e sul posizionamento dei calchi.
I dati genetici hanno offerto informazioni sull’ascendenza dei Pompeiani, rivelando come questi avessero background genomici diversificati. Discendono principalmente da immigrati recenti provenienti dal Mediterraneo orientale, dall’Anatolia e dal Nord Africa. Secondo i ricercatori, il risultato evidenzia ancora di più la natura cosmopolita dell’Impero romano e testimonia della grande mobilità che avveniva all’interno dei suoi confini.
“Le nostre scoperte hanno implicazioni significative per l’interpretazione dei dati archeologici e per la comprensione delle società antiche”, afferma Mittnik. “Essi sottolineano l’importanza di integrare i dati genetici con le informazioni archeologiche e storiche per evitare interpretazioni errate, basate su ipotesi moderne. Questo studio sottolinea anche la natura diversa e cosmopolita della popolazione di Pompei, che riflette modelli più ampi di mobilità e scambio culturale nell’Impero romano.”
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Riferimenti bibliografici:
Pilli et al. “Ancient DNA challenges prevailing interpretations of the Pompeii plaster casts”, Current Biology,
DOI: http://dx.doi.org/10.1016/j.
Materiali stampa da Cell Press.