Andrea Emo Capodilista, allievo di Giovanni Gentile, non si è mai laureato né ha mai pubblicato i suoi scritti. È possibile, tuttavia, fruire dei suoi pensieri attraverso delle edizioni postume. In questo articolo, faremo riferimento soprattutto al capitolo riguardante il potere, presente in Verso la notte e le sue ignote costellazioni.

Verso la notte e le sue ignote costellazioni Andrea Emo Capodilista
La copertina del libro Verso la notte e le sue ignote costellazioni. Scritti sulla politica e la storia, di Andrea Emo Capodilista. Edizione a cura di Massimo Donà e Raffaella Toffolo, con introduzione di Emanuele Severino e postfazioni di Massimò Donà e Romano Gasparotti, pubblicata da Gallucci

Emo ci fornisce, in primo luogo, una definizione semplice: “Il potere è un diritto della forza. La fonte del diritto è la forza” (A. Emo, Verso la notte e le sue ignote costellazioni, p. 121).

Andrea Emo Capodilista potere
Andrea Emo Capodilista. Foto di Gierre, CC BY-SA 4.0

Il potere è impermeabile rispetto all’ideologia, alla giustificazione razionale, alla falsificazione discorsiva; rimane comunque un atto di forza.

Così, il diritto: esso non è l’espressione della giustizia né tantomeno il risultato di un patto sociale. Esercitare il potere è un’esperienza onnipervasiva, che coincide con la vita; non è una prerogativa delle élite o delle soggettività rivoluzionarie.

Per Emo, il potere è individuale, assoluto e senza fondamento.

Per individuale non si intende ciò che riguarda un singolo essere umano, ma ciò che afferisce ad una unità che tenta di superare la molteplicità, di esserne il principio superiore, di trascenderla.

“L’al di qua è sociale, questo mondo è sociale; l’al di là è l’individuale. L’al di là, l’assoluto del sociale, non è l’interiorità dell’individuo” (Ivi, p. 131).

La socialità, come evidenza delle differenze e somma delle individualità empiriche, produce il proprio superamento, cerca un principio diverso da sé che la spieghi, la salvi, la oltrepassi:

“La socialità crea ciò che le è superiore, cioè il Potere, che è di sua natura assoluto. È al potere assoluto, cioè ad una trascendentale forma di immoralità, che la moralità sociale […] conduce” (Ibidem).

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Veniamo dunque al carattere assoluto del potere. Per assoluto si intende ciò che riguarda la totalità. In effetti, il dominio non è mai parziale:

“Chi conquista il potere, conquista anche il potere di creare o modificare le menti con cui questo potere sarà giudicato. Il potere è e sarà così sempre assoluto” (Ivi, p. 130).

L’egemonia non consiste mai solo nel mero controllo sensibile ma è anche un’egemonia culturale, che permette la gestione dei criteri con cui si giudica l’egemonia stessa. L’influenza, che si esercita sui corpi, si esercita contemporaneamente sulle menti. Se il potere è individuale e assoluto, sarà anche senza fondamento, cioè refrattario alle spiegazioni razionali e morali:

“Quali giustificazioni può avere il potere? Tutte e nessuna. Esso, in realtà, è giustificato da se stesso, dalla sua natura universale e sacrale. […] Esso non ha fondamento alcuno; perciò è tutto; perciò è niente. Come tutto ciò che è assoluto. Come la vita” (Ivi, p. 133).

Come si trasmette il potere? Come passa da un’individualità assoluta ad un’altra? Emo ritiene che l’esperienza cardine, in questo caso, sia la persecuzione. Essa permette al perseguitato di vincere la morte, di risorgere, di sacralizzarsi:

“La condanna decerne alla vittima il nuovo potere, che è sacro perché battezzato alla morte. La trasmissione del potere è una consacrazione mediante la morte. Il potere è sacro quando è resurrezione […]” (Ivi, p. 125).

Detto ciò, si pone inevitabilmente il problema della conoscenza del potere. Conoscere, per Emo, significa stabilire un principio di spiegazione superiore alla cosa conosciuta. Pertanto, la conoscenza è conoscenza di un’inferiorità. Essendo il potere proprio il principio superiore, è inconoscibile. Questo cosa significa? Che è impossibile individuarlo? Che non è rintracciabile?

Niente di tutto ciò. Il potere è inconoscibile perché non ha un principio di spiegazione superiore a sé, e dunque si spiega da sé:

“Il potere, il potere del dominatore è un valore in sé, che si trasmette al dominato; è una superiorità che il dominato riconosce e mediante cui conosce la propria inferiorità; e questa coscienza della propria inferiorità è appunto l’unica superiorità di cui l’uomo possa fruire” (Ivi, p. 128).

Il potente è stupido, non a caso: “La tragedia del dominatore […] è che egli non può conoscere, riconoscere, ammettere, la propria inferiorità; che egli deve rinunciare a questa benedizione” (Ibidem).

Il potere è un atto di forza, individuale, assoluto, senza fondamento che non ammette chiarimenti ulteriori. È sé stesso. Comprendere il potere è ammetterne l’esistenza, come mistero violento che ha generato le differenze, le disparità, le iniquità. Questo è il destino apparente che nessuno – o quasi – osa confessare: “forse perché la confessione e la volontà del fato sarebbero la vittoria sul fato” (Ivi, p. 149).

 

Riferimenti bibliografici

Andrea Emo, Verso la notte e le sue ignote costellazioni, Gallucci, Roma 2014.

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