Io non cancello – La mia vita fraintesa, di Emilio Isgrò con Chiara Gatti: il destino della parola

“In Italia non accade mai niente di davvero contemporaneo” quante volte abbiamo sentito dire questa frase? Sono proprio questi pensieri che tendono ad affievolire il vento necessario per proseguire nel viaggio della nostra identità culturale.
Così talvolta deponiamo la fiducia nel divenire del mondo sempre altrove, in luoghi lontani, forse mai visti: Dubai, Montecarlo, Hong Kong, Los Angeles, e così via.
E intanto mentre in tanti si accapiglino per scoprire una novità, o per un frammento di visibilità, qualcosa continua ad accadere. Come se un pudore quasi sacro la circondasse di una qualche preziosità, preservandola dalla luce del presente.
Vorrei parlarvi di una di queste preziosità preservata a lungo dalle luci del presente che oggi trova felice riconoscimento in Italia e all’estero. Un artista che ci fa vedere quanto le parole siano importanti, dando loro nuova vita, qualcosa che attraversa da sessant’anni circa la Storia della nostra Penisola e che trova sempre molteplici forme espressive: un recente documentario su di lui, mostre nei più importanti musei e anche un libro leggero e leggibile, che ci arriva dopo tanto viaggiare.
“Io non cancello – La mia vita fraintesa” di Emilio Isgrò con Chiara Gatti, edito da Solferino Libri, è anche – tra le tante cose – tutto questo.
Per chi non conoscesse Emilio Isgrò, siamo davanti a un artista contemporaneo che dagli anni ’60 ha dato vita al suo progetto d’arte che oggi è riconosciuto da tutti come “cancellatura”. Per esemplificare è l’artista che ha “cancellato” l’enciclopedia Treccani e la Costituzione italiana.

Nato poeta, parte dalla Sicilia per sbarcare a Milano, dove diventa giornalista. A Venezia scriverà per la redazione del Gazzettino nelle pagine dedicate alla cultura, poi già artista contemporaneo tornerà a Milano, sua nuova casa, lavorando all’intuizione avuta nel 1964 della “cancellatura”, sviluppando il suo primo nucleo in progetti sempre più ampi e articolati che lo porteranno fin dentro al Quirinale, e finalmente stimato artista, oltre i confini nazionali.
“Lo scarto, l’opacizzazione, la censura, l’iconoclastia, l’oblio, il negazionismo, il revisionismo sono lontanissimi da un’idea di cancellatura che lascia affiorare l’essenza, che modifica, agisce creativamente sul testo, per sottolinearne l’anima e la potenza” (p. 195).
Chi per sbaglio ha letto i miei articoli sull’arte contemporanea sa che una delle mie priorità è quella di trovare delle chiavi di accesso ad un mondo che ci pare sempre oscuro e poco comprensibile.

Il libro di Isgrò è a mio avviso anche un ottimo passaggio attraverso il mondo dell’arte americana e italiana, attraverso il punto di vista di un artista che ha vissuto in stretto contatto con la cultura italiana dagli anni ’60 ad oggi, e che non ha mai smesso di interrogarsi sul suo operare e su quello dei suoi colleghi.
“Ma, davanti all’avanzata dell’arte americana più corriva e compiacente e della cultura dell’immagine in un’epoca ridondante di media così travolgenti da renderci ciechi io trasformai in immagine la parola come avevano fatto i cubisti e i futuristi a inizio secolo, quando inserivano strappi di giornale nella pittura, per creare valori emotivi fondati sulla verbalità” (p. 97).

Nel leggerlo ho potuto rivivere l’incredibile fermento della Milano degli anni d’oro, che hanno reso la città quello che conosciamo, ripassando alcuni dei momenti salienti della vita culturale della penisola, mentre al tempo stesso approfondivo con piacere il senso del gesto d’arte che hanno reso Emilio un poeta del nostro tempo.

Un libro che potrebbe soprattutto aprire a due considerazioni importanti per me: cosa lasciare e cosa tenere nel crescente caos in cui ci troviamo, e quale sia la strada sacra da seguire per tornare ad appropriarci del nostro presente senza perdere di vista il mondo che ci circonda.

Il libro recensito è stato cortesemente fornito dalla casa editrice.
