5 Febbraio 2015

Jackson Pollock, Alchemy – Venezia, Collezione Peggy Guggenheim. Effetto Restauro

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Con questa breve esposizione allestita all’interno del Laboratorio di Restauro dell’Opificio delle Pietre Dure, la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia vuole ringraziare l’istituto del MIBACT, Direzione Generale Educazione e Ricerca, per aver ospitato e restaurato, in una collaborazione eccezionale con il museo veneziano, Alchemy, una delle opere più amate della collezione di Peggy e icona dell’arte del XX secolo.

La Fondazione Solomon R. Guggenheim ha avviato a giugno 2013 un impegnativo e importante progetto di studio della tecnica di esecuzione e dei materiali costitutivi dei dieci dipinti di Jackson Pollock presenti nella collezione.
Queste opere risalgono al periodo fra il 1942 e il 1947, quando Peggy Guggenheim intuì il talento di Pollock e decise di offrirgli un contratto attraverso la sua galleria “Art of This Century”. Si tratta di dipinti molto importanti nella produzione dell’artista perché documentano il momento di transizione da un linguaggio astratto-figurativo, relativamente tradizionale, alla tecnica del dripping o pouring, cioè dello sgocciolamento della pittura sulla tela stesa a terra, che costituisce il contributo rivoluzionario della sua arte.
L’esame analitico dei dipinti ha coinvolto fin dal suo inizio l’intervento dell’Opificio delle Pietre Dure, nella scelta delle preliminari indagini scientifiche non invasive, coordinate dai dipartimenti di conservazione della Collezione Peggy Guggenheim, dal Museo Solomon R. Guggenheim di New York e dall’Opificio stesso, che hanno visto il fondamentale contributo di molti degli istituti di ricerca, universitari e del CNR, che da anni affiancano le attività dell’Opificio dando luogo ad una rete di eccellenze nel campo della diagnostica per i Beni Culturali, in Italia.
In una seconda fase fondamentale del progetto, Alchemy è stata trasferita a Firenze per continuare il progetto di studio e per un intervento di restauro presso l’Opificio delle Pietre Dure. Le operazioni hanno previsto ulteriori analisi e prove in preparazione al meticoloso intervento di pulitura della complessa superficie pittorica dell’opera, costituita da diversi strati di smalto, resina alchidica e colori a olio, sabbia e sassolini, il tutto combinato in un impasto denso, aggrumato in una pittura a forti rilievi tridimensionali, schizzi e sgocciolamenti. Alchemy, realizzata nel 1947, è infatti uno tra i primissimi dripping di Pollock e costituisce quasi un manifesto della tecnica. Dal punto di vista conservativo, la pulitura si è resa necessaria per rimuovere lo strato di sporco accumulatosi negli anni, che aveva compromesso la qualità estetica del dipinto, opacizzando i colori e diminuendo la percezione della tridimensionalità della materia.
Alla fine della breve anteprima fiorentina di “Effetto Restauro”, l’opera rientrerà a Venezia dove sarà inaugurata una mostra scientifica sullo studio e sull’intervento di restauro: “Alchimia di Jackson Pollock: viaggio all’interno della materia”, che aprirà il 14 Febbraio 2015 (a cura di Roberto Bellucci e Luciano Pensabene Buemi).
Scheda sull’opera
Alchemy (Alchimia) è uno dei primi dipinti realizzati con la tecnica rivoluzionaria del ”dripping” (sgocciolamento), che rappresenta il più significativo contributo di Jackson Pollock all’arte del XX secolo. Dopo una lunga riflessione davanti alla tela intatta Pollock usa tutto il suo corpo come strumento nel processo di realizzazione della pittura, che può essere descritto come un disegnare con vernice. Versando da un contenitore sulla tela pittura commerciale con l’aiuto di bastone, Pollock rende sorpassate le convenzioni e gli strumenti della pittura tradizionale da cavalletto. La linea non serve più per descrivere figure o contenere forme, ma esiste come evento autonomo che riproduce sulla i tela i movimenti del corpo dell’artista. La linea si assottiglia o si ispessisce, acquista velocità o scorre lentamente, e la sua apparenza si modifica a seconda della casualità con cui il materiale si dispone, sgocciolando, formando delle pozze o delle bolle.?Se si osserva quest’opera a distanza, le grandi dimensioni e l’equilibrio di forze fanno sì che il dipinto sia vissuto come ambiente. La superficie irregolare è come un muro su cui sono tracciati segni primitivi, realizzati spremendo direttamente dal tubetto il colore bianco.
(Lucy Flint, dalla scheda sul sito web della Peggy Guggenheim Collection
Colophon  dell’intervento di restauro
Opificio delle Pietre Dure – Firenze
MIBACT
Direzione Generale Educazione e Ricerca
Direttore Generale: Caterina Bon Valsassina
Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro
Soprintendente: Marco Ciatti
Direzione del restauro:
Marco Ciatti e Cecilia Frosinini (per l’OPD);
Gruppo di progettazione e coordinamento del restauro:
Roberto Bellucci, Francesca Bettini, Marco Ciatti, Cecilia Frosinini, Patrizia Riitano, Oriana Sartiani (per l’OPD)
 Peggy Guggenheim Collection, Venezia
Direttore
Philip Rylands
Direzione del restauro
Luciano Pensabene Buemi (per la PGC, Venezia); Carol Stringari (Fondazione Solomon R. Guggenheim, New York)
Gruppo di progettazione e coordinamento del restauro:
Luciano Pensabene Buemi e Philip Rylands (per la PGC); Carol Stringari (Fondazione Solomon R. Guggenheim, New York); Susan Davidson e Gillian McMillan (Museo Solomon R. Guggenheim, New York)
Restauro: Francesca Bettini (OPD) e Luciano Pensabene Buemi (PGC)
Colophon  delle indagini diagnostiche
Opificio delle Pietre Dure
    Campagna fotografica
    Alfredo Aldrovandi con Giuseppe Zicarelli
    Fotografia ad alta risoluzione
    Roberto Bellucci
    Fotografia in luce radente
    Roberto Bellucci
    Fotografia in fluorescenza UV
    Roberto Bellucci
    Indagini diagnostiche:
    Alfredo Aldrovandi, con Ottavio Ciappi (Radiografia X)
    Roberto Bellucci (Multi-Vis-NIR, in collaborazione con INO-CNR, Firenze; falso-colore IR)
    Giancarlo Lanterna e Carlo Galliano Lalli (indagini chimiche e stratigrafiche; analisi al SEM/EDS)
    Isetta Tosini (caratterizzazione morfologica dei filati della tela e analisi biologiche)
INO- CNR, Firenze
    (misure spettrofotometriche e colorimetriche, analisi morfologica, conocopia del retro della tela)
    Raffaella Fontana, Marco Barucci, Anna Ginanneschi, Enrico Pampaloni, Marco Raffaelli, Jana Striova
ISTI-CNR, Pisa
    (Scansione tridimensionale e realizzazione del modello 3D)
    Roberto Scopigno, Marco Callieri, Matteo Dellepiane, Aurelia Lureau, Gaia Pavoni, Paolo Pingi, Marco Potenziani
CNR- ISTM, Perugia e SMAArt, Perugia
    (XRF, Raman, FT-IR, UV-Vis in assorbimento e in emissione)
    Costanza Miliani, Francesca Gabrielli, Chiara Grazia, Patrizia Moretti, Aldo Romani, Francesca Rosi
Università di Torino, dipartimento di Chimica inorganica, fisica e dei materiali, Gruppo Materiali Polimerici
    (pirolisi gas cromatografia/spettrometria di massa)
    Oscar Chiantore, Chiara Riedo
INFN, Sezione di Firenze
    (analisi al PIXE delle polveri)
    Pier Andrea Mandò, Maria Elena Fedi
Allestimento dell’anteprima “Effetto Restauro”
Opificio delle Pietre Dure – Firenze
    Ideazione e coordinamento: Roberto Bellucci, con la collaborazione di Giancarlo Penza e Filippo Lagna

Come da MIBACT, Redattore Renzo De Simone

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