La Lupa di Giovanni Verga: una favola familiare

Se, ad un approccio iniziale che ferma l’attenzione sul titolo, la nota novella di Giovanni Verga ”La Lupa” può essere letta come una favola, ad una più attenta analisi formale e interpretativa, volendo mantenere la definizione di favola, la si può definire come atipica, inversa, familiare e senza morale.

All’incipit tradizionale delle favole di Esopo o Fedro si sostituisce ”Era alta,…” con cui lo scrittore fornisce subito l’identikit della protagonista, rimandando a dopo la narrazione vera e propria della storia.

Era alta, magra; aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna […]Questa la descrizione fisica della donna che procede per aggettivi ed espressioni di possesso, e non esplicita il sostantivo o il soggetto cui si riferiscono, quasi a voler marcare e significare di più l’aspetto qualificativo-aggiuntivo che sostanziale.

La voce narrante disegna il ritratto della protagonista dal punto di vista della comunità a cui appartiene, partendo dall’aspetto di una donna che incarna le caratteristiche fisiche della lupa prima, i vizi poi.

Si verifica in questo modo il rovesciamento della favola tradizionale; infatti, mentre in essa sono gli animali ad essere antropomorfizzati, qui è una donna a subire il processo inverso, quello di metamorfosi animale che si realizza attraverso l’ingrandimento degli occhi, la magrezza, la fame insaziabile. Alcuni particolari, come le labbra fresche e rosse, la tengono invece ancora legata alla natura umana.

Il suo nome, la Lupa, quello con cui viene appellata dalla gente, testimonia lo stesso processo di trasformazione animale, legittimandosi come nome proprio.

Questa duplicità di nature diverse serve al narratore per distinguere la Lupa, una creatura “diabolica”, donna e bestia insieme, dal resto delle donne e dalla stessa Maricchia, sua figlia, povera, buona e brava ragazza al contrario della madre.

La Lupa
La novella La Lupa è stata pubblicata per la prima volta nella raccolta Vita dei campi da Treves nel 1880. Foto RKPhoto

Dopo una premessa necessaria a presentare al lettore la protagonista, è nella riga 24 che inizia la favola: “Una volta la Lupa si innamorò”. Questo è l’assunto fondamentale di tutta la novella, questa è la radice di tutto, il movente delle azioni a seguire.

Fino a questo momento, lei non era stata descritta né come una donna, né come una madre, ma solamente come un animale insaziabile.

Ma poi era nato l’amore per il giovane Nanni, un amore folle e violento, un amore passionale così travolgente da farle perdere la testa. “Te voglio!” queste le sue parole. Per un attimo un’illusione di conversione, di crescita e evoluzione positiva del personaggio, subito annullate con un colpo di spugna dalla risposta di Nanni “Ed io invece voglio vostra figlia, che è zitella!”

Così, contrariamente a ciò che si pensa di consueto, il sentimento dell’amore non rende la Lupa migliore, anzi la trascina in un vortice di errori pur di essere soddisfatto; e questo a causa dell’oggetto d’amore.

Nanni, infatti, da volpe astuta, consapevole dell’interesse della Lupa nei suoi confronti, le propone di sposare sua figlia Maricchia per garantire a se stesso una buona dote, una casa e una proprietà e accetta la presenza della suocera nella sua nuova casa.

Così facendo, diviene ben presto vittima consenziente del suo fascino fino a cadere nella rete. La loro relazione fatta di giochi di seduzione e dinieghi, incontri furtivi nell’aia, trecce riannodate e scenate di Maricchia, va avanti fino a quando rimane segreta alla gente del luogo. Nel momento in cui tutto quanto il paese ne viene a conoscenza, il falso perbenismo esaspera l’animo di Nanni fino al punto di minacciare con la scure in mano la Lupa.

Sicilia
Mare di Sicilia. Foto di  Pierluigi D’Amelio

Questa la scena finale della novella che, insieme all’interiezione di Nanni “Ah, malanno all’anima vostra”, lascia il lettore in sospeso e il finale aperto.

Una favola domestica questa e familiare, in cui c’è solo una protagonista, ribadita dallo stesso titolo; in cui non c’è il bene e il male, il vizio e la virtù, ma solo la Lupa, che rimane sotto i riflettori fino alla fine, nonostante il giudizio della comunità pesi come un macigno su di lei.

Foto di Rain Carnation

L’autore focalizza l’attenzione del lettore attraverso una prosa prevalentemente gestuale:

La Lupa si cacciò le mani nei capelli, grattandosi le tempie senza dir parola […] Maricchia non lo voleva a nessun patto; ma sua madre l’afferrò pe’ capelli […] egli andava ad aspettarla in cima alla viottola bianca e deserta, col sudore sulla fronte; – e dopo si cacciava le mani nei capelli, […] Nanni si diede a singhiozzare ed a strapparsi i capelli […].

Il lessico, caratterizzato da immagini ed espressioni ridondanti tipiche del linguaggio regionale parlato, se da un lato permette al lettore di partecipare alla storia da testimone oculare degli eventi, dall’altro non sembra palesare approvazione o disappunto da parte del narratore che rifugge invece da ogni intento moralistico sospendendo il giudizio o estraneandosene.

Giovanni Verga
Giovanni Verga, dal libro Giovanni Verga di Luigi Russo, Riccardo Ricciardi Editore, Napoli (1920). Foto di ignoto, in pubblico dominio
La Lupa
La Lupa, composizione di Antonella Alberghina su Canva, licenza d’uso

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