La Campania, nel corso della sua storia secolare, ha indubbiamente beneficiato dell’influenza di genti inserite nel felice clima di fluidità mediterranea per i secoli che vanno dall’VIII al V a.C. “Pompei e gli Etruschi” è la nuova mostra inaugurata nella Palestra Grande degli scavi della città vesuviana curata da Massimo Osanna e Stèphane Verger e vuole affrontare, dopo la complessa analisi di altri fenomeni come quello egizio e greco degli scorsi anni, la controversa questione dell’ “Etruria campana” e dei rapporti di contaminazione tra le èlite campane, etrusche e greche con al centro il caso simbolo di Pompei.
800 reperti provenienti dai più importanti musei italiani ed europei dialogheranno in 13 sale ed esamineranno le prime influenze etrusche sul territorio campano prima e dopo la formazione di Pompei fino al tracollo, sancito da una importante battaglia navale che rivoluziona nuovamente gli scenari politici. Materiali in bronzo, argento, terracotta, doni votivi da santuari di frontiera e urbani, corredi tombali, si confronteranno e daranno spunti di riflessione per nuovi studi e teorie, scardinandone alcune e rivoluzionandone altre. Una di queste riguarda Pompei: città greca o etrusca?
Fulcro della mostra gli oggetti ritrovati nel santuario extraurbano di Fondo Iozzino della città, tra i centri cultuali più importanti di Pompei assieme al Tempio di Apollo e di Atena che ha restituito materiale in bucchero, armi e iscrizioni in lingua etrusca. Questi materiali trovano un felice confronto con altri luoghi di culto non dissimili da Fondo Iozzino, sia per importanza che per qualità, e provenienti da altre due importanti città etrusche della Campania: Pontecagnano e Capua.
Le dinamiche degli incontri culturali, gli scambi di genti, di idee, di oggetti preziosi riportano sempre al grande bacino del Mediterraneo, culla di civiltà e di continui mescolamenti di popoli e ormai da tre anni proprio Pompei ospita grandi mostre che ne permettono, attraverso la cultura materiale, di ripercorrerne le trame più interessanti. La Campania, florida rotta commerciale, si ritrova al centro di questo grande traffico e offre interessanti spunti di analisi per lo studio di culture miste, lingue diverse e popoli integrati pacificamente e con la forza, con un occhio sempre proiettato al ruolo di Pompei e all’influenza che gli Etruschi ebbero sulla formazione della città.
I primi secoli della storia pompeiana sono poco noti perché gli strati più antichi furono distrutti dalle successive fasi sannitiche di III e II secolo a.C. Ma recenti studi, ormai unitamente e grazie ai recenti scavi, concordano che l’identità di Pompei, quella della prima città, è etrusca. Ignoto ci rimane però il nome con cui nel 600 a.C. venne fondata da Etruschi provenienti dall’Etruria interna perché le fonti non riportano notizie. La presenza di questi popoli in Campania non era nuova, già 300 anni prima durante l’epoca villanoviana, alcuni gruppi dell’Etruria meridionale avevano fondato Capua e Pontecagnano alla ricerca delle zone più fertili della regione. Italici ed Etruschi coabitavano tra terra e mare ma non formavano un’entità omogenea.
Nella seconda metà dell’VIII secolo, dall’isola dell’Eubea, a nord di Atene, i Greci fondarono l’emporio di Pithecusa sull’isola di Ischia e la potente città di Cuma nei Campi Flegrei, portando usi, costumi e la loro lingua. La Campania era sempre più aperta verso il Mediterraneo e le sepolture riunivano oggetti italici, etruschi e greci, ma anche oggetti provenienti dalle Alpi, dal sud Italia, fenici, sardi e orientali. Le più grandi importazioni erano gioielli, soprattutto parure e servizi da banchetto.
Alla fine dell’VIII secolo, la Campania era abitata da genti di provenienza diversa che si differenziavano dal punto di vista dell’ethnos, della lingua e per cultura. Tre erano i grandi gruppi linguistici: una lingua italica, l’osco e due lingue straniere: greco ed etrusco. Le relazioni tra comunità favorirono la creazione di culture ibride ma contribuirono anche all’inasprirsi dei conflitti armati per il possesso di terre ed il controllo del mare.
Intorno al 700 a.C. in quell’epoca definita orientalizzante per i continui scambi con i porti del Mediterraneo orientale, i principali centri della costa tirrenica erano controllati da potenti èlite aristocratiche che si facevano realizzare tombe sfarzose secondo una moda diffusa tanto in Etruria quanto nei centri campani etruschizzati di Capua e Pontecagnano. Il defunto della tomba Artiaco 104 di Cuma, principe tirrenico – orientalizzante è un caso simbolo. I suoi resti furono deposti in un calderone in argento come gli eroi omerici dell’Iliade: “Mangiava e beveva come un greco, portava abiti e armi etruschi e si comportava da re orientale”.
Nel VII secolo, la Campania, grazie alla maggiore richiesta di vino, olio e prodotti di lusso da parte dell’èlite occidentale, si ritrovò inserita sulle rotte del commercio arcaico. La costa si riempì di insediamenti che si trovavano lungo le rotte e prendevano parte ai vari commerci. Sull’isola di Ischia, precisamente nel villaggio di Punta Chiarito, diverse erano le coltivazioni di vino e qui arrivavano prodotti greci, campani ed etruschi in senso stretto. Le famiglie aristocratiche continuavano a farsi seppellire in modo misto e la fine del secolo vide fiorire anche la nascita di una nuova èlite media che si sviluppò tanto nei centri etruschi di Capua e Pontecagnano che a Cales nel nord della Campania e a Stabiae nella valle del Sarno. La cultura materiale si standardizza. Nascono botteghe di qualità ordinaria che producono bucchero nero etrusco e ceramica etrusco-corinzia di imitazione.
Questo è il contesto in cui Pompei si trova e questo è il contesto in cui altre città vengono fondate pressappoco contemporaneamente: Poseidonia nella piana del Sele è una di queste. Alla fine del VI secolo a.C. le necropoli hanno restituito ancora corredi misti formati da vasi greci figurati di grandissima qualità e vasi di bronzo provenienti da Vulci. Le iscrizioni attestano una popolazione mista in cui Greci ed Etruschi si incontravano al simposio come i convitati raffigurati sulla celebre lastra della tomba del Tuffatore ma nello stesso momento gli equilibri militari e politici che si spartivano il Tirreno cambiarono.
Gli Etruschi cominciarono a subire diverse sconfitte dagli eserciti di Cuma e una nuova città, Neapolis, si impadronì rapidamente delle reti commerciali che avevano precedentemente arricchito Pompei. Il 474 a.C. è la data spartiacque che segna il declino etrusco sul Tirreno e l’inizio di una crisi profonda che porterà sulla scena nuovi popoli, nuove genti e nuovi conquistatori. Campani e Sanniti, ma anche Lucani si stabiliranno nella piana del Sele e forse nella periferia della pianura campana contribuendo alla creazione di una nuova componente mista composta da Italici di origini diverse. Dalla fine del V secolo le nuove genti occuparono le città greche ed etrusche e la nuova lingua fu l’osco.
Una remota memoria etrusca si mantenne forse in un cimelio di famiglia. Un vaso di bronzo proveniente dalle prime collezioni del Museo di Napoli, una situla realizzata ad Orvieto nel VI o V secolo a.C. alla quale nel I secolo furono aggiunti piedi leonini alati e anse con satiri. L’oggetto doveva essere visibile in qualche dimora di Ercolano o Pompei al tempo dell’eruzione del 79 d.C.
Alla luce di questa complessa storia, Pompei e il suo territorio si rivelano un laboratorio eccezionale non solo per uno studio romano, ma anche per il variegato mondo multietnico che è stato e che è il Mare Nostrum.
La mostra sarà visitabile fino al 31 maggio 2019 nella Palestra Grande di Pompei ed è organizzata in collaborazione con Electa e il Museo Archeologico di Napoli.