La serata a Colono, l’Edipo di Elsa Morante

Alberto Moravia Elsa Morante La serata a Colono Edipo
Alberto Moravia ed Elsa Morante a Capri negli anni quaranta. Foto in pubblico dominio

Il 18 agosto 1912 nasce a Roma la scrittrice Elsa Morante. Moglie di Alberto Moravia, sposato nel 1941, con cui avrà una storia viscerale e sofferta, esordisce con la raccolta di racconti Il gioco segreto. Durante un lungo soggiorno a Capri, riprende in mano Menzogna e sortilegio saga familiare, dove insanabile è il contrasto fra realtà e illusioni, un volume di oltre 700 pagine partorito poi nel 1948, che la celebrerà con il premio Viareggio. Nel 1957 vince il Premio Strega, L’Isola di Arturo, romanzo nel quale ormai si delinea la sua scrittura poetica e realistica, con personaggi umili e di impatto che, come lei, scardinano il sistema conformistico per svelare il senso di un’umanità incompiuta. È nota per altre pubblicazioni come i racconti de Lo scialle andaluso e l’epopea collettiva La Storia, uscito tardo nel 1974 dopo un faticoso lavoro.

Busto di Sofocle al Museo Pushkin. Foto dell’utente Wikipedia ShakkoCC BY-SA 3.0

Nel 1968 Elsa Morante pubblica una rielaborazione dell’Edipo a Colono con il titolo La serata a Colono, che compare nel volume Il mondo salvato dai ragazzini, diviso in tre sezioni (Addio – La commedia chimica – Canzoni popolari) che raccoglie opere di vario tipo. Il sottotitolo «parodia»[1], così definito dalla stessa Morante, è un termine che allude al serio e al ridicolo, spiegato nel suo significato letterario – etimologico come controcanto o canto parallelo.

Edipo a Colono, Incisione di Antoine- Alexandre-Theodore Giroust. Iconographic Coll. folder 6357. Immagine Wellcome Images di Wellcome TrustCC BY 4.0

Una parodia amara, in cui la scrittrice ricerca l’autonomia dal mito, contaminandolo con varianti originali, concetti esistenziali e culturali di cui i personaggi sono portatori. Il testo, destinato alla sola lettura, è calato nella contemporaneità in un modo assai più tragico di quello sofocleo. Atto unico, modellato sull’influsso teatrale di Artaud: una città sconosciuta del centro-sud d’Italia, la scena si apre in un ospedale moderno (più precisamente siamo nel corridoio del reparto neuro-deliri, al piano terra), un Edipo cieco e malato di demenza senile e Ninetta, una “bambinetta”, fedelissima al padre, solo da lui chiamata Antigone:

 

EDIPO

[…] un vecchio accattone, ammasso di miserie infami, che invece d’occhi ha due coaguli di sangue,

accompagnato da una zingarella semibarbara e di pelle scura

/ come lui

 

povera guaglioncella malcresciuta per colpa della sua nascita, che in faccia ha i segni dolci e scostanti delle creature

di mente un poco tardiva.[2]

 

Edipo e Antigone sono gli unici due personaggi di questo dramma insieme al terzo grande personaggio, il Coro; gli altri sono comparse. L’azione viene spostata negli anni ’60, quindi più che memori eroi della tragedia classica, sono uomini dei nostri tempi. Edipo, un vecchio logorroico (parla in un linguaggio sovrabbondante, fastidioso ma allo stesso tempo evocativo), è esibito in un personaggio delirante (il tema del delirio è il coagulante dell’opera) alla ricerca del suo essere re, ma alla fine si abbarbica alla decadente ambizione della solennità.

Ninetta è, al contrario, una fanciulla semicolta, dall’aspetto quasi barbaro-popolare, che parla una lingua dialettale[3], come uno dei ragazzi di Pasolini. Si trova ad assistere, come Arturo, alla caduta del mito paterno. Si fronteggiano un padre e una figlia, un uomo anziano dell’età di 63 anni e una giovanissima di 14 anni. Ninetta ha qualcosa di Nunziata, la sposa bambina che Wilhelm porta sull’isola e che seduce il figlio Arturo con la sua conoscenza intuitiva della vita e dei suoi valori. Antigone è una F.P., cioè una dei felici pochi[4], ancora una vergine in senso religioso.

Il coro ha un’importanza fondamentale, perché ha il ruolo di commentare con frasi senza senso, al limite del surrealismo e del nonsense: il coro è il simbolo di un’opinione pubblica svuotata e divorata da se stessa, senza più parametri di giustizia sociale. Il dramma inizia proprio con questo coro di corpi folli e malati, che non hanno più nessun autocontrollo.

 

CORO

E la casa, kaputt! Buon giorno come va? Buon giorno come va? Su quattrocentocinquanta concorrenti – Fuoco! – Buon giorno come va? Lei non ha rispettato il segnale di stop – Io non devo pensare non devo pensare

Su quattrocentocinquanta concorrenti – Il cuore si è fermato. Io non devo pensare non devo pensare non devo pensare non devo pensare non devo pensare –

Perché la pasta era scotta. Un momento. Posso fare un grande respiro per favore? Grazie. Un momento. Adesso va meglio. E la casa, kaputt! Buon giorno come va?

Siamo tutti militari!!! Un momento la tibì – perché quando l’ostia sanguina è un segno d’importanza. – Lei che vuole da me?! Un momento un momento un momento. Un momento. Un momento.

Che atto notarile? Il cuore si è fermato – Buon giorno come va? – Con la maschinenpistole. Lago Tana siamo in Africa Siberia fortino in Africa – Voglio andare con la Vespa tutta una tappa come al Giro – Fuoco! – Posso respirare per favore? Grazie. Ne taglio un pezzo? Sti bei ricordi di gioventù Bambi Disney, Un momento un momento. Per ragioni di sicurezza. – Qua c’è un olografo con data successiva. – Con la maschinenpistole. Lunedì sera.

Li conosci tu gli scheletri americani?

Ahia! Ahia! A TLATELOLCO. Lei che vuole da me?! Un momento un momento – Posso fare un respiro, per favore? Grazie. Adesso va meglio – Io non devo pensare non devo pensare.[5]

 

Tra le novità della scrittrice c’è l’introduzione di moderni personaggi che hanno il compito di attualizzare la vicenda: tre guardiani, rappresentanti del potere, il cui esercizio è debole; due portantini; una suora, alla cui cura è affidato il paziente, ma si rivela una donna ipocrita e un po’ cinica, perché finge un amore caritatevole che non corrisponde alla realtà; un medico, un personaggio assolutamente negativo, in quanto rappresenta una scienza lontana che non presta servizio alle reali necessità dell’uomo malato. Il Guardiano legge il referto medico con cui Edipo è già stato ricoverato e congedato da un precedente ospedale psichiatrico e che la figlia porta con sé credendolo un miracoloso lascia passare.

Nel referto Edipo viene catalogato secondo criteri clinici e sociologici; dall’altro lo stesso profilo di Edipo è fornito dal punto di vista di Ninetta con un’amorosa arringa difensiva. Il referto medico porta su di sé tutti i segni dell’emarginazione e della caduta (vecchio, cieco, malato, drogato, alcolizzato, pazzo). Il referto viene descritto con lo stesso stile linguistico con cui Edipo parlerà: stereotipi verbali, citazioni classiche, manierismi ecc.

Edipo, però, non è solo una vittima, ha avuto un potere, ha combattuto in guerra, ha compiuto atti di violenza. Un padre che non è solo pazzo, drogato o alcolizzato ma ha letto tutti i libri, dice Antigone, è un poeta, come poeti pazzi sono quelli citati dalla Morante alla fine della Serata a Colono, Allen Ginsberg e Friedrich Hölderlin. Un poeta che vive nella sua agonia una crisi devastante di realtà, proprio come si percepiva la Morante in quel momento della sua vita. Questa proiezione di Elsa in Edipo, e poi in Antigone, è dimostrato in alcuni punti del testo dove vi sono rimandi letterari al mito. Ad esempio quando compare il medico per visitare Edipo, questi lo scambi per Teseo di Atene; appena il vecchio si rivolge con queste parole, il dottore si trasforma proprio in Teseo di Atene e gli risponde con le parole di Sofocle.

 

EDIPO (rivolto in direzione del DOTTORE) Chi sei tu?

Mi pare di riconoscerti Alla corona d’oro

Che porti…

 

 

IL DOTTORE (irrigidendosi d’improvviso come un fantoccio di legno,

e con una voce sincopata e meccanica, ti timbro diverso dalla sua di prima)

Io sono

il re di questo paese. Anch’io ti riconosco alle orbite svuotate e

/sanguinose dei tuoi occhi

o punitore di te stesso, disgraziato figlio di Laio.

da molti mi è stata riferita la tua storia, con la notizia del tuo prossimo arrivo.[6]

 

Questo Edipo si chiede se la maledizione esista per davvero, ripercorre la sua stirpe, cita i nomi di Laio e del padre prima di lui: un uomo senza pace, assurge a figura chiave dell’uomo contemporaneo, che ha perso il sonno e le certezze, reduce di un lunghissimo pellegrinaggio, preferisce il delirio all’ipocrita sanità. Allo stesso modo quando per la prima volta in ospedale arriva una suora, Edipo la accoglie con le parole con cui, nell’Edipo a Colono, annuncia l’arrivo di Ismene.

 

EDIPO (seguitando c.s.)

… La riconosco! Antigone? Non è proprio lei? Non è la tua sorella maggiore

la mia figlietta più grande, la mia Ismene?…

 

LA SUORA (c.s. annuendo in fretta – in un sorrisetto malizioso e ammonitore verso Antigone – e con la sua voce naturale, appena un po’ caricata)

Sí, sí sono io! eccomi qua! sono proprio la figlia vostra Ismene! eccomi qua![7]

 

Tra padre e figlia c’è una prossimità fisica, una vicinanza dei corpi, un riconoscimento fisico, ma il dialogo è qualcosa di impossibile. Ecco perché Morante definisce il testo un “monologo”, sebbene in realtà ci siano ben due monologhi, uno di Antigone che canta e celebra la realtà nelle sue forme più elementari, nella sua infinita ricchezza, nella sua varietà, nella sua alternanza di morti, di gioia, di sofferenza; per gran parte della serata Antigone cercherà di rispondere alle domande angosciose di Edipo, «Chi sei tu, che stai là davanti, abbaiando con / tre bocche e un corpo solo?»[8]; la bambina avrà il compito di rispondere al delirio del padre con una parvenza di realtà consolatoria familiare a tratti celebrativa e giocosa. Il primo esempio:

 

EDIPO

Queste traversate enormi di tanti equatori

mi s’alternano con un’altra nausea: le misure piatte d’un insetto che cammina dentro una crepa.

non voglio più davanti questo muro sbieco di calce screpolata tutto strisciato di macchie e ronzante

di parole…Che lingua parlano? Dove mi trovo?!…

Dove m’avete portato?!

 

ANTIGONE

Quello non è un muro pa’

Quella

è una bella cancellata di rose

che voi non dovete stare a credere all’impressione vostra che quella è tutta la frebbe che vi fa confondere

le cose e i rumori ma perché quella

pa’ è la frebbe che ve li fa confondere.[9]

 

Ecco il secondo esempio:

 

EDIPO

Dove siamo?…

 

ANTIGONE (con voce spaurita e cantilenante)

Siamo

sotto a un bel chioschetto di piante pa’

dentro a una bella piazza forestiera che mica lo so come sia chiamata che è

forestiera

e qua questa piazza è formata tutta di bei giardini che alle sere adesso

è tutta una grande luminaria con le giostre e le orchestrine e gli induvini e i carretti!

e tutte cose! e ci sta pure un teatrino di pupazzi come giù a Pescheria e pure le montagne russe con le auto elettriche di tanti colori

e ci sta pure la lotteria con le strazioni dei premi e ci sta una folla di gente che compra tutte cose e passa e ripassa e discore con la famiglia

e s’attruppa e scherza con l’amichi e si diverte e va e viene.[10]

La serata a Colono Il mondo salvato dai ragazzini e altri poemi Elsa Morante Einaudi
La serata a Colono di Elsa Morante è contenuta nella raccolta Il mondo salvato dai ragazzini e altri poemi. Nell’immagine, l’edizione Giulio Einaudi Editore con prefazione di Goffredo Foti, pubblicato (2012) nella collana Letture Einaudi

A questa Antigone si affida il messaggio stesso dell’opera: rappresenta ancora una volta la nobiltà dell’offerta di fedeltà ad un padre ingrato. Alla fine Antigone è innalzata quale figura, sbiadita rispetto alla tradizione del mito, più vicina alla saggezza tipica dell’uomo moderno e con quel fare ieratico del modello originale: è colei che sente dal cuore e con il cuore e che esprime l’immagine più giusta del senso della vita. L’opera è stata rappresentata la prima volta il 17 febbraio 2013, per la regia di Mario Martone, al Teatro Argentina di Roma. Martone ha dichiarato che si tratta del testo «più misterioso e inafferrabile mai avuto tra le mani, indefinibile già nella forma, […] una drammaturgia da grande avanguardia del 900»[11].

Edipo a Colono Sofocle
Oltre alla serata a Colono di Elsa Morante, la tragedia di Sofocle ha ispirato molte altre opere, come questo dipintoEdipo a Colono, opera del pittore francese Fulchran-Jean Harriet (1778-1805), olio su tela (1798) conservato presso The Cleveland Museum of Art, Cleveland, Ohio, Mr. and Mrs. William H. Marlatt Fund 2002.3, immagine CC0 1.0

La serata a Colono di Elsa Morante

NOTE

[1]  «Parodia» perché è un intreccio di fonti e citazioni, non solo prese da Sofocle, ma anche dall’Inno ebraico dei morti, dalle Istruzioni alle reclute, dalla Bibbia, dai Veda, infine citazioni da Torquato Tasso; ancora dalle poesie di Allen Ginsberg e di Marina Cvetaeva, dai poeti della beat generation, naturalmente da Hölderlin. Inoltre il termine attiva un’altra memoria, interna al sistema narrativo della Morante, nel precedente romanzo dell’Isola di Arturo (1957). Verso la fine della vicenda il protagonista Arturo segue suo padre fino alle soglie del penitenziario dell’Isola di Procida per cercare di scoprire il segreto che si cela dietro quest’uomo che ai suoi occhi è un essere venerato, irraggiungibile e misterioso come un Dio. Fa una scoperta a dir poco scioccante: il padre è impegnato in un colloquio amoroso con uno dei carcerati, che ai messaggi appassionati di amore risponde con un insulto terribile, «vattene parodia!». In quel momento esatto, Arturo, ascoltando tali parole, fa due esperienze opposte e ugualmente traumatiche: la prima, vive la caduta del mito paterno; la seconda, scopre un nuovo tipo di affetto che lo lega al padre nel momento in cui questo ai suoi occhi non è più una divinità intangibile, ma un povero schiavo d’amore umiliato e respinto. Qualcosa di simile accade in Serata a Colono. Cfr. FOFI in MORANTE 2012, p. V-XI.

[2] Cfr. MORANTE 2012, p. 63.

[3] Straordinaria invenzione morantiana, un dialetto di italiano popolare contaminato da una specie di italiano inventato, mescolato a vari dialetti dell’Italia centro-meridionale che si contrappone alla lingua dell’istituzione. A volte sembra che la bambina parli una sorta di dialetto napoletano che proietta una luce sulla dimensione del sud d’Italia. Cfr. FORNARO 2012a, pp. 149-152.

[4] A differenza dei I.M., Infelici Molti, i felici pochi sono ragazzini e ragazzine che hanno conservato l’innocenza, lo stato di natura, il candore e l’ignoranza non ancora intaccati dalla irrealtà del potere, dalle convenzioni sociali, e che per questo sono gli unici candidati possibili per salvare il mondo. Fofi chiarisce così il progetto morantiano di poesia come politica: «[…] “I ragazzini”, si vedranno costretti a far fronte all’ignominia della Storia – alla criminale cecità del Potere, alla sua capacità di piegare i corpi e ottundere le coscienze e alle tentazioni così pervasive di servirlo, di entrarne a fare parte sia pure da servi – […]. Il drago dell’irrealtà ha mille volti, spesso i più lusinghieri, e l’accettazione di quest’indegnità finisce sempre per coinvolgere i più, per farne degli Infelici. […] Gli Infelici Molti sono, nella visione di Elsa Morante, anzitutto gli adulti – gli accettanti. I Felici Pochi sono, tra i nuovi, coloro che sapranno vedere e di conseguenza agire, con la convinzione che quanto dà senso e dignità alla nostra esistenza è combattere il drago.» FOFI in MORANTE 2012, p. X.

La canzone degli F.P. e degli I.M. è presente nella terza parte del volume Il mondo salvato dai ragazzini, suddivisa in tre parti. MORANTE 2012, pp. 131-157.

 

[5]Cfr. MORANTE 2012, pp. 39-40.

 

[6] Cfr. MORANTE 2012, p. 57.

[7] Cfr. MORANTE 2012, pp. 74-75.

[8] Cfr. MORANTE 2012, p. 52.

 

[9] Cfr. MORANTE 2012, p. 55.

[10] Secondo la studiosa morantiana Concetta D’Angeli, questi tentativi di parlare al padre sono definiti «favole di consolazione». Cfr. MORANTE 2012, p. 62.

[11] L’intervista integrale è presente sul sito http://www.teatrodiroma.net/doc/2228/mario-martone.

 

La serata a Colono di Elsa Morante

BIBLIOGRAFIA

ALONGE, Antigone volti di un’enigma. Da Sofocle alle brigate rosse, Bari 2008.

BELARDINELLI – GRECO, Antigone e le Antigoni, Milano 2010.

BUTLER, Antigone’s Claim. Kinship Between Life and Death, New York 2000. Traduzione italiana a cura di Isabella Negri: La rivendicazione di Antigone. La parentela tra la vita e la morte, Torino 2003.

DI NICOLA, Nostalgia di Antigone, Torino 2010.

FORNARO, Antigone. Storia di un mito, Roma 2012a.

FORNARO, L’ombra di Antigone dal nazismo agli “anni di piombo”, Tübingen 2012b.

MORANTE, La serata a Colono, in Ead. Il mondo salvato dai ragazzini, Torino 2012, pp. 35-108.

 

La serata a Colono di Elsa Morante

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