La terza geografia è un incantesimo.
Quanta retorica poetica, critica, citazionistica si potrebbe applicare (falsamente?) alle numerose sillogi poetiche che contaminano il panorama editoriale? Nel settore se ne vede tantissima. Scrittori, blogger, book influencer impegnati a intessere ghirigori di compiacimento nei loro scritti al fine di soddisfare l’ego di un poeta emergente o di un editore. Quante parole inutili – troppe sovrastrutture – come se i versi necessitassero di ulteriori stampelle lessicali, roccaforti semantiche.
Per questo motivo ho preso le poesie di Carmine Valentino Mosesso e le ho lette come vanno lette tutte le poesie del mondo. Spogliando ogni parola da altre contaminazioni, da altre speculazioni. Io volevo la terra, l’aria calda del mondo sotterraneo, la brezza di inverni interiori; il fango tra i piedi di un pellegrino immerso nella sua ricerca, nel suo sogno di radici e città invase dalla luce del sole. Io ho bisogno di disconnettermi dall’abusata recita del rapporto uomo-natura, del depauperamento dei valori tradizionali sotto l’imperialismo della tecnocrazia. Io voglio di più, e me lo ha offerto La terza geografia. Una dimenticata semplicità, senza i fronzoli dei salotti letterari (o bettole intellettualoidi).
Con una lingua materica vengono costruiti i versi di Mosesso, parole di argilla, felce, corteccia e terra nuda. Poesie intrise di una fisicità e concretezza, intenti ossimorici mettere l’incanto nel disincanto. Ma è questo l’intento dell’autore, fondere le geografie, il visibile dei fiumi, delle montagne, dei mari all’eterno misurabile e mutabile contesto umano, come le nazioni e le densità demografiche. Poi arriva la terza geografia, una dimensione personale e mitopoietica, un abbraccio concreto a un territorio che è visione infinita di genius loci, desideri identitari. Può l’autodeterminazione personale essere coltivata col seme più antico del mondo? Sì. La potenza emotiva di Mosesso è vita generatrice di vita.
Queste poesie sono strade spaccate, vicoli in cui perdersi, spelonche, il carsismo di altopiani derelitti, le pietre che orientano l’uomo verso baricentri inediti, equilibri di reticoli urbani spogliati dal progresso. Mosesso è profeta del ritorno, senza etichettare il suo lavoro con opere di poeti conterranei o contemporanei. La terza geografia è una scrittura infinita che si perde in tutte le cose spezzate del mondo, luoghi in cui nascere e infine ritornare. Un grazie alla Neo Edizioni per aver dato una splendida opportunità a questo autore.