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L’archeologo sul grande schermo, saggio di Francesco Bellu

L’ARCHEOLOGO SUL GRANDE SCHERMO, saggio di Francesco Bellu

Cinema e archeologia? Un connubio che esiste, che è stato ingiustamente ignorato e che, adesso, merita una completa analisi per creare nuovi matrimoni tra due categorie apparentemente tanto distanti tra loro! In fondo, per entrambi i casi si parla di potere delle immagini, di memoria storica.

Leggere il libro L’archeologo sul grande schermo di Francesco Bellu significa esplorare in profondità l’evoluzione della figura dell’archeologo nel cinema, con un approccio che unisce competenza accademica e passione per la rappresentazione cinematografica! Attraverso un’analisi dettagliata e una vasta gamma di esempi che vanno da pellicole dure come La bandera – Marcia o muori, altre disimpegnate e farsesche come L’esorciccio, Bellu ci guida in un viaggio nella storia del cinema, mostrando come l’archeologia sia stata interpretata e reinventata sul grande schermo.

la copertina del saggio L’archeologo sul grande schermo, di Francesco Bellu, pubblicato da Edizioni NPE. Foto di Giuseppe Galluzzo

L’archeologo-avventuriero nella cultura di massa
Uno degli aspetti centrali che emergono dal libro è come il cinema abbia spesso mistificato la figura dell’archeologo, associandola quasi esclusivamente all’avventura, a scapito di una rappresentazione fedele delle rigorose pratiche scientifiche. Si evidenzia come questa tendenza sia iniziata con i primi film, come The Princess in the Vase (1908), dove l’archeologo viene dipinto come un curioso esploratore pronto a rischiare tutto per scoprire tesori nascosti e segreti magici. In questo contesto, l’archeologia si trasforma in una sorta di gioco esotico, pieno di pericoli e fascino, ma privo di ogni metodo scientifico.

Nei decenni successivi, questa immagine viene ulteriormente amplificata da film come Le Roman de la Momie (1911), in cui gli archeologi sono rappresentati come romantici eroi disposti a tutto pur di vivere emozionanti avventure. Qui, le scoperte archeologiche non sono altro che il pretesto per costruire trame melodrammatiche, spesso basate su maledizioni, fantasmi del passato e amori impossibili.

Un altro esempio significativo riportato dall’autore è The Mummy (1932), dove l’archeologia diventa il terreno fertile per l’horror. Il film, sebbene iconico, dipinge l’archeologo come un irresponsabile avventuriero che, spinto dalla curiosità, infrange le regole del buon senso e scatena forze sovrannaturali. Questo tipo di narrazione, pur affascinante, tradisce completamente il lavoro reale degli archeologi, fatto di anni di studio, ricerche minuziose e una rigorosa attenzione ai contesti storici e culturali.

L’archeologia in celluloide non si limita solo al genere horror o avventuriero à la Indiana Jones e può intrecciare archeologia e storia militare, raccontando il recupero di opere d’arte trafugate durante la Seconda Guerra Mondiale. Oppure si parla de L’anello fatale (1912), una delle prime pellicole a introdurre l’idea della maledizione legata ai reperti archeologici, anticipando un topos che diventerà ricorrente.

Il ruolo femminile nell’archeologia cinematografica

Una parte significativa del libro è dedicata alla rappresentazione delle archeologhe sul grande schermo, un tema spesso trascurato. Bellu analizza personaggi come Evelyn Carnahan de La Mummia (1999), una bibliotecaria che si trasforma in un’eroina archeologica, combinando competenza scientifica e coraggio. Questi esempi mostrano come il cinema abbia iniziato a riconoscere e valorizzare il contributo femminile nel campo dell’archeologia, anche se spesso con stereotipi legati al fascino estetico.

L’archeologo sul grande schermo è un libro che unisce rigore accademico e un’ampia fruibilità, rendendolo adatto sia agli studiosi sia agli appassionati di cinema. La ricchezza di dettagli e la varietà di esempi rendono questa opera un punto di riferimento per chiunque voglia esplorare il rapporto tra cinema, archeologia e cultura popolare. Unica avvertenza: l’approccio analitico pende molto verso l’approfondimento, in alcuni casi potrebbe risultare troppo denso per un lettore meno avvezzo al linguaggio accademico.

Nonostante questa piccolezza, Bellu ci offre una lente attraverso cui guardare i film con occhi nuovi, svelandone i significati nascosti e le implicazioni culturali. Un libro che non può mancare nella biblioteca di chiunque ami il cinema o di chi voglia accostare il proprio operato archeologico alla bellezza del grande schermo!

la copertina del saggio L’archeologo sul grande schermo, di Francesco Bellu, pubblicato da Edizioni NPE

Vale la pena citare una ulteriore divertentissima incursione nel mondo archeologico parodico, non presente nel libro, ovvero il film Gli imbroglioni (1963) di Lucio Fulci. In questa commedia, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia interpretano due truffatori protagonisti di alcuni processi in tribunale. In uno di questi sono accusati per aver tentato di ingannare un turista tedesco, facendogli credere di aver scoperto una nuova tomba etrusca a Cerveteri. La farsa raggiunge il culmine quando Ciccio costringe Franco a travestirsi da mummia (nel mondo etrusco!) per rendere la “scoperta” ancora più sensazionale. Il film è una satira esilarante che prende in giro il fenomeno dei tombaroli e l’ignoranza storica, con i protagonisti che confondono allegramente la storia etrusca, mettendo di mezzo la cultura greca ed egiziana. Una chicca che merita di essere ricordata per il suo tono irriverente e la sua capacità di sdrammatizzare l’immagine dell’archeologia nel cinema.

Il libro recensito è stato cortesemente fornito dalla casa editrice.

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