8 Febbraio 2016

Teschio fossile dell'esemplare di Australopithecus sediba noto come MH1 e modello del cranio che ritrae le tensioni durante un morso simulato . I colori "caldi" indicano regioni a più alta tensione, mentre i colori "freddi" indicano regioni a più bassa tensione. Credit: WUSTL GRAPHIC: Image of MH1 by Brett Eloff provided courtesy of Lee Berger and the University of the Witwatersrand.
Teschio fossile dell’esemplare di Australopithecus sediba noto come MH1 e modello del cranio che ritrae le tensioni durante un morso simulato . I colori “caldi” indicano regioni a più alta tensione, mentre i colori “freddi” indicano regioni a più bassa tensione. Credit: WUSTL GRAPHIC: Image of MH1 by Brett Eloff provided courtesy of Lee Berger and the University of the Witwatersrand.

L’Australopithecus sediba fu scoperto nel 2008 presso il sito di Malapa  in Sud Africa, nell’area nota come Culla dell’Umanità (e classificata come patrimonio dell’umanità dall’UNESCO).
Un nuovo studio su questo ominide mette ora in evidenza come questi non possedesse le capacità (relativamente a mascella e mandibola, oltre che ai denti) per una dieta regolare che comprendesse cibi “duri”. In breve, era fortemente limitato nel mordere con forza: se avesse utilizzato tutta la potenza a disposizione si sarebbe slogato.
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[Dall’Abstract:] Si è ipotizzato che l’Australopithecus sediba sia stato un parente prossimo del genere Homo. Qui si dimostra che MH1, l’esemplare tipo dell’A. sediba, non era ottimizzato per produrre un’elevata forza del morso coi molari e sembra essere stato limitato nella sua abilità di consumare cibi che non erano meccanicamente impegnativi da mangiare. I dati sulla microusura dentale sono stati precedentemente intepretati come indicativi del fatto che l’A. sediba consumasse cibi duri, e così queste conclusioni illustrano che i dati meccanici sono essenziali se si mira a ricostruire un quadro relativamente completo degli adattamenti alimentari negli ominidi estinti. Un’implicazione di questo studio è che la chiave per comprendere l’origine del genere Homo risiede nel comprendere come i cambiamenti ambientali arrestarono le delicate nicchie degli australopitechi. Le pressioni di selezione risultanti portarono a cambiamenti nella dieta e nell’adattamento alimentare che gettarono le basi per l’emergere del nostro genere.

Lo studio “Mechanical evidence that Australopithecus sediba was limited in its ability to eat hard foods”, di Justin A. LedogarAmanda L. SmithStefano BenazziGerhard W. WeberMark A. SpencerKeely B. CarlsonKieran P. McNultyPaul C. DechowIan R. GrosseCallum F. RossBrian G. RichmondBarth W. WrightQian WangCraig ByronKristian J. CarlsonDarryl J. de RuiterLee R. BergerKelli TamvadaLeslie C. PryorMichael A. Berthaume & David S. Strait, è stato pubblicato su Nature Communications.
 
Link: Nature CommunicationsEurekAlert! via University of Witwatersrand; EurekAlert! via Washington University in St. Louis; Daily Mail.
MH1 a sinistra, Lucy al centro, MH2 a destra (Malapa Hominin 1 (MH1) left, Lucy (AL 288-1 (Centre), and Malapa Hominin 2 (MH2) right. Image compiled by Peter Schmid courtesy of Lee R. Berger, University of the Witwatersrand). Foto di Profbergerda WikipediaCC BY-SA 3.0.

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