Chi, nel corso della propria esistenza, abbia avuto almeno una volta la possibilità di visitare il Parco archeologico di Pompei non farà fatica a riconoscere la città romana con le sue strade, le sue taverne e le sue dimore tra le pagine de Le lupe di Pompei, romanzo storico di Elodie Harper, edito e uscito in Italia per Fazi Editore lo scorso 20 settembre all’interno della collana “Le strade”.
Con la promessa di incontrare il favore dei fan di Madeline Miller, autrice dei fenomeni letterari La canzone di Achille e Circe, il romanzo di Elodie Harper si carica fin da subito di aspettative che cerca di soddisfare con costanza nelle sue più piccole sfumature, raggiungendo con successo un obiettivo tutt’altro che scontato: essere convincente.
Basta un po’ di pazienza, infatti, nel mandar giù una prima parte della storia dal ritmo lento e con qualche ripetizione di troppo (di cui si sarebbe potuto fare a meno) per immergersi poi in un racconto concitato tanto quanto la folla di Pompei in cui i personaggi del romanzo si imbattono quotidianamente.
È, infatti, la descrizione di Pompei, dei suoi ambienti, delle strade e dell’atmosfera che si respirava all’epoca a costituire uno dei maggiori pregi del romanzo: l’impressione che ne deriva è che l’autrice conosca con mano la materia di cui scrive, ma al tempo stesso si impegni a calare la storia in una prospettiva moderna che possa avvicinare chiunque a una società lontana nel tempo e differente dalla nostra (ma in fondo nemmeno tanto).
Nel corso della storia, del resto, si incontrano situazioni, fenomeni e atteggiamenti che si verificavano allora e che, seppur in forma non “normalizzata” come al tempo, si verificano ancora oggi. Basti considerare che gran parte del romanzo ruota intorno ai temi della violenza contro il genere femminile, espressa a più livelli, dell’abuso di potere maschile, della misoginia e dell’indifferenza e del disprezzo verso determinate categorie sociali.
In particolare, le violenze che le donne del romanzo subiscono sono tanto fisiche, attraverso continue aggressioni, quanto psicologiche, per il potere che è concentrato nelle mani degli uomini e con il quale dimostrano continuamente di poter disporre come vogliono delle donne stesse, ormai ridotte a oggetti senza alcun tipo di possesso. Neppure il proprio nome appartiene più loro, ma è andato perso insieme alla libertà venduta per la schiavitù.
Personaggi verosimili sono quelli messi su carta dall’autrice, alcuni, come Plinio il Vecchio e Plinio il Giovane, storicamente esistiti e documentati, che non compaiono soltanto a rammentare il periodo storico e culturale in cui è ambientata la vicenda, ma vivono come perfettamente integrati nella storia. Altri, invece, sono frutto della fantasia dell’autrice che, tuttavia, sfrutta uno spunto reale, o per essere più precisi le possibilità concesse dalle testimonianze archeologiche: ancora attualmente visibili sulle pareti delle celle del lupanare di Pompei sono, infatti, alcuni dei nomi che compaiono nella storia sotto forma di personaggi in carne e ossa, come Vittoria, dall’iscrizione “Vittoria la conquistatrice” e Felicio (“Felix bene futuis”) CIL IV. 2175, il liberto proprietario del lupanare in cui le lupe sono costrette a passare la loro vita .
Elodie Harper ha quindi cercato di immaginare la vita delle prostitute al di fuori del postribolo con tutte le loro speranze, gli amori, ma soprattutto le ambizioni di donne costrette ogni giorno a vendersi non potendo sopravvivere altrimenti. L’ha fatto attingendo a una fonte ricchissima: tutto quanto Pompei ci ha lasciato della vita quotidiana dei suoi abitanti.
Sebbene il linguaggio possa risultare talvolta volgare e i dialoghi fin troppo moderni al punto da rendere difficile, in alcune situazioni, immaginare che al tempo si parlasse così, il contesto di fondo non viene mai tradito. Feste religiose popolari, riferimenti letterari, sociali e politici sono perfettamente integrati nel testo come se si avesse l’impressione di essere lì e di vivere nella Pompei del 74 d.C.
È così che Harper ci restituisce il ritratto di una società stratificata, con nette differenze tra ricchi, poveri e schiavi, ma anche tra le stesse prostitute: ai tempi c’erano, del resto, vari tipi di prostitute a seconda del luogo in cui lavoravano. Le fonti attestano, infatti, prostitute da taverna (blitidae), accompagnatrici colte e raffinate (delicatae o famosae), prostitute di strada (forarie e fornices) e quelle che lavoravano al lupanare, meglio conosciute come “Lupe”, dalla tradizione secondo cui prima della fondazione di Roma giovani vergini o sacerdotesse praticavano la cosiddetta “prostituzione sacra” associata al culto della dea Lupa, divinità spesso accomunata alla “Grande Madre”.
Di seguito, l’articolo continua con alcuni dettagli della trama.
Ma chi sono, dunque, nello specifico le lupe di Pompei?
Vittoria, nata schiava, Amara, originaria di Afidna e nata libera, Didone, punica, Berenice e Cressa sono i nuovi nomi con cui le lupe dovranno convivere finché non riusciranno a ottenere la libertà.
Tra queste, Amara è colei che, più di tutte, non trova rassegnazione per una vita da schiava ed è disposta a tutto pur di mettere fuori una volta per tutte dal bordello in cui Felicio l’ha costretta a vivere. A Pompei è arrivata da poco insieme a Didone attraverso il mercato degli schiavi di Pozzuoli, dopo essere state acquistate entrambe dal nuovo padrone Felicio.
Figlia di un medico e dotata di un’istruzione raffinata, è stata dapprima venduta come concubina da sua madre a un amico di famiglia per far fronte al disagio economico seguito alla morte del padre. Furba, ambiziosa, tutt’altro che illusa, Amara è una protagonista di cui è difficile annoiarsi, soprattutto per il modo in cui vive le relazioni con gli altri personaggi del romanzo. Le altre lupe, per lei, rappresentano un branco in cui, seppur con qualche difficoltà, si integra e stabilisce legami di affetto che raggiungono comportamenti e premure proprie della sorellanza.
Tra i temi che emergono con chiarezza e con incisività troviamo, infatti, oltre alla violenza, alla sofferenza e all’ambizione, sentimenti positivi come la solidarietà femminile, l’amicizia e la lealtà che tuttavia non si esauriscono in se stessi. Su questi aleggia pur sempre, infatti, l’invidia, l’avidità e la competizione con le altre donne. Amara stessa, del resto, è spesso spinta dall’ossessivo desiderio di accumulare i soldi necessari a liberarsi o di cercare un patrono che possa sposarla e liberarla, scontrandosi con le promesse fatte alle persone a lei più care.
Le lupe di Pompei, primo di una trilogia, il cui secondo volume è già uscito in lingua originale, è quindi una storia di violenza e sopravvivenza, ma anche di riscatto, resistenza e sorellanza, che mostra quanto parallelismi anacronistici possano ugualmente funzionare se costruiti con uno scopo ben preciso. In questo caso, quanto necessario sia abbattere una visione patriarcale e misogina millenaria e che, nonostante ciò, oggi domina ancora troppi contesti della società del nostro secolo.
Il libro è stato cortesemente fornito dalla casa editrice.