Oltre 70 opere dall’Ermitage di cui 20 dipinti dei grandi maestri veneti,
dal Cinquecento al Settecento, tornano in laguna dopo secoli.
In dialogo con disegni e dipinti provenienti dalle collezioni civiche veneziane
rivelano “cortocircuiti” collezionistici tra Venezia e San Pietroburgo.
Da Veronese a Tiziano, fino a Tiepolo, Canaletto e Guardi.
Opere mai esposte prima d’ora in Italia
e talvolta mai uscite dall’Ermitage in mostra a Mestre,
tra cui due inediti Carlevarjs e una singolare opera tarda di Jacopo Tintoretto.
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C’è un filo rosso che da oltre tre secoli lega Venezia a San Pietroburgo, due città riflesse nell’acqua che guardandosi si riconoscevano l’una nell’altra.
Una trama fatta di architetti, musicisti, artisti, principi, mercanti, ambasciatori e di centinaia e centinaia d’opere d’arte che seguendo vie e vicende diverse, hanno lasciato negli anni la città lagunare e i territori della Serenissimaper raggiungere le terre russe e la magica città nata dal sogno di Pietro il Grande.
Oggi il Museo Statale Ermitage custodisce una delle più ricche collezioni di arte veneziana al mondo e la formazione di questa raccolta è uno fra i più avvincenti capitoli della storia del collezionismo, capace ancora di sorprenderci con nuove scoperte e straordinari ritrovamenti.
A riannodare i fili della relazione tra le due città, a raccontare le mille storie sottese in queste raccolte, a riportare – sia pure temporaneamente – nella terra natia alcuni dei capolavori veneti emigrati in Russia, giunge un’emozionante mostra resa possibile grazie agli importanti accordi di collaborazione siglati da alcuni anni tra le due città e costruita congiuntamente dalla Fondazione Musei Civici di Venezia e dal Museo Statale Ermitage, con la collaborazione di Ermitage Italia.
“Venezia e San Pietroburgo. Artisti, principi e mercanti”, curata da Irina Artemieva e Alberto Craievich con la direzione scientifica di Gabriella Belli (allestita a Mestre nel Centro Culturale Candiani dal 18 dicembre al 24 marzo 2019) documenta, grazie a 70 tra dipinti e disegni di grandi maestri veneti dal Cinquecento al Settecento provenienti dall’Ermitage – in alcuni casi mai esposti prima e qui in dialogo con opere delle collezioni civiche veneziane -, non solo i percorsi che hanno condotto l’arte della Serenissima nel museo russo, ma anche inediti intrecci culturali tra le raccolte delle due città.
Veri e propri cortocircuiti del collezionismo e forse del destino.
È il caso degli album Beurdeley, di proprietà del Museo di San Pietroburgo, e Gatteri del Gabinetto disegni e stampe del Museo Correr: ossia i più bei quaderni di disegni su carta azzurra di Giambattista e Giandomenico Tiepolo. In questa occasione, per la prima volta, alcuni fogli dei due quaderni saranno esposti insieme.
Oppure è il caso dei dipinti di Pietro Longhi appartenuti a Giovanni Grimani, divisi tra l’Ermitage e i Musei Civici di Venezia e ora riuniti nella mostra di Mestre.
Un altro parallelismo proposto è quello fra le due più importanti collezioni di grafica dell’artista veneziano Pietro Antonio Novelli, eccelso soprattutto in questo genere, ma in Russia stimato anche come pittore.
Quasi tutti i disegni di Pietro Antonio Novelli (Venezia, 1729 – 1804) conservati all’Ermitage (novantatré su novantacinque) provengono dalla celebre collezione dei principi Jussupov. Dopo la chiusura del Museo di Palazzo Jussupov nel 1925 l’intero patrimonio d’arte pervenne all’Ermitage, facendo confluire anche quella che era la più vasta raccolta privata di grafica, con oltre 2500 opere di importanti e diversi artisti.
Fu il Settecento il secolo d’oro della passione russa per l’arte veneziana,
quando San Pietroburgo divenne una delle mete più ricercate dagli artisti soprattutto veneti, mentre singolari personaggi si fecero promotori e mediatori degli acquisti della casa imperiale e di tanti membri della nobiltà russa.
A testimoniare tutto ciò vi è la straordinaria selezione in mostra di oltre venti dipinti dei maggiori artisti veneti dal XVI al XVIII secolo – da Tiziano, Tintoretto e Veronese, a Canaletto, Tiepolo, Guardi, Bellotto – ognuno dei quali riassume, nella propria vicenda, un episodio specifico nella formazione della raccolta veneziana del museo russo.
Alcuni dipinti sono notissimi, come la Veduta di San Giovanni dei Battuti a Murano di Canaletto o la Veduta di San Giorgio Maggiore con la punta della Giudecca di Francesco Guardi, quest’ultima acquistata proprio dal Principe Jussupov, amico dell’artista; altri, invece, sono recenti scoperte nelle sterminate collezioni dell’Ermitage, che vengono presentate al pubblico e agli studiosi per la prima volta, come due inediti Capricci di Luca Carlevarijs (Capriccio con l’Ercole Farnese, Capriccio con il Ponte rotto) qui affiancati all’opera analoga di Ca’ Rezzonico, entrambi procurati alla zarina da Anton Psaro “Capitano luogotenente della flotta” e inviato russo a Malta.
Una novità assoluta anche la singolare coperta di Spinetta opera di
Jacopo Tintoretto, già segnalata dal Ridolfi, alla metà del Seicento, in collezione Barbarigo. Il soggetto – Perseo e le Muse – non fu scelto a caso giacché il dipinto decorava uno strumento musicale, e cioè un
clavicordio. “Liberato dai numerosi strati di precedenti verniciature e ritocchi, questo lavoro della maturità – scrive Irina Artemieva – dimostra l’eccezionale maestria compositiva di Tintoretto unita all’esecuzione virtuosistica dei particolari (…) Nel cinquecentesimo anniversario dalla
nascita del maestro veneziano, abbiamo ritenuto opportuno mostrare al pubblico per la prima volta un lavoro tanto raro e insolito”.
La mostra si chiude con un omaggio a San Pietroburgo e a uno dei suoi artefici principali: quell’architetto tanto amato da Caterina II che fu il bergamasco Giacomo Quarenghi. Appassionata di architettura e di giardini, in possesso di una personale raccolta di disegni architettonici, Caterina II arrivò a definire Quarenghi il “suo” architetto. Tra i numerosi edifici e interventi realizzati nella città sulla Neva ricordiamo il Teatro dell’Ermitage, la progettazione degli interni di rappresentanza del Palazzo d’Inverno, come la Sala grande del trono e la cosiddetta Loggia di Raffaello. Tra i disegni esposti, quelli relativi al Palazzo della Borsa e al Palazzo di Alessandro a Zarskoe Selo.
Alcuni suoi disegni presenti in mostra provengono, inoltre, dal poco noto album del Gabinetto dei disegni e delle stampe del Museo Correr.
ARTISTI, PRINCIPI, MERCANTI…
E CAPOLAVORI DELL’ARTE VENETA.
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Dunque dipinti giunti di rado in Italia e alcuni mai usciti dalle sale dell’Ermitage;dipinti che ci raccontano di mille personaggi e intrecci che animavano la vita della città sulla Neva nel XVIII secolo.
Le vie di San Pietroburgo e gli ambienti della corte imperiale e del suo entourage furono infatti frequentati da artisti e personaggi, avventurieri e pionieri, partiti dalla laguna per raggiungere la capitale del Nord, come Bartolomeo Tarsia pittore e scenografo – tra i primissimi veneziani ad accettare di operare al servizio del governo Russo – Francesco Algarotti, Baldassare Galuppi, Giacomo Casanova, i pittori Pietro Rotari, Francesco Fontebasso e Andrea Urbani.
Le residenze imperiali extraurbane di Petergof, Zarskoe Selo, Oranienbaum furono arricchite dai lavori di maestri veneti invitati da Caterina II a decorarne le sale, come Jacopo Guarana, Giambattista Pittoni, Domenico Maggiotto, Francesco Zugno, Gaspare Diziani, Francesco Fontebasso.
Oltre a questo genere di contatti con alcuni artisti viventi, si continuò comunque ad acquistare le opere dei maestri veneziani dei secoli passati: il loro confluire nelle collezioni russe fu vivacemente promosso sia dall’intraprendenza dei rappresentanti della locale colonia italiana, che da
ingegnosi commercianti alla scoperta di quel nuovo mercato.
Musicisti, attori, architetti residenti a San Pietroburgo – pensiamo a
Domenico Dall’Oglio, illustre violinista dell’orchestra imperiale, o ai noti architetti Rastrelli e Quarenghi – portavano spesso, dai loro soggiorni in patria, quadri da rivendere agli aristocratici russi. Tra gli avventurieri e mercanti va segnalato il degno successore del console Smith: John Udney, che i contemporanei descrivono come un uomo avido e propenso ai più equivoci metodi pur di impadronirsi delle opere desiderate.
Poi ci furono il Marchese Pano Maruzzi e il pittore inglese Thomas Jenkins, conosciuto in Italia anche come intenditore di antichità.
Con tutti Caterina II ebbe un atteggiamento abbastanza sprezzante,
anche in considerazione della sua apertura alla nuova moda e al gusto neoclassico; ciononostante Udney riuscì a piazzare ben sessanta dipinti di cui i migliori sono ancora all’Ermitage, come Venere e Marte di Paris Bordon qui esposto.
Tra le opere acquistate a Venezia da Maruzzi nel 1767 figuravano il San Sebastiano e Santa Irene di Antonio Molinari e il Tarquinio e Lucrezia di Palma il Giovane inclusi in mostra. Il primo fu inizialmente ceduto all’ex favorito della sovrana Grigorij Orlov.
Tra le conquiste più significative di Caterina la Grande va ricordata anche l’eccezionale raccolta di opere del Bellotto, parte della galleria dei quadri del conte Brühl acquistata a Dresda. Di Bellotto – artista che non raggiunse mai San Pietroburgo, pur avendo accettato l’invito della zarina, decidendo di fermarsi a Varsavia – viene proposto a Mestre un vero capolavoro: la Veduta di Pirna dalla riva destra dell’Elba, sopra la città.
Anche Pietro Antonio Novelli piaceva alla zarina.
Il rigido clima della Moscovia lo indusse a non recarvisi, ma egualmente ottenne una commissione specifica per la realizzazione di un dipinto a soggetto libero che fu particolarmente apprezzato (“La Famiglia di Enea”).
La ricerca di opere dei grandi artisti del Rinascimento non rappresentò certo un problema per la corte russa: grazie al collaudato sistema su cui si fondavano gli acquisti delle grandi collezioni d’arte celebri in tutta Europa – quali Brühl, Crozat o Walpole – Caterina riuscì ad ottenere alcune eccellenti testimonianze del Rinascimento veneziano. Senz’altro più difficile fu entrare in possesso di opere di Giorgione, Tiziano, Tintoretto, Veronese.
I rappresentanti dell’antica aristocrazia – i principi Jussupov e Kurakin – e la nuova nobiltà, il conte Stroganov e il principe Bezborodko, si impegnarono allora ad acquistare, in quel periodo, le rare tele disponibili sul mercato di quei sommi artisti veneziani come la Diana di Veronese.
Alla fine del Settecento il mercato veneziano, complice le difficoltà di molte famiglie dell’antico patriziato, è particolarmente vivace.
I principali agenti in città in quel momento sono inglesi o russi. Tra le figure più interessanti vi è il mercante di antichità Nicola Leonelli che già durante il regno di Caterina II risiedette a San Pietroburgo. Vi ritornò nel 1800 portando con sé autentiche meraviglie come il “Banchetto di Cleopatra” di Giambattista Tiepolo acquistato poi dall’imperatore Paolo I e inserito dal Brenna nel soffitto di una delle sale della nuova residenza reale, il castello Michajlovskij (di san Michele). Alla morte del Leonelli, avvenuta nella città russa nel 1817, le numerose tele che gli appartenevano si sparsero nelle collezioni private cittadine per confluire in un secondo momento e seguendo diversi percorsi nelle collezioni dell’Ermitage. Tra queste, due delle opere esposte: l’Endimione dormiente di Pietro Liberi e la rara veduta muranese di Canaletto.
Infine un altro evento fu determinante per l’arricchimento delle collezioni d’arte veneziana dell’Ermitage: l’acquisto integrale nel 1850 della famosa e spesso contesa collezione Barbarigo – di Palazzo Barbarigo della Terrazza sul Canal Grande – su disposizione di Nicola I: l’unico affare di questo genere deciso dalla corte russa dopo gli acquisti operati a suo tempo da Caterina II.
“Fu un evento che suscitò molto scalpore sia a Venezia che a San Pietroburgo” nota Artemieva. Per Venezia significò la perdita dell’ultima grande collezione privata di pittura, in possesso di un’unica famiglia per quasi trecento anni.
A San Pietroburgo, una volta giunta, molti dipinti provocarono delusione – a causa soprattutto del cattivo stato di conservazione – con la conseguenza della loro successiva vendita all’asta o trasferimento dall’Ermitage
ad altri musei.
Negli ultimi anni all’Ermitage è stata eseguita con sistematicità un gran lavoro di ricerca e pulizia delle opere dei più importanti artisti, un tempo presenti nella collezione Barbarigo. Tra questi, oltre al Tintoretto già citato, è di grande interesse poter ammirare, commissionato dai fratelli Barbarigo a Matteo Ponzone, il Ritratto di Carlo Ridolfi: l’autore del “Le maraviglie dell’arte, ovvero le vite degli illustri pittori veneti e dello Stato”, e il primo ad aver compilato l’inventario della nobile collezione nel 1627.
Testo e immagini da Ufficio Stampa Villaggio Globale International