Piranesi

La fabbrica dell’utopia

Museo di Roma a Palazzo Braschi  | 16 giugno -15 ottobre 2017


Con una scelta espositiva di oltre 200 opere grafiche, equamente ripartite tra la Fondazione Giorgio Cini e le collezioni del Museo di Roma di Palazzo Braschi, è data piena illustrazione alla variegata attività di Giovan Battista Piranesi (1720-1778), il grande incisore e architetto votato alla riscoperta dell’archeologia, che applicò la matrice vedutistica della propria formazione veneta a una immediata passione per le grandiose rovine di Roma, dove si trasferì nel 1740.

La mostra “Piranesi. La fabbrica dell’utopia” promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali in collaborazione con la Fondazione Giorgio Cini di Venezia, con l’organizzazione dell’Associazione MetaMorfosi e Zètema Progetto Cultura, è a cura di Luigi Ficacci e Simonetta Tozzi e presenta un’ampia selezione delle opere più significative del grande veneziano, straordinario incisore all’acquaforte e figura centrale per la cultura figurativa del Settecento europeo.

L’esposizione sarà ospitata dal Museo di Roma Palazzo Braschi dal 16 giugno al 15 ottobre 2017. Catalogo De Luca Editori d’Arte.

La sua vastissima produzione acquafortistica, caratterizzata da visioni prospettiche scenograficamente esasperate e da violenti effetti luministici, ne fecero uno degli artisti di maggior successo in un mercato artistico in veloce espansione qual era quello romano nel periodo culminante del Grand Tour internazionale.

Il percorso fra le sue opere più celebri vede quindi esposte le grandi Vedute di Roma, dalle amplificate prospettive architettoniche, i fantasiosi Capricci eseguiti ancora sotto l’influsso di Tiepolo, le celeberrime e suggestive visioni della serie delle Carceri, fino alle varie raccolte di antichità romane. Un immaginario di grande impatto emotivo sulla cultura del tempo, protrattosi fino ai giorni nostri coinvolgendo arte, letteratura, teoria e pratica architettonica, fino alla moderna cinematografia.

I materiali presentati provenienti dalle collezioni del Museo di Roma testimoniano la qualità delle raccolte in esemplari di grande qualità e freschezza. Dalla Fondazione Cini provengono, inoltre, le realizzazioni tridimensionali di alcune invenzioni piranesiane mai realizzate e ricavate dal ricchissimo repertorio delle Diverse Maniere di adornare i Cammini (1769) o di alcuni pezzi antichi, riprodotti e divulgati da Piranesi nella serie dei Vasi candelabri cippi sarcofagi tripodi…(1978), come il celeberrimo tripode del Tempio di Iside a Pompei, vero e proprio masterpiece dell’arredo neoclassico e Impero. Le ‘ri-creazioni’ piranesiane tridimensionali sono state realizzate dall’Atelier Factum Arte di Madrid, diretto da Adam Lowe, tramite modellazione in 3D e procedimento stereolitografico, in occasione della mostra organizzata dalla Fondazione Giorgio Cini nel 2010 Le arti di Piranesi. Architetto, incisore, antiquario, vedutista, designer.

Accanto a questi materiali saranno esposti i marmi, oggi conservati nelle collezioni della Sovrintendenza Capitolina, derivati dalla celebre Forma Urbis severiana, la prima pianta di Roma fatta scolpire su pietra da Settimio Severo, che Piranesi tentò di ricostruire nella sua originaria composizione.

Sarà infine creata, grazie al contributo e alla tecnologia del Laboratorio di Robotica Percettiva, dell’Istituto TECIP – Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa una sala immersiva delle celebri prigioni piranesiane rese in versione tridimensionale, in cui si potrà rivivere tutto il fascino di queste visioni fantastiche e irreali, che sono ormai divenute un vero e proprio caposaldo del nostro immaginario collettivo.

Un ricco e accattivante repertorio visivo di grande godibilità per il pubblico più vasto, dunque, che sarà completato da accurate e artistiche restituzioni fotografiche dell’unica, effettiva realizzazione architettonica lasciataci da Piranesi, la chiesa di S. Maria del Priorato appunto, in un gruppo di opere appositamente realizzate dal fotografo Andrea Jemolo.

Nella settecentesca cornice di Palazzo Braschi, ultima dimora eseguita su committenza papale per volere di Pio VI Braschi (1775-1799), sarà così restituito un capitolo fondamentale della storia culturale romana e non solo che, in un’epoca di apparente declino, registra da un lato il rimando nostalgico alla grandiosità di un passato ormai perduto, dall’altro un estremo straordinario momento di splendore.

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PANNELLI MOSTRA

INTRODUZIONE

Piranesi. La fabbrica dell’utopia

L’allestimento permanente del Museo di Roma in questa sala rappresenta un tempo storico successivo a quello della vicenda artistica di Giovanni Battista Piranesi. Il papato Braschi (1775-1799) è l’ultimo da lui vissuto. Tra i più difficili della storia della Chiesa fu segnato dall’antagonismo di riforme antipapali da parte di molti sovrani d’Europa e culminò con la Rivoluzione Francese e la prima invasione d’Italia. Fu però un apice dell’archeologia romana, degli scavi, delle scoperte e della istituzione di musei in senso moderno. L’elegante storicismo neo classico dei dipinti di Gavin Hamilton qui esposti (eseguiti per la Sala di Elena e Paride della Galleria Borghese tra il 1782 e il 1784) deriva da una passione antiquaria sviluppata in contatto e dialettica con l’immensa opera archeologica di Piranesi.

Nella valutazione odierna Giovanni Battista Piranesi viene considerato tra i maggiori innovatori della tecnica dell’acquaforte, del genere artistico della “Veduta”, della riproduzione archeologica. Ma la sua figura è molto più complessa. Piranesi era soprattutto architetto e intendeva questa professione ideale come capace di rivoluzionare il mondo: i modi di vita della società e gli spazi dove essa si svolge. Il suo progetto era titanico rispetto alla realtà contemporanea, ma alla fine fu la resistenza da parte di questa realtà a prevalere e a impedirgli la realizzazione della sua utopia di architetto.

Le incisioni piranesiane della Fondazione Giorgio Cini

Tutte le incisioni piranesiane di proprietà della Fondazione Giorgio Cini, esposte in mostra, provengono da un esemplare dell’edizione in 24 volumi pubblicata a Parigi tra il 1800 e il 1807 dalla ‘Calcographie des Piranesi frères’, recante l’opera incisoria integrale di G.B. Piranesi; l’edizione fu acquisita dalla Fondazione Giorgio Cini nel 1961.

Le “ri-creazioni” piranesiane dell’atelier Factum Arte

Con sedi a Madrid, Londra e Milano, Factum Arte è composta da un team di artisti, tecnici e conservatori che si occupano di mediazione digitale – sia per quanto riguarda la produzione di opere di artisti contemporanei che di facsimili -, nell’ambito di un approccio coerente alla conservazione e alla diffusione. Ha progettato apparecchiature su misura e software per ottenere risultati ottimali sia nella registrazione che nell’elaborazione delle informazioni digitali. Le metodologie non-contact di Factum Arte stanno avendo un notevole impatto sul mondo della conservazione e stanno contribuendo a definire il ruolo dei facsimili nella protezione del nostro patrimonio culturale.

SALA 1

Architettura di progetto e di veduta

In questa sala sono riunite alcune opere di Piranesi provenienti da diverse serie di stampe.

Alcune di esse fanno parte dalla serie Prima Parte di Architetture e Prospettive, prima pubblicazione di Piranesi a conclusione del primo soggiorno romano (1740-1743). Vuole essere un’opera progettuale di “architetto di questi tempi”, che espone tramite disegni le proprie idee. In queste tavole egli aspira a creare “in nuove forme” quanto testimoniato dalle “parlanti ruine” che a Roma riempiono di immagini lo spirito nuovo dell’utopia architettonica. Effetto dello stupore e della meraviglia prodotti dalla vera esperienza dei resti dell’architettura romana, queste immagini sono progetti di un’architettura impossibile.

Le due acqueforti Parte di ampio magnifico Porto e Pianta di ampio magnifico Collegio sono due stampe d’invenzione che compaiono nell’edizione Opere Varie di Architettura, Prospettive, Grotteschi, Antichità del 1750. Con i due diversi linguaggi della scenografia e della planimetria, segnano uno straordinario progresso immaginativo dell’idea della storia come organismo vitale e attuale e dell’architettura come arte folle e tragica capace di farla risorgere, salvando l’antichità classica dalla decadenza e dall’oblio.

La prima edizione della raccolta intitolata Alcune vedute di Archi Trionfali risale invece al 1748, quando fu pubblicata col titolo Antichità romane de’ tempi della Repubblica e de’ primi imperatori; è spesso inclusa anche nelle Opere Varie di Architettura. Se la Prima Parte si compone di immaginazioni architettoniche, l’antichità è interpretata come veduta delle sue vestigia nella Roma moderna. Diverso il linguaggio incisorio, ora capace di esaltare le qualità pittoriche derivate dalla piena appropriazione dell’acquaforte, ormai radicalmente reinventata. Il dedicatario della serie è Giovanni Gaetano Bottari (1689-1775), già bibliotecario di Casa Corsini e, al tempo, della Biblioteca Vaticana, uno dei primissimi protettori di Piranesi a Roma e tra i più profondi ispiratori della sua opera.

SALA 2

Architettura di capriccio e di immaginazione

Anche in questa sala sono presentate opere di Piranesi che appartengono a serie diverse di stampe: i Grotteschi, cui sono affiancati titoli e frontespizi dalle Vedute di Roma e dalle Antichità Romane.

Le quattro lastre dei Grotteschi furono verosimilmente eseguite intorno al 1744-1747, periodo in cui Piranesi passò vari mesi a Venezia, proprio quando la civiltà acquafortistica veneziana veniva rivoluzionata da due eventi capitali: I Capricci di Giovanni Battista Tiepolo, pubblicati per la prima volta nel 1743, e le Vedute, edite da Canaletto nel 1744. Queste due vette di un innovativo pittoricismo calcografico furono decisive per ispirare a Piranesi un trattamento degli effetti della morsura dell’acido sulla lastra, di una libertà e di un contrasto chiaroscurale tali da competere con lo schizzo e con la pittura di tocco. Furono editi nel 1750 a Roma, da Bouchard, col titolo Opere Varie di Architettura, Prospettive, Grotteschi, Antichità. La vendita avveniva anche in fogli sciolti che si acquistavano nella bottega di fronte all’Accademia di Francia che Piranesi tenne al Corso fino al 1761 circa.

Titolo e Frontespizio delle Vedute di Roma non sono precisamente databili, perché Piranesi iniziò a lavorare alla serie almeno dal 1745-1747 e ne proseguì la produzione per il resto della vita. È probabile tuttavia che risalgano al primo lustro degli anni Cinquanta. Nella composizione fantastica di relitti caotici della Storia, egli adotta in pieno l’estetica dei Grotteschi in una dimensione sublime.

Anche nelle Antichità Romane, l’opera in quattro volumi che dal 1756 faceva vedere in un modo fino ad allora sconosciuto la realtà archeologica dei reperti, i frontespizi ne magnificano e allegorizzano i contenuti con un linguaggio inventivo e tecnico appartenente a quell’immaginario di cui i Grotteschi avevano costituito l’esordio. La via Appia Immaginaria, frontespizio del secondo tomo, è una iperbolica successione all’infinito di invenzioni fantastiche, derivate dalla sua cultura scenografica. Tra i mausolei, accumulati dalla combinazione e sovrapposizione di una prospettiva dall’alto in basso, con una visione di sotto in su di matrice teatrale, colloca sepolcri ideali intestati ai suoi contemporanei e amici, Allan Ramsay e Robert Adam.

SALA 3

La veduta

Vedo ora nella loro realtà quelle Vedute di Roma che stavano appese nella casa paterna…

J.W. Goethe, Roma, 1786

La sala espone, in un allestimento intenzionalmente gremito di opere, le acqueforti provenienti dalla grande serie delle Vedute di Roma, suggerendo un’ideale ricostruzione del “cabinet” di un ipotetico collezionista di stampe del Settecento.

Già intorno al 1745-1746 Piranesi può iniziare, grazie all’associazione finanziaria con il libraio Bouchard, la redazione delle Vedute di Roma disegnate ed incise da Giambattista Piranesi architetto veneziano, di inusuale grandezza. La loro produzione accompagnerà fino alla fine l’intera attività dell’incisore, che presto ne sarà editore in proprio. Si affermano subito come la sua opera più popolare e ricercata dal pubblico dei viaggiatori, degli appassionati e dei collezionisti. La visita di Roma diventa una necessità spasmodica anche a seguito dell’eccezionale e sconosciuta capacità di queste Vedute di trasformare qualunque oggetto della rappresentazione in un fantasma poetico che eccita l’immaginazione e colpisce l’osservatore come un problema vivissimo dell’attualità; anzi, della sua propria individuale ed esistenziale coscienza di osservatore. Allo stesso tempo rivelavano una eccezionale esattezza di osservazione, divulgando, anche di monumenti celebri, immagini del tutto inedite, rispetto alle precedenti conoscenze. Le Vedute restituiscono un mondo totalmente sconosciuto e nuovo, dove ogni contenuto descrittivo viene straordinariamente esasperato, pur nell’esattezza della sua resa, da una suggestione di inaudita potenza.

SALA 4
Immagini di veduta e di analisi

Le Vedute di Roma qui esposte, e presentate in un dialettico confronto con l’altra grande serie delle Antichità Romane, s’imposero presto sul mercato romano per l’esattezza della rappresentazione e la sensibilità atmosferica, affermandosi sulle concorrenti imprese calcografiche di Giuseppe Vasi o dei Pannini, Giovanni Paolo e il figlio Francesco. L’intensa commercializzazione delle Vedute fu il primo e principale sostegno economico per dotarsi della capacità finanziaria che consentisse a Piranesi di dedicare ogni sforzo allo studio dell’antichità e all’esecuzione di un’opera sistematica di riproduzione delle sue testimonianze superstiti, premessa per realizzare ciò che maggiormente occupava le sue energie inventive: restituire a Roma un’architettura, cioè una vita e una società moderna degne della sua storia antica.

Le Antichità Romane, invece, pubblicate in quattro volumi nel 1756, dopo dieci anni di preparazione, indagini, scavi e ritrovamenti e discussioni teoriche, sono il cardine dell’opera archeologica ideale di Piranesi, l’organico progetto d’illustrazione complessiva del mondo immenso dell’antichità romana. L’esperienza delle vestigia, il lavoro di rilevamento grafico, della copia del reperto, della rappresentazione della veduta del sito e poi lo studio, l’indagine documentaria, la verifica bibliografica, accendono la sua archeologia di un furore dimostrativo tanto intenzionalmente esatto quanto fantastico. Nell’argomentazione scientifica egli precisa e rende oggettivi concetti che sono essenzialmente quelli poetici ed espressivi dell’ispirazione artistica suscitata da quei soggetti. La morfologia del libro comporta un’illustrazione composita, di testo, dimostrazione didascalica delle immagini, a loro volta distinte tra vedute, dettagli analitici, esemplificazioni tecniche.

Tanto il linguaggio delle Vedute è complessivamente paesaggistico, benché esattamente distintivo delle architetture riprodotte, delle loro materie e della vita che le anima, tanto le illustrazioni delle Antichità sono analitiche, anche nelle immagini di scenografia generale del luogo.

SALA 5

Ricostruire l’Antico

In questa sala sono esposti alcuni frammenti della Forma Urbis, la prima pianta marmorea della Roma di Settimio Severo, di cui Benedetto XIV aveva ordinato la ricomposizione lungo lo scalone del palazzo Nuovo dei Musei in Campidoglio. Piranesi tentò di ricostruirla nella sua originaria disposizione lavorando, già nel 1742, con l’architetto e geometra lombardo Giovanni Battista Nolli e procedendo a un confronto sistematico tra i frammenti e l’evidenza topografica dei monumenti riconoscibili. Piranesi riconobbe in quei reperti una testimonianza “parlante” dell’urbanistica romana, una prova traumatica, forte della verità del documento originale, che dimostrava il contrasto radicale tra le vestigia della Roma antica e l’inadeguatezza della Roma moderna.

La Nuova Pianta di Roma (1748) di Nolli, pure qui presentata, documenta il primo tentativo di rilievo sistematico delle emergenze monumentali della città antica. Da tre anni Nolli stava procedendo con un’esattezza sconosciuta ai rilevamenti cartografici, per eseguire una nuova pianta di Roma. Collaborava al suo ornato anche Giuseppe Vasi, successivamente sostituito da altri, tra cui il giovane apprendista Piranesi.

Con l’impegno alla redazione delle Antichità Romane, Piranesi concepì l’esigenza del superamento del punto debole della nuovissima topografia della Roma moderna di Nolli, consistente nella sua impossibilità di redigere la pianta anche della Roma antica, tanto da dover ricopiare quella di Leonardo Bufalini, un’opera vecchia più di un secolo e mezzo. Il Campo Marzio dell’Antica Roma, edito nel 1762, è una delle opere piranesiane più complesse, che non ha mancato d’ispirare alcune tra le proposte architettoniche più interessanti dell’età moderna, a partire dagli illuministi Boullée e Ledoux. Il frontespizio reca una dedica all’architetto scozzese Robert Adam, col quale Piranesi fu subito legato da una comune passione archeologica. Insieme effettuavano lunghe esplorazioni sulle rovine e, proprio nel corso di tali ricognizioni, nacque l’idea di realizzare una grande pianta del Campo Marzio, il cui progetto definitivo giunse fino a dilatarsi in un volume interamente dedicato all’area compresa tra il Tevere e il Corso. La grande tavola con l’Ichnographia costituisce il punto di partenza e il punto di arrivo dell’intera opera: Piranesi immagina infatti la pianta come frammento di un’unica grande lastra marmorea, in un significativo rimando alla Forma Urbis severiana.

SALA 6
Immagini di veduta e di analisi

Le Vedute di Roma, qui esposte, sono presentate in un dialettico confronto con l’altra grande serie delle Antichità Romane (si veda la Sala 4).

Già la prima formazione veneziana aveva orientato Piranesi verso un’identità di professione dell’architettura che univa le capacità pratiche della tecnica alla riflessione sulla teoria e sulla storia.

A Roma, a contatto con l’esperienza diretta delle rovine, questa disposizione evolve in una concezione dell’antichità quale problema vivo e presente all’attualità dell’esistenza. Vi contribuisce il pensiero di molti studiosi dell’ambiente romano. In particolare Giovanni Giacomo Bottari gli trasmette l’urgenza storica e morale di documentare il patrimonio antiquario e di ripristinare un criterio di verità storica tratto dall’esperienza oggettiva, eliminando l’infondatezza dell’opinione e le falsità derivanti dall’ignoranza e dai pregiudizi.

SALA 7

Vestigia monumentali: occulte, sotterranee

Nel 1773 Piranesi pubblica il Trofeo o sia Magnifica Colonna Coclide di Marmo con dedica a Clemente XIV, che riproduce in 21 tavole gli episodi delle guerre di Dacia nella Colonna Traiana. Se ne espone qui la grande tavola in verticale con il prospetto della Colonna sulla cui sommità è collocata, come in origine, la statua dell’imperatore Traiano, sostituita nel 1587 con l’attuale di San Pietro.

In un’altra importante serie qui esposta, le Antichità Romane, la parola scritta, di cui è corredata la raccolta, e l’acquaforte, costituiscono per Piranesi la disperata memoria per trattenere la rovina ancora visibile, ma che si sgretola e dissolve giorno dopo giorno. Il decennio di studio e di riflessione teorica che aveva preceduto la pubblicazione, verificando sul vero le proprie conoscenze, aveva comportato l’analisi di ogni singolo reperto in ogni luogo di Roma, anche il meno evidente. Ricercando le vestigia occultate negli spazi privati, irriconoscibili nel loro degrado e nell’utilizzazione attuale, indagando l’ignoto sotterraneo, Piranesi organizza i recuperi frammentari, sia di nozioni che di cose. A questo scopo faceva convergere tutti i mezzi teorici e pratici che possedeva: il disegno architettonico e scenografico per comprendere la complessità degli spazi monumentali e renderla adeguatamente; il disegno pittorico per descrivere la collocazione ambientale delle vestigia senza deprimerne la verità naturale; la cultura letteraria e documentaria per verificare le nozioni correnti e il dato sperimentato dal vero. E poi lo scavo, per ricercare le nozioni mancanti e appianare le lacune delle conoscenze: e lì, di nuovo rilevare, misurare, comprendere l’ingegneria delle strutture. Piranesi vive questa utopia con un’intensità iperbolica, un furore nel documentare e preservare quanto scoperto e poi avvalorato dalla ricerca, che è implicitamente una lotta contro l’attualità di una Roma che continuava a risultare inadeguata al suo immenso passato e, col suo degrado, a soffocarne i resti nell’informe. Una Roma frammentaria e disordinata, territorio devastato, di rurale arcaismo, occupato da emergenze architettoniche disorganiche tra loro, isole rinascimentali, controriformistiche, barocche; basiliche, palazzi, chiese, dove stili contrastanti si accalcavano gli uni agli altri alle spese di quello che, nell’idea di Piranesi, i romani antichi avevano realizzato di più grande, la città nel suo organico complesso: Urbe.

SALA 8

Vasi, candelabri, cippi, sarcofagi, tripodi, lucerne ed ornamenti antichi

Quasi dieci anni dopo la pubblicazione delle Diverse maniere d’adornare i cammini…, la raccolta qui esposta di Vasi, candelabri, cippi, sarcofagi, tripodi, lucerne, ed ornamenti antichi… (1778) viene a completare il lessico neo-antico inventato da Piranesi, fornendo un ricco compendio dello sconfinato repertorio visivo delle suppellettili romane. Pubblicati postumi con qualche aggiunta del figlio Francesco (ma molti fogli sciolti circolavano già anni prima), i modelli qui proposti divennero veri e propri prototipi ideali dell’arredamento tra Sette e Ottocento, con larga e fortunata risonanza in tutta Europa, in particolare nei paesi anglosassoni. Si tratta di una rimeditazione sulla grandezza imperiale di Roma, applicata qui non alle forme maestose dell’architettura, ma a quelle più ridotte degli oggetti destinati all’arredamento d’interni. Quest’operazione editoriale costituisce ancor oggi una preziosa fonte in campo strettamente archeologico, grazie anche alla precisione e costanza con cui Piranesi annota l’ubicazione dei pezzi e, in alcuni casi, la loro provenienza. Alla maggioranza degli oggetti esistenti a Roma, identificati in collezioni di grande prestigio (tra le altre quelle dei Musei Capitolini e Vaticani e le raccolte dei principi Altieri e Barberini), si affiancano quelli altrettanto significativi di Velletri (Museo Borgia), Napoli (Battistero del Duomo), Portici (il celeberrimo tripode di Iside allora nel Museo Reale). Ma gran parte delle opere pubblicate nella serie erano di proprietà dello stesso artista che, com’è noto, nella sua casa di palazzo Tomati in via del Corso aveva una vera e propria attività di antiquario nel senso più moderno del termine, dove riceveva i più colti conoscitori e amatori d’arte del tempo. Molte di queste suppellettili, soprattutto grandi vasi e candelabri, passarono così in illustri raccolte europee, dove tuttora si trovano. Al ricco mercato dei viaggiatori stranieri del Grand Tour, soprattutto inglesi, si rivolse infatti Piranesi dopo la morte di papa Clemente XIII (1769), suo principale mecenate.

SALA 9
Le grandi opere d’ingegneria idraulica

Nelle opere esposte in questa sala, che si presentano come un elogio delle straordinarie capacità progettistiche dei primi romani, Piranesi si dedica allo studio di uno dei suoi soggetti preferiti: le grandi opere d’ingegneria idraulica.

Le tavole che compongono la Descrizione e Disegno dell’Emissario del Lago Albano (1762) riproducono, infatti, il lungo cunicolo scavato dai romani per far defluire le acque del lago di Albano verso il mare. L’artista appare ancora una volta affascinato dalla bellezza del luogo, che lo porta a descrivere in termini suggestivi gli strati sotterranei della terra, popolati da una strana e minuscola umanità e dalla sapiente tecnica costruttiva degli ingegneri romani, cui dedica tavole ineccepibili sotto il profilo scientifico.

Lo studio attento del grandioso rudere del cosiddetto “castello” dell’Acqua Giulia, più noto come Trofei di Mario in piazza Vittorio sull’Esquilino, condotto dall’artista sulle proprie solide basi da ingegnere e architetto, lo conduce all’esatta deduzione secondo cui si tratta della “mostra d’acqua” monumentale dell’acquedotto di età augustea costruito da M. Agrippa nel 35 a.C..

Di fronte alle accuse mosse dai suoi “avversari”, secondo i quali l’architettura romana era meramente funzionale alla realizzazione di strade o condutture, l’artista si impegna così a dimostrare la pienezza della loro scienza idraulica e quale magnificenza architettonica comportasse la risoluzione di problemi pratici e la realizzazione di opere d’interesse pubblico.

SALA 10
La Polemica con Mariette

Nell’acceso dibattito sulla superiorità dell’arte greca o di quella romana, Piranesi sostiene strenuamente il predominio assoluto di quest’ultima. Tale impegno dell’artista si esplica in numerosi interventi polemici che ci giungono attraverso altrettanti testi scritti pubblicati all’interno delle sue raccolte di acqueforti. Le Osservazioni sopra la Lettre de M. Mariette (1765), che qui si presentano, costituiscono una risposta allo studioso Pierre-Jean Mariette che, nel 1764, aveva criticato lo stesso Piranesi rispetto a tale questione. Nella raffigurazione del frontespizio dell’opera vengono ad esempio messe in contrapposizione due colonne di ordine tuscanico, a rappresentazione dell’architettura etrusca e quindi di quella romana, indipendenti dalla greca, con la mano di Mariette in alto, nell’atto di scrivere la sua lettera polemica. L’iscrizione qui leggibile chiarisce l’intento nel motto “aut cum hoc aut in hoc” (“o con questo o in questo”), sottolineando come le teorie degli eruditi risultino vane e prive di fondamento pratico se non sostenute da uno studio approfondito e diretto del manufatto artistico.

SALA 11

Della Magnificenza e Architettura de’ Romani

Polemizzando con i sostenitori di una dipendenza dell’architettura romana da quella greca, Piranesi pubblica nel 1761 il volume Della Magnificenza e Architettura de’ Romani, corredato da duecento pagine di testo italiano con traduzione latina, e da trentotto tavole incise all’acquaforte. Secondo quanto già affermato nelle Antichità Romane (1756), egli attribuisce alla sola cultura etrusca il ruolo di ispiratrice di quella romana, rivendicando la superiorità dell’architettura e della cultura romana sia su quella dei barbari, sostenuta dall’inglese A. Ramsay, sia su quella greca, sostenuta dal tedesco J.J. Winckelmann. In accostamenti spregiudicati, affianca inoltre le severe costruzioni italiche a quelle egizie, tacciando l’architettura greca di “vana leggiadria”.

L’opera è dedicata a Clemente XIII, suo munifico finanziatore.

SALA 12

Le Carceri d’Invenzione

Creazioni fortemente visionarie, le Carceri rappresentano ormai un caposaldo del nostro immaginario collettivo. Il potente nucleo iconografico ha infatti mantenuto nel corso del tempo un fascino inalterato, raggiungendo moltissimi ambiti di espressione artistica, non solo nelle arti visive (basti citare le intricate prospettive di Escher), ma anche in letteratura (Baudelaire, Victor Hugo, Marguerite Yourcenar), in architettura (le utopie architettoniche di Gropius e del Bauhaus) e nella moderna cinematografia (Ejzenštein, nei film Metropolis o Matrix).

A pochi anni dall’arrivo a Roma di Piranesi, tra il 1745 e il 1747, risale l’esecuzione dei primi 14 rami delle Carceri, editi da Bouchard nel 1749-1750 con il titolo Invenzioni capric[ciose] di Carceri all’acqua forte. Quest’intestazione si ricollega alla tradizione del “capriccio”, giunto alla sua massima espressione nella Venezia settecentesca con Tiepolo, Canaletto, Marco Ricci. Le Carceri segnano tuttavia, rispetto a questi precedenti, un enorme salto qualitativo, non soltanto da un punto di vista tecnico e incisorio, ma soprattutto per la concezione spaziale fondata su una prospettiva geometricamente ineccepibile eppure sfuggente, dall’effetto “straniante” e a tratti addirittura inquietante. La seconda edizione della serie, pubblicata nel 1761 con il titolo Carceri d’invenzione di G. Battista Piranesi archit[etto] vene[to], ripropone invece le Carceri in una versione definitiva che vede l’aggiunta di due nuove acqueforti.

Siamo di fronte alla rievocazione storica di un’architettura monumentale elaborata sul filo della memoria e dell’immaginazione, dalle segrete di Castel Sant’Angelo al Carcere Mamertino. L’intrico di scale, i frammenti di antichità in rovina, le grate, gli strumenti di tortura inseriti in una prospettiva labirintica che moltiplica i punti di fuga, creano un senso di vertigine, in cui le rare figure che popolano le monumentali strutture in pietra vagano assorte e senza scopo, tutte ugualmente prigioniere di una medesima macchina infernale.

SALA 13

La visualizzazione tridimensionale di alcune delle Carceri d’Invenzione permette di amplificarne la percezione, consentendo di svelare il progetto “architettonico” che è nascosto dietro i tratti di Piranesi “artista”. Rendere questa trasformazione ha richiesto lo studio dettagliato delle geometrie e, in alcuni casi, l’interpretazione delle scene raffigurate allo scopo di ampliare l’esperienza visiva del visitatore, che potrà sentirsi letteralmente trasportato all’interno dell’opera di Piranesi grazie anche a un “tappeto” sonoro appositamente studiato e realizzato per completare l’esperienza percettiva.

Visualizzazione immersiva a cura del Laboratorio PERCRO.

Istituto TECIP, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa.

Prof. Massimo Bergamasco, Marcello Carrozzino, Chiara Evangelista, Pietro Salerno, Marina Tanaka.

SALA 14
Lo “stile Piranesi”: fra decorazione e arredo

Le incisioni qui presentate appartengono alla celebre serie Diverse maniere d’adornare i cammini ed ogni altra parte degli edifizi… (1769), che presenta elaborate soluzioni decorative per camini e altri arredi d’interno come mobili, orologi e carrozze. Una raccolta di elementi concepiti fra la decorazione e l’arredo che, seppur desunti dall’antichità, vengono trasferiti dall’artista in oggetti di vita quotidiana. Le formule ornamentali colpiscono soprattutto per l’inesauribile fantasia, contemperata da riferimenti nostalgici verso il mondo classico e barocco. Vi ricorrono motivi tratti dal repertorio dell’Antico e della cultura egizia, con figure umane o fantastiche, divinità mitologiche, elementi naturali e zoomorfi.

Il gusto piranesiano per una decorazione basata su motivi egizi trionfa soprattutto nelle acqueforti di camini e nei progetti per il celebre Caffè degli Inglesi, originariamente situato in piazza di Spagna e oggi distrutto. Esso rappresenta uno specifico interesse antiquariale di epoca pre-napoleonica, che si affermò con forza nell’Europa del Settecento e che dimostra in Piranesi la precoce apertura verso una cultura che in futuro avrebbe nutrito l’immaginazione di molti artisti. Come già l’architetto Fischer von Erlach aveva affermato prima di lui, Piranesi sosteneva che le forme architettoniche dell’antico Egitto fossero all’origine dell’architettura romana, pervenuteci attraverso la mediazione degli etruschi.

Alcuni camini recano una didascalia con il riferimento alla collocazione di appartenenza e sono stati oggi rintracciati, come quello del marchese di Exeter a Burghley House; altri, solo progettati da Piranesi, erano stati concepiti fin dall’origine per ambienti inglesi, come dimostra la presenza di una cassetta per il carbone, utilizzata in Inghilterra, ma non nel continente. Quest’iniziativa editoriale diede luogo a Roma a una vera e propria industria per la produzione di camini, volta a soddisfare le numerose richieste del mercato nato dal Grand Tour, e contribuì tra l’altro all’affermazione di un gusto specificamente definito “stile Piranesi” (Henri Focillon).

Sala 15

Santa Maria del Priorato

Fotografie di Andrea Jemolo

A causa delle difficoltà di ogni genere incontrate da Piranesi in qualità di architetto, la sola realizzazione portata a compimento nel corso della sua vita è il progetto di ristrutturazione, in cima al colle Aventino, della piccola chiesa di Santa Maria del Priorato dei Cavalieri dell’Ordine di Malta. L’incarico per il lavoro gli giunse grazie al cardinale veneziano Giovambattista Rezzonico, nipote di papa Clemente XIII, che venne nominato Gran Priore dell’Ordine di Malta nel 1763.

La ristrutturazione piranesiana, terminata nell’ottobre del 1766, coinvolse non soltanto la chiesa, ma anche la realizzazione di un ingresso scenografico e monumentale al complesso, l’attuale piazza dei Cavalieri di Malta, con un muro di recinzione perimetrale in cui si moltiplicano stele commemorative, trofei e obelischi, carichi di simboli allusivi alle imprese militari e marittime dei Cavalieri. Allo stesso tempo, il ricco apparato decorativo rende omaggio all’antichità romana, etrusca ed egizia insieme. La composizione trova il suo vertice nella facciata-propileo con l’ingresso al Priorato, da cui oggi si gode la celebre vista, attraverso gli alberi, della cupola di San Pietro. La chiesa riceve nell’occasione una nuova facciata, anch’essa ricolma di emblemi militari, con una simbologia che coniuga elementi veneziani e romani. Al suo interno la solenne spazialità, l’esuberanza decorativa delle superfici e la complessa volumetria dell’altare maggiore testimoniano un debito verso le ricerche formali di età barocca.

La chiesa accoglie le spoglie mortali di Piranesi.

Nella sala sono esposte le interpretazioni fotografiche del complesso architettonico espressamente eseguite per quest’occasione da Andrea Jemolo, da tempo attivo in lavori di fotografia d’architettura per numerosi committenti internazionali. La campagna fotografica è stata eseguita con la collaborazione di Roberto Ceccacci. La post-produzione è opera di Daniele Coralli.

Si ringrazia per la disponibilità alle riprese il Gran Priorato dei Cavalieri dell’Ordine di Malta.

SALA 16

L’antica Paestum

Nel corso della sua visita a Paestum, nel 1777, Piranesi esegue tutti i disegni destinati alle future incisioni all’acquaforte che tuttavia, a causa del suo grave stato di salute, non riesce a eseguire. L’opera sarà completata e curata dal figlio Francesco che, l’anno dopo la morte del padre, sopravvenuta a soli 58 anni nel 1778, e appena due mesi dopo l’imprimatur papale, la darà alle stampe col titolo Différentes vues de quelques restes de trois grandes édifices qui subsistent encore dans le milieu de l’ancienne ville de Pesto…, di cui si presentano alcune acqueforti in questa sala. Il volume contiene diciassette tavole, di cui otto firmate da Giambattista, più un frontespizio e due incisioni firmate da Francesco.

Nella scelta del titolo francese, con cui l’opera fu data alle stampe, s’intravede forse già la direzione verso Parigi che avrebbero preso i figli di Giambattista ̶ Laura, Pietro e Francesco ̶ nel fondare in quella città, nel 1800, la “Calcographie des Piranesi frères”, attraverso cui continueranno l’edizione dei rami paterni, accresciuti da opere proprie.

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INFO

Mostra

Piranesi. La fabbrica dell’utopia

Dove

Museo di Roma Palazzo Braschi

Piazza Navona, 2; Piazza San Pantaleo, 10

Apertura al pubblico

16 giugno -15 ottobre 2017

Dal martedì alla domenica dalle ore 10 – 19

(la biglietteria chiude alle 18) chiuso il lunedì

Inaugurazione

15 giugno 2017 ore 18.00

Enti promotori

Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali in collaborazione con la Fondazione Giorgio Cini di Venezia

Organizzazione di

Associazione Culturale MetaMorfosi e Zètema Progetto Cultura

A cura di

Luigi Ficacci e Simonetta Tozzi

Catalogo

Visualizzazione Immersiva

De Luca Editori d’Arte

Laboratorio PERCRO, TECIP-Scuola Superiore Sant’Anna

SPONSOR SISTEMA MUSEI CIVICI

Con la collaborazione di

MasterCard Priceless Rome

Sponsor Tecnico

Il Messaggero

Media partner

SPONSOR MOSTRA
In collaborazione con

Sponsor ufficiale

Sponsor tecnici

Ferrovie dello Stato Italiane

Fondazione Giordano; Fondazione Hruby
Listone Giordano
Montenovi; Rotas; Skyarte; Artemagazine

Biglietti

Biglietto “solo mostra”: intero € 9; ridotto € 7; Speciale Scuola € 4 ad alunno (ingresso gratuito ad un docente accompagnatore ogni 10 alunni); Speciale Famiglia: € 22 (2 adulti più figli al di sotto dei 18 anni)
Biglietto integrato Museo di Roma + Mostra (per non residenti a Roma): intero € 15; ridotto: € 11
Biglietto integrato Museo di Roma + Mostra (per residenti a Roma):
intero € 14; ridotto € 10

Info

Tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 19.00)
www.museodiroma.it; www.museiincomune.it

Testi e immagine da Ufficio stampa Zètema Progetto Cultura.

Dove i classici si incontrano. ClassiCult è una Testata Giornalistica registrata presso il Tribunale di Bari numero R.G. 5753/2018 – R.S. 17. Direttore Responsabile Domenico Saracino, Vice Direttrice Alessandra Randazzo. Gli articoli a nome di ClassiCult possono essere 1) articoli a più mani (in tal caso, i diversi autori sono indicati subito dopo il titolo); 2) comunicati stampa (in tal caso se ne indica provenienza e autore a fine articolo).

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