Byung-Chul Han La scomparsa dei riti. Una topologia del presente – recensione

Nel 1960 il mitologo Mircea Eliade auspicava la possibilità di «vedere dei segni, dei significati nascosti, dei simboli, nelle sofferenze, nelle depressioni, negli inaridimenti di tutti i giorni»; in questo modo, sosteneva ancora lo studioso, sarebbe stato possibile rintracciare un messaggio pregno di senso «nello scorrere amorfo delle cose e nel flusso monotono dei fatti storici». Erano gli anni del boom economico, quelli in cui la furia dello sviluppo imperversava e una fiducia collettiva nel futuro, dopo i disastri della guerra, occultava i pericoli legati a un progresso sfrenato e irriguardoso. Oggi il filosofo di origini coreane Byung-Chul Han, nel solco di una ricerca portata avanti con ammirevole pregnanza nello scorso decennio, in un recente saggio edito da nottetempo denuncia La scomparsa dei riti.

Un’avvertenza posta in apertura del volume mette in guardia il lettore: non si tratta, per l’autore, di un nostalgico desiderio di ritorno a quella ritualità che ha caratterizzato il nostro passato, ma di una lucida topologia del presente, come recita d’altra parte il sottotitolo del libro. Tuttavia, l’analisi delineata da Byung-Chul Han, ben lungi dall’essere neutra, sottende l’assunto netto per cui il progressivo allontanamento dal simbolo e dal sacro non coincide con una vera emancipazione, ma con una patologica erosione del senso di comunità.

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Byung-Chul Han, La scomparsa dei riti. Una topologia del presente. Foto di Bianca Sorrentino

In questo tempo inabitabile, sottoposto alla legge dell’impermanenza, l’essere non è mai a casa, il mondo non è mai un posto affidabile: senza simboli e metafore in grado di cementare la comunità, si smarrisce l’orizzonte della stabilità e il miracolo della durata non può avverarsi. I giorni trascorrono così nel trionfo sterile della contingenza, della coazione a produrre e a prodursi, fino all’esaurimento. Byung-Chul Han associa la scomparsa dei riti alla «crescente atomizzazione della società», all’imperante narcisismo collettivo che ignora il prodigio dell’attenzione profonda.

La continua ricerca di stimoli ed esperienze inedite non è altro che una coercizione verso il nuovo che di fatto impedisce l’accasamento: illudendosi di rincorrere l’innovazione, si produce invece soltanto una stanca routine, che è la degenerazione della ripetizione, ovvero il tratto essenziale dei riti. Senza la risonanza che le cerimonie collettive incoraggiano, infatti, senza questo ritmo comune al quale ognuno deve accordarsi, l’unico suono che si percepisce è l’eco del sé, una finta comunicazione che non ha corpo e che condanna all’isolamento, con inevitabili ricadute sull’equilibrio emotivo dei singoli e della società.

Pagine di grande intensità sono dedicate poi alla festa e al gioco, dimensioni che impregnano di sé le forme rituali e che ci aiutano a leggere il reale in una chiave magica, grazie alla quale al baccano che infesta oggi la comunicazione si sostituisce un silenzio che ha a che fare con il sacro e che ci riconnette quindi alla parte più profonda del sentire nostro e dell’Altro.

Byung-Chul Han, La scomparsa dei riti. Una topologia del presente. Foto di Bianca Sorrentino

Lo stile apodittico dell’autore, che apparentemente sembra non dare adito a obiezioni, non può lasciare indifferente il lettore e finisce per coinvolgerlo in un confronto dialettico effervescente intorno ai temi del contemporaneo. Che si concordi entusiasticamente con le posizioni del filosofo o si prenda le distanze da alcune osservazioni radicali, resta innegabile che la tensione che anima il volume costringe chi legge a dare del tu al proprio tempo e a riconoscerne con onestà intellettuale contraddizioni e ambiguità. Al netto della risolutezza con cui Byung-Chul Han smaschera pose e ipocrisie, l’intento ultimo risulta particolarmente propositivo: «da un reincanto del mondo (…) ci si potrebbe aspettare un’energia curativa in grado di contrastare il narcisismo collettivo», conclude l’autore.

Dopo decenni di consuetudine al ridimensionamento di ciò che è grave, serio, formale, ufficiale, dopo decenni di tenace lavorio finalizzato alla relativizzazione e all’umiliazione di ciò che fino a quel momento era stato percepito come intangibile e inviolabile, ecco l’auspicio che il simbolo torni salvifico a ricordarci il suo essere venerando e a riunirci in un nuovo senso di comunità.

Byung-Chul Han La scomparsa dei riti
Byung-Chul Han La scomparsa dei riti. Una topologia del presente, con traduzione di Simone Aglan-Buttazzi, pubblicato da Edizioni Nottetempo (2021)

Il libro recensito è stato cortesemente fornito dalla casa editrice.

 

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