SOTTO LA PELLE DEL MONDO, saggio di Dario Fabbri

Sotto la pelle dei mondo”, libro edito da Feltrinelli nel settembre del 2024, è arrivato oggi alla terza edizione. Dario Fabbri, il suo autore, propone nel saggio un’ampia riflessione sul presente attraverso una variante della geopolitica classica: la “geopolitica umana”.

La geopolitica è una disciplina che sta trovando notevole spazio nei media tradizionali e non, anche in conseguenza degli sconvolgimenti di questi anni.

la copertina del libro Sotto la pelle dei mondo, di Dario Fabbri, edito da Giangiacomo Feltrinelli (2024) nella collana Scintille. Foto di Alessandro Turillo

Il termine, coniato nel 1899 dal geografo svedese Rudolf Kiellén, nasce come corrente di pensiero che cerca di studiare le relazioni tra geografia fisica, geografia umana e azione politica. Questa disciplina presenta fin dalle sue origini una riflessione che diverge dal pensiero scientifico.

La variante proposta da Fabbri nel suo testo “Geopolitica umana” (Gribaudo, 2023) aumenta il grado di complessità dell’argomentazione visto che si muove nel tentativo di far dialogare: storia, antropologia, pedagogia, linguistica, psicologia collettiva e ancora metafisica, storia delle religioni, strategia, tattica e tanto altro.

Avventurarsi su questa strada richiede dunque molta pazienza e soprattutto coscienza dei propri limiti, ma è anche un’occasione da cogliere, ricordando sempre che la complessità non è parente della certezza.

Il dato che personalmente ho trovato più confortante nell’incontro con questa prospettiva è il radicamento di Fabbri nell’approfondimento storico, usato come bussola irremovibile di ogni suo ragionamento.

L’uso della storia obbliga il lettore a porsi interrogativi e considerare lo spettro delle sue conoscenze, dovendo spesso ammettere che se interessato dovrà poi armarsi di coraggio e inoltrarsi in un approfondimento che le sintesi di Fabbri potrebbero richiedere.

Fin dall’introduzione del testo saremo a confronto con una messa in discussione dei fondamenti degli ultimi ottant’anni di formazione culturale nella nostra nazione. Molte delle nostre conoscenze saranno implicitamente messe in discussione, e a seconda della nostra esperienza saremo obbligati a ripassare i fondamentali, per pensare a cosa nel testo sia da relativizzare e cosa invece vada possibilmente sposato.

Un punto di forza dello scritto potrebbe essere quello di riorganizzare saperi sedimentati che non trovano la pace di una sintesi adeguata e una divulgazione appropriata. Visto che nella società dell’informazione la sommarietà è un rischio costante, la storia si offre come compagna affidabile, sempre a patto di rispettarne le ampiezze temporali e le peculiarità territoriali.

Quanto si estende la nostra riflessione sul presente? Arriviamo con la memoria a fatti relativi al Nord Africa? Siamo minimamente a conoscenza delle criticità nei mari d’Oriente? Cosa sappiamo davvero del continente americano? E quanto conosciamo la storia del nostro Mediterraneo?

La vertigine è assicurata.

Personalmente il saggio risveglia in me una sete di storie che non provavo da molto tempo, che forse non avevo mai provato.

Comincio a riflettere su una dei più inafferrabili degli elementi della vita: il tempo.

Penso alla moda, quella del nostro presente, ne sono immerso, ma è difficile che la riesca vedere per quello che è con chiarezza.

Se però guardiamo un filmato degli anni ’50, tutto ci sembra più evidente, le domande si affollano: perché si vestivano così? Perché quel modo di atteggiarsi? Cosa rappresenta quel modo di ballare? Da quel momento forse avrò maggior attenzione anche per le mode del presente, sarò più libero di osservarle più per quello che raccontano che per il loro veloce mutare.

Il tempo e la memoria sono la base del sapere, riuscire a interrogarle diventa vitale per chi ha necessità di conoscenza sul presente.

Ho sviluppato una propensione per pormi delle domande che hanno a che fare con il qui ed ora, ma inesorabilmente, in ogni epoca, vederle emergere dalla massa informe degli accadimenti è sempre stato un momento raro.

Foto di Alessandro Turillo

Troppo immerso nel flusso della mia vita, distratto dalla lotta con il presente tendo a perdere la possibilità di capirlo davvero, come se guardassi qualcosa di remoto e inafferrabile.

Eppure come in tutte le cose del mondo può succedere che le proprie conoscenze possano inciampare in altre discipline: nel disorientamento generale del contemporaneo, questo incespicare potrebbe intercettare dei segnali che mettono a frutto il nostro sapere insieme a quello di altri.

Le domande continuano a moltiplicarsi, e credo continueranno ben oltre la lettura del saggio: c’è una differenza tra l’Occidente dell’Europa e quello degli Stati Uniti? L’inglese è la lingua del nostro tempo? Il nostro concetto di individuo è diffuso in tutto il mondo allo stesso modo? La lingua di appartenenza conserva tesori e storie che pesano sulle scelte dei politici contemporanei?

L’autore dichiara a pagina 17, l’esperto è colui che taglia “ciò che conta da quanto è insignificante”.

Con questa sicurezza, a volte disarmante, nel libro vengono poste questioni in essere.

Credo che il testo sia davvero un momento di riflessione aperta sul nostro sapere, e di verifica di alcune questioni che personalmente stavano ben comode dentro ad un senso comune sul quale non avevo mai davero posto una riflessione critica.

la copertina del libro Sotto la pelle dei mondo, di Dario Fabbri, edito da Giangiacomo Feltrinelli (2024) nella collana Scintille. Foto di Alessandro Turillo

Quali ne saranno gli sviluppi dipenderà molto dal tempo che avremo per incamminarci in una delle strade che ogni capitolo propone, affrontando temi che sono sotto i nostri occhi nei titoli di testa dei media.

Vedremo storia e geografia camminare sulla stessa strada: Cina, Russia, India, Iran, Germania, Messico, Israele, Medio Oriente, Turchia, Germania, Inghilterra, e Stati Uniti. C’è anche spazio in questa narrazione per l’Italia, con la sua storia millenaria, postadolescenziale e senile allo stesso tempo, la cui fatica più grande rimane sempre la stessa: riconoscersi per quello che è.

Ma vorrei scendere un po’ nello specifico del metodo di questo volume per dare un assaggio di quello che potreste incontrare durante la lettura. Per farlo parto dalla Germania, nazione centrale per il destino economico dell’Italia in questo presente.

Sentiamo direttamente da Fabbri una di quelle storie che nel mio percorso formativo non avevo mai incontrato:

La Germania non è una nazione. Mai lo è stata. Da tale consapevolezza gemma ogni indagine intorno alla sua natura. “È effettivamente falso parlare di nazione tedesca”, scolpì Thomas Mann. Il territorio è tuttora abitato da renani, anseatici, vestfaliani, bavaresi, svevi. Più sassoni, turingi, pomerani (storicamente detti prussiani). Catalogo di matrice tribale, confermato nei millenni” (p.154).

Queste domande sono per tutti: che conoscenze avete davvero della Germania? Questa partizione tribale è mai stata parte della vostra coscienza?

Nella narrazione di Fabbri la storia porta spesso con sé un’evocazione letteraria, questa volta ad esempio prende le spoglie della citazione di Mann.

Ma proseguendo poco oltre troviamo ancora un’esemplificazione del suo stile narrativo che si occupa tanto di linguistica, quanto di formazione culturale nazionale e storia:

Nel 1872 a Lipsia andò in stampa il celebre dizionario Duden (Urduden nella sua versione primigenia) per fissare come (fintamente) nazionali ortografia e pronuncia prussiane – sebbene Johann Fichte considerasse la lingua tedesca esistente al di la degli uomini” (p. 154).

Questo a proposito del costante tentativo dei vincitori di imporre non solo la propria lingua, ma anche la propria pronuncia sui vinti.

Il capitolo prosegue poi con le divisioni del presente in Germania. Da una parte modello economico e di welfare, ma dall’altra esempio divisioni interne radicali e storiche che noi italiani spesso non teniamo a mente.

Si scende poi ad una rivelazione già palese ai nostri esperti di economia:

“Il compromesso siglato negli anni novanta – l’industria italiana inserita nella catena del valore tedesca per continuare a campare a debito – è motivo stesso della nostra sopravvivenza” (p.166).

la copertina del libro Sotto la pelle dei mondo, di Dario Fabbri, edito da Giangiacomo Feltrinelli (2024) nella collana Scintille. Foto di Alessandro Turillo

Sotto la pelle del mondo” si presenta come una novità intrisa di passato, storie e domande che interrogano tutta la stampa sul nostro presente, con temi come quelli relativi a migrazioni, etica, politica, e soprattutto la nostra considerazione su cosa sia il motore della storia.

Dario Fabbri cerca di dare delle risposte agli interrogativi attuali, lasciando aperte riflessioni e domande che il testo inevitabilmente solleva. Potrebbe accadere di veder rallentare la frenetica fuga dell’attualità mentre si trasforma nell’osservazione dell’infinito e complesso abbraccio tra passato, presente e futuro.

la copertina del libro Sotto la pelle dei mondo, di Dario Fabbri, edito da Giangiacomo Feltrinelli (2024) nella collana Scintille

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