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Area Sacra di Largo Argentina

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Area sacra di Largo Argentina

SCHEDA STORICA

LA SCOPERTA E GLI SCAVI

Le demolizioni del quartiere compreso tra via del Teatro Argentina, via Florida, via S. Nicola de’ Cesarini e Corso Vittorio compiute nel giro di tre anni – tra il 1926 e il 1929 – e finalizzate alla costruzione di nuovi edifici riportarono inaspettatamente alla luce uno dei più importanti complessi archeologici della città di età repubblicana: una vasta piazza lastricata su cui sorgono quattro templi comunemente indicati con le prime quattro lettere dell’alfabeto, poiché la loro identificazione non è ancora del tutto certa.

Le uniche tracce riconoscibili di questo complesso archeologico erano allora visibili nella chiesa di San Nicola de’ Cesarini che inglobava nel suo interno i resti di un tempio rettangolare e, nel cortile annesso, dove le cinque colonne di tufo di un tempio rotondo erano state identificate già nel XVI secolo come tempio di Ercole Custode.

Quando nel 1926 ebbero inizio i lavori di demolizione, i ritrovamenti che man mano venivano alla luce superarono di gran lunga le aspettative al punto che nel 1927 il Governatorato sospese la concessione della licenza di costruzione, data in precedenza all’Istituto dei Beni Stabili.

La storia dei lavori e il succedersi delle operazioni sono registrati nei giornali di scavo e nelle numerose relazioni pubblicate da Giuseppe Marchetti Longhi che seguì gli scavi per oltre 40 anni, mentre l’incarico di sistemare l’area fu affidato ad Antonio Muñoz, soprintendente alle Antichità e Belle Arti, il quale, per riportare i quattro edifici sacri al loro “primitivo isolamento”, fece demolire gran parte delle costruzioni inserite tra i templi e a questi strettamente collegate.

L’area fu frettolosamente allestita per la sua inaugurazione, avvenuta il 21 aprile del 1929, e da allora tale sistemazione non ha subito modifiche di rilievo.

L’AREA ARCHEOLOGICA

Nel III secolo a.C., sull’originario piano di campagna, costituito da terra battuta e ghiaia, fu costruito il Tempio C. Posto su un alto podio di tufo e preceduto da una scalinata, era dedicato probabilmente alla dea Feronia. Il culto, originario della Sabina, sarebbe stato introdotto a Roma dopo la conquista di questo territorio a opera di M. Curio Dentato nel 290 a.C.

Allo stesso livello del Tempio C fu innalzato il Tempio A. Di dimensioni molto più piccole del precedente, secondo alcuni studiosi è da identificare con il tempio che Q. Lutazio Catulo, console del 242 a.C., fece costruire in Campo Marzio in onore di Giuturna. Innanzi ai Templi A e C furono rinvenute due piattaforme, cui si accedeva tramite quattro gradini, sulle quali erano posti due altari di peperino. L’altare davanti al Tempio C è integro e reca l’iscrizione che ne ricorda il rifacimento a opera di Aulo Postumio Albino; di quello davanti al tempio A, del tutto simile al precedente, si conserva, invece, in situ solo la cornice inferiore mentre parte di quella superiore fu inserita nell’altare di muratura posto al di sopra del pavimento di tufo.

All’inizio del II secolo a.C. fu costruito il Tempio D, dedicato ai Lari Permarini o, secondo altre ipotesi, alle Ninfe.

Si deve attendere la fine del II secolo per l’ultimo tempio: dopo la battaglia di Vercelli del 101 a.C., che pose fine alla terribile guerra contro i Cimbri, Q. Lutazio Catulo, edificò il Tempio B, a pianta circolare su alto podio, dedicandolo alla Fortuna huiusce diei. A questa divinità si riferisce il grandioso acrolito (statua con testa e parti nude realizzate in marmo, mentre il resto è in bronzo o altro materiale) di cui sono stati rinvenuti la testa, un braccio e un piede, oggi conservati nel Museo della Centrale Montemartini.

Nell’80 d.C. un furioso incendio, ricordato dallo storico Cassio Dione, devastò gran parte del Campo Marzio, compresa l’area sacra di largo Argentina, che subì una profonda trasformazione dovuta ai restauri dell’imperatore T. Flavio Domiziano: le macerie furono spianate e al di sopra fu costruito il pavimento in lastre di travertino, ancora visibile. Furono rifatti anche il portico settentrionale e gli alzati dei templi.

All’inizio del V secolo l’area conservava, nelle sue grandi linee, l’aspetto assunto con la ristrutturazione domizianea, ma nel corso di questo secolo ebbe inizio il processo di abbandono e trasformazione degli edifici.

Sulla base della documentazione di scavo e delle strutture ancora visibili, si può ipotizzare che, probabilmente agli inizi del VI secolo, l’area fu occupata da un complesso monastico di cui furono portati alla luce consistenti resti, poi in gran parte distrutti. In particolare fu edificata una grande sala rettangolare, unica struttura di questa fase scampata alla distruttiva “sistemazione” del 1929, in cui è stato riconosciuto il coenaculum del monastero. Questo aveva il suo oratorio all’interno del Tempio A, mentre le stanzette rinvenute a fianco del Tempio A e dietro il Tempio B sono forse da indentificare con le celle dei monaci. Il complesso è stato identificato con il monasterium Boetianum, noto da una citazione del Liber Pontificalis relativa agli anni 676-678.

Successivamente tra l’VIII e il IX secolo furono realizzate imponenti strutture in grandi blocchi di tufo, forse case aristocratiche anch’esse molto sacrificate dalla sistemazione del 1929.

Sempre al IX secolo appartengono le prime testimonianze dell’impianto di una chiesa all’interno del tempio A, che nel 1132 fu dedicata a S. Nicola. Della fase di XII secolo restano l’abside, decorato con una teoria di santi, il pavimento cosmatesco e l’altare a cippo. La chiesa medievale fu poi obliterata da un nuovo edificio barocco, conosciuto come S. Nicola de’ Cesarini, che fu demolito nel 1927.

Nell’area sacra di largo Argentina, inoltre, è ancora oggi visibile, dietro il tempio rotondo di Fortuna, la parte esterna della Curia di Pompeo. La grande sala di oltre 400 mq, annessa al complesso del Teatro e dei Portici di Pompeo, certamente ospitò la celebre seduta del Senato delle Idi di marzo del 44 a.C., durante la quale fu ucciso C. Giulio Cesare. Dallo storico Plutarco sappiamo che in una nicchia del colonnato interno era posta la statua di Pompeo, ai piedi della quale cadde il corpo di Cesare trafitto dai colpi dei congiurati.

Testo e immagini dall’Ufficio stampa Zètema Progetto Cultura

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