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L’Oracolo di Delfo

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Camillo Miola, L’Oracolo di Delfo (1880)

Camillo Miola (Napoli 1840-1919), L’Oracolo di Delfo (1880), olio su tela, misure 144 x 108 cm (senza cornice), 162 x 126 (con cornice), firmato in basso a sinistra CMIOLA, Provincia di Napoli, acquisto del 1881
Camillo Miola (Napoli 1840-1919), L’Oracolo di Delfo (1880), olio su tela, misure 144 x 108 cm (senza cornice), 162 x 126 (con cornice), firmato in basso a sinistra CMIOLA, Provincia di Napoli, acquisto del 1881

Il dipinto viene realizzato nel 1880. L’opera riscuote subito grande successo sia per la ricercatezza tematica che per la resa pittorica. Alcune cronache dell’epoca criticano il costante ricorso ad elementi simbolici e troppo eruditi. Dal dipinto viene anche tratta, da Giuseppe De Sanctis, una incisione ad acquaforte, di cui una copia è custodita al Museo Nazionale di San Martino in Napoli, incisione che si rivelerà utilissima per il successivo recupero del dipinto. Nel 1881 il quadro viene acquistato dalla Provincia di Napoli per 3500 lire, pagate in due rate di 1500 e 2000 lire, e figura in tutti i cataloghi a stampa della Collezione d’Arte dell’Ente fino al 1912.

Nel secondo dopoguerra si perdono le sue tracce, fino a quando riappare in un’asta negli Stati Uniti d’America, dove viene acquistato da un noto antiquario newyorkese che poi lo rivende al J. Paul Getty Museum.

Il dipinto è stato individuato dal Comando TPC nel 2013 presso il museo statunitense J. Paul Getty di Malibù (Los Angeles) e riconosciuto come quello asportato dalle collezioni della Provincia di Napoli. Nonostante le indagini e una prima rogatoria di assistenza giudiziaria in materia penale richiesta negli USA dalla Procura di Roma, non fu possibile recuperare il dipinto in quanto il museo estero asseriva di averlo acquistato in buona fede nel 1972 da una collezione privata che, a sua volta, l’aveva comprato presso un’asta pubblica.

Solo a seguito di ulteriori indagini condotte dalla Procura di Roma e dal Reparto Operativo Carabinieri TPC, in merito alla ricettazione di importanti reperti archeologici trafugati con scavi clandestini in aree archeologiche del territorio italiano ed esportati all’estero, alcuni in collezione al Getty, è stato possibile ottenere la restituzione dell’opera L’oracolo di Delfo, grazie alle attività condotte dal personale del Comando TPC a cui sono affidati i compiti di cooperazione internazionale che ha portato il museo americano a procedere alla sua spontanea e incondizionata restituzione, avvenuta a Los Angeles il 31 gennaio 2023, con rimpatrio avvenuto il 5 febbraio 2023 grazie alla preziosa collaborazione del Consolato Generale d’Italia in Los Angeles (USA). Da qui, poi, la restituzione alla Città Metropolitana di Napoli, erede istituzionale della Provincia di Napoli.

Questa opera traduce su tela tutte le esperienze che possono leggersi nelle biografie dell’artista napoletano. Il tema storico è uno dei filoni in voga nell’arte di fine Ottocento, ma nel caso di Miola è anche espressione della sua formazione classica presso i Gesuiti e della sua esperienza di disegnatore agli scavi di Pompei al seguito di Giuseppe Fiorelli. L’impostazione scenica e l’attenzione per le vesti dei personaggi ritratti sono un chiaro richiamo alle messe in scena delle commedie plautine per l’Università di Napoli nel 1877. Lo spazio buio, nell’ipogeo del tempio di Apollo, tagliato in diagonale da un basso parapetto che segna il limite tra l’area sacerdotale e quella riservata ai richiedenti, viene rischiarata da una luce tenue che penetra in alto a sinistra.

La quinta di sinistra è rappresentata da un pilastrino che reca in basso la firma del pittore CMIOLA in lettere capitali romane, a sottolineare l’attività di trascrizione di epigrafi romane in cui si cimentava l’artista.

A destra il limite della scena è rappresentato da una stele con un’iscrizione in greco inneggiante ad Apollo tratta da Pausania che offre una precisa collocazione nel tempo e nello spazio, e che si abbina all’arco e alla spada appese sul pilastrino di sinistra subito sopra la firma dell’autore (ΑΓΟΥ ΔΕ ΒΑΡΥΝ/ΙΟΝ/ΕΠΑΝΕΡΙ /ΦΟΙΒΟΣ/ΕΦΗΣΙ/ΣΙΝΤΗ ΠΑΡΝΗΣ/ΣΟΙΟΦΟΝΟΥ/ΔΕΚΡΗΣΙΟΙ/ΑΝΔΡΕΣ/ΞΙΡΑΣ/ΑΓΙΣΕΥΟΥΣΙ/ΤΩΔΕΚΑΕΟΣΟΥ/ΤΟΓΟΛΕΙΤΑΙ trad. Subito Febo scaglierà la sua freccia sull’uomo predatore del Parnaso; gli uomini Cretesi purificheranno le sue mani dall’uccisione; ma la sua gloria giammai perirà, da Pausania, La descrizione della Grecia, Libro 10.6.7).

Alle pareti dell’area sacerdotale, di un color rosso bruno, si intravedono gli ex voto frutto delle richieste esaudite, tra cui si distingue chiaramente il pitone ucciso da Apollo, da cui il nome della Pizia, e un dipinto circoscritto da una cornice dorata da cui emergono a malapena la figura di Apollo sul carro del sole trainato da una quadriga di cavalli alati. Foglie e rametti di alloro ricoprono il pavimento, e fumi di incenso si espandono dai bracieri. A sinistra un cono coperto da collane, chiaro riferimento alla credenza secondo cui il tempio edificato sul Parnaso indicasse il centro della terra.

Al centro della scena è fissato il momento culminante. La sacerdotessa dalla fluente chioma bruna, vestita con una tunica bianca straripante d’oro e gioielli, è immortalata al culmine della sua estasi, nel momento stesso in cui attraverso le sue labbra vibrano i versi del responso. La donna, scossa dalla forza divina che si è impossessata del suo corpo, vacilla sul tripode tanto che due sacerdoti faticano a tenerla ferma, mentre un altro è intento ad annotarne le parole.

Davanti a lei, inginocchiati su un tappeto ocra finemente decorato con un fare da codice miniato, i due interroganti in vesti sontuose, chiaro segno di una elevata estrazione sociale, stringono tra le mani ramoscelli di alloro, dopo aver lasciato in dono un piatto di monete d’oro e una statuetta votiva in bronzo in cui è facile leggere una citazione della Vittoria Alata proveniente da Pompei e custodita presso il MANN-Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Testo dall’Ufficio Stampa Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale

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