Un tuffo in un lontano e affascinante passato con “AIDA, figlia di due mondi”
Mostra a Torino, Museo Egizio, 17 marzo – 5 giugno 2022

Nel contesto degli eventi culturali che hanno avuto luogo a Torino negli ultimi mesi, particolarmente interessante si è rivelata la mostra temporanea Aida, figlia di due mondi, che ne celebra i 150 anni. Esposizione colta e impreziosita da un suggestivo allestimento, permette di comprendere appieno il valore e la portata culturale che riveste una delle opere teatrali più celebri di Giuseppe Verdi.

Dalla mostra Aida, figlia di due mondi. Foto di Claudia Musso

Mi ha colpita da subito la complessità del progetto espositivo trans-mediale curato da Enrico Ferraris, egittologo del Museo Egizio torinese e firmato a quattro mani con Christian Greco, Direttore dello stesso, in cui trovano spazio opera, storia, egittologia, teatro, letteratura e cinema.

Dalla mostra Aida, figlia di due mondi. Foto di Claudia Musso

Particolarmente suggestiva l’inaugurazione serale del 17 marzo, condotta dai curatori; una guida con QR code agevola la scoperta delle sale ove trovavano spazio lo scenario originale di Aida, i bozzetti dei costumi, le scenografie ed i gioielli disegnati da Auguste Mariette, egittologo francese che diresse gli scavi archeologici in Egitto, oltre alle diverse stesure del libretto e degli spartiti originali di Giuseppe Verdi che, insieme a reperti, lettere, memorabilia, costituiscono una straordinaria documentazione inerente la genesi, e proveniente da 27 archivi e musei di tutta Europa, compresi il Louvre di Parigi e l’Archivio di Stato di Parma.

Grazie alla collaborazione con il laboratorio della sartoria del Teatro Regio di Torino erano presenti anche le ricostruzioni filologiche delle scene e i modelli in scala dei costumi di scena di Aida e Radamès eseguiti sui figurini originali di Mariette della prima dell’opera. Videogame, “pillole video”, podcast completavano l’apparato documentario con incontri e rassegne cinematografiche relative al periodo storico compreso tra gli anni Quaranta e Settanta dell’Ottocento.

Foto di Claudia Musso

 

allestimento della mostra Aida, figlia dei due mondi
Immagine dell’allestimento della mostra Aida, figlia di due mondi. Foto dall’Ufficio Stampa Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino

Da questo lungo ed esaustivo racconto si è potuto apprendere che all’inizio di giugno del 1870 Verdi accettò dal Viceré di Egitto, Ismā’īl Pāscià, un compenso senza precedenti per comporre un’opera lirica in lingua italiana ambientata al tempo dei Faraoni per portare in scena il glorioso passato dell’Egitto. Nell’intenzione del committente non doveva richiamare la Bibbia né l’immaginario esotico che imperversava in Europa, ma attestare in stile strictement egyptien l’importanza di quella terra tramite le scoperte avvenute e documentate durante gli scavi effettuati dall’archeologo del viceré, Auguste Mariette.

Evento unico nel campo della lirica, la composizione di Verdi venne celebrata da due prime, il 24 dicembre 1871 al Teatro chediviale dell’Opera (anche noto come Teatro Reale dell’Opera) del Cairo e l’8 febbraio 1872 a Milano, ed ancora oggi rimane una delle più acclamate del compositore. L’innegabile riscontro da subito ottenuto da questa Opera sulla cultura europea ha recentemente suggerito una nuova riflessione storico-critica sulle motivazioni che portarono alla sua genesi.

Per celebrare degnamente i 150 anni dalla sua composizione, il Museo Egizio con la mostra AIDA, figlia di due mondi ci ha guidato alla comprensione del perché l’Egitto incaricò proprio la lirica, potente mass-media del XIX secolo, di esprimere un messaggio inequivocabile: con la partecipazione all’Esposizione Universale di Parigi, con le celebrazioni per l’apertura del Canale di Suez e l’attenzione all’egittologia. Quella Terra dichiarò la sua affermazione di identità nazionale rivolta all’Europa e si svincolò ufficialmente dall’Impero Ottomano.

LE PREMESSE STORICHE E SOCIO-POLITICHE

Le riflessioni storico-politiche che oggi scaturiscono da un confronto tra le due Nazioni in oggetto, Francia ed Egitto, traggono origine dall’analisi del fallimento sul piano militare della spedizione in Egitto di Napoleone Bonaparte e i conseguenti effetti sulla storia culturale dei due Paesi.

In Egitto la cacciata dei Mamelucchi (truppe vassalle dell’Impero Ottomano) da parte delle truppe francesi condusse ad un nuovo governo guidato da Muhàmmad ‘Alī Pascià (in turco Mehmet Ali), capo militare ottomano storicamente ritenuto il fondatore dell’Egitto moderno che volse lo sguardo all’Europa nel riformare il suo Paese, in particolar modo alla République Franҫaise, dove ricercò il progresso e una nuova concezione di nazione da adottare per il proprio Stato.

In Francia, invece, la pubblicazione della Description de l’Égypte (serie di volumi iniziata nel 1809 e proseguita fino al 1829) fece dilagare nel nostro continente la passione per l’arte islamica e per la civiltà faraonica; prese forma persino un utopistico progetto di una nuova civiltà sul Nilo, complice la decifrazione dei geroglifici che determinò la nascita dell’egittologia da parte dell’archeologo Jean-François Champollion (1790-1832).

Muhàmmad ‘Alī Pascià pianificò la modernizzazione dell’Egitto sull’esempio della Francia, senza ripudiare però le radici culturali e religiose locali, incoraggiando i contatti con le principali potenze e circondandosi di consulenti europei esperti per i suoi progetti di riforma come la medicina, gli ordinamenti militari, l’industria, le infrastrutture (ordinò lavori idraulici nella valle del Nilo e la coltura del cotone). Incoraggiò la diffusione dell’istruzione pubblica e dal 1826 inviò diversi studenti a Parigi per formarli come futuri funzionari.

Questi furono accompagnati da Rifa’a al-Tahtawi, uno scrittore-giornalista-storico-intellettuale e fondatore della Scuola di Lingue nel 1835, uno dei primi circoli culturali moderni del Paese, e tra i primi egiziani a scrivere di cultura occidentale in dialogo con il pensiero islamico, il che fu fondamentale nel diffondere l’interesse nei confronti dell’Antico Egitto,  con pubblicazioni circa le sue osservazioni sulla vita e le istituzioni dei francesi nell’opera L’Or de Paris (1884), come esempio per i suoi connazionali.

Aida, figlia di due mondi
Dalla mostra Aida, figlia di due mondi. Foto di Claudia Musso

Muhàmmad ‘Alī Pascià si interessò anche all’archeologia e all’egittologia, approvando le parole che Champollion espresse al viceré (al termine della spedizione scientifica franco-toscana di scavi da lui guidata) sulla necessità di frenare la razzia delle antichità da parte degli europei, al fine di tutelare il patrimonio archeologico del Paese; anche due suoi discendenti (Sa’id e Ismā ‘īl) proseguirono questa politica culturale e scelsero un francese, Mariette, per proteggere il patrimonio archeologico del paese dalla depredazione e per divulgarne universalmente la grandezza.

È quindi con l’inizio dell’Ottocento che l’Egitto e l’Europa incrociarono le proprie vicende socio-politiche dando luogo a fenomeni culturali di lunga durata: ne fu un esempio la spedizione francese in Egitto, la cui cronaca dettata da Napoleone a Sant’Elena ne esaltava l’aspetto imperialista, mentre il racconto di Al Jabartī, pur critico nei confronti di Bonaparte, ne apprezzò lo spirito illuministico rappresentato dai Savants francesi suoi seguaci.

AUGUSTE MARIETTE, FIGURA CHIAVE PER L’EGITTO MODERNO E PER L’AIDA

Addentrandoci nei meandri storico-culturali della mostra AIDA, figlia di due mondi, emergeva in tutta la sua importanza la figura chiave di Auguste Mariette (1821-1881) nel ridisegnare l’immagine internazionale dell’Egitto moderno accanto alle antichità faraoniche.

Foto di Claudia Musso

Talentuoso disegnatore, molto prolifico, produsse oltre 200 tavole oggi conservate in archivi a Parigi e Boulogne che comprendono una cinquantina di disegni non a soggetto archeologico, risalenti agli anni dell’insegnamento nella sua città (1842-1846): ritratti, caricature, paesaggi e modelli di costumi storici che quasi 25 anni dopo si riveleranno utilissimi per lo studio dei bozzetti delle scenografie, dei costumi e i gioielli di Aida che verrà affidato proprio a lui alcuni anni dopo.

Mariette si accostò all’egittologia casualmente nel 1835, a seguito della visione di alcuni acquerelli realizzati in Egitto da un lontano cugino, Nestor L’Hȏte, un egittologo e disegnatore francese della spedizione franco-toscana di Champollion, e dall’ammirazione per un sarcofago con iscrizioni in geroglifico presente nella Galleria Egizia del Museo di Boulogne. Frequentatore sempre più assiduo del Museo, approfondì gli studi storici, i geroglifici, il copto e l’aramaico, rinunciò alla sua cattedra scrivendo articoli e novelle che pubblicò come redattore di un quotidiano locale.

Cominciò a sognare un viaggio in Egitto che però inizialmente non venne sovvenzionato dal Ministero dell’Istruzione. Deciso a mostrare il suo primo articolo scientifico pubblicato nel 1847 ai due egittologi Emmanuel de Rougé, curatore del Louvre, e Charles Lenormant, Professore del Collège de France, si recò a Parigi, dove fu apprezzato dai due studiosi: dopo alcuni incarichi di minor importanza come catalogatore, divenne Conservatore del Museo e inviato in Egitto nel 1850 per reperire manoscritti copti.

Ostacolato dalle autorità locali, Mariette, pur senza i permessi necessari, decise di comprare tende, provviste e assumere 30 operai per avviare la campagna di scavo a Saqqara, ad ovest di Menfi. Nel 1850, incoraggiato dalla lettura della Geografia di Strabone, seguendo un viale di 600 piccole sfingi che riaffioravano da sotto le sabbie, capì che esso costituiva il collegamento tra la città e la necropoli sotterranea scomparsa: questo gli permise di trovare il Serapēum di Menfi, scoperta archeologica che cambierà la sua vita e produrrà oltre 7000 reperti che verranno portati al Louvre (dal museo parigino è giunta in mostra una stele proveniente da quella necropoli. L’egittologo proseguì poi gli scavi a Giza e nel 1853 individuò il tempio funerario di Chefren, edificio del complesso funerario  adibito al culto del sovrano e situato sull’altopiano di Giza ad oriente della propria piramide, ma a corto di fondi per continuare le operazioni (il sito verrà poi riportato alla luce nel 1909 da una spedizione tedesca), Mariette rientrò in Francia nel 1854, accolto con grandi onori e nominato Conservatore Aggiunto del Louvre.

Aida, figlia dei due mondi
Foto dall’Ufficio Stampa Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino

Desideroso di tornare in quella terra, tramite la mediazione del diplomatico francese Ferdinand de Lesseps (colui che ottenne poi la concessione della costruzione del Canale di Suez terminato nel 1867), Mariette propose un progetto di salvaguardia del patrimonio archeologico egiziano al Viceré Ismā’īl Pāscià (che aveva studiato nella capitale francese ed era succeduto a Muhàmmad ‘Alī Pascià, investito del titolo di chedivè), che nel 1858 lo nominò Direttore delle Antichità con l’incarico di compiere nuovi scavi, proteggere i siti e riunire tutti i reperti recuperati creando un museo nazionale.

Foto dall’Ufficio Stampa Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino

L’egittologo istituì un organismo governativo preposto alla tutela di quel patrimonio e inaugurò nel 1863 il museo di Būlāq al Cairo (soluzione temporanea ma attivo per oltre 25 anni, spostato prima a Giza e poi nell’attuale sede di piazza Tahir). Nelle sale venne dato ampio spazio alle didascalie, prevalse il gusto per “la mise en scène” nell’allestimento (scienza e intrattenimento) per incentivare l’interesse e la curiosità dei visitatori e furono anche pubblicate nel tempo ben 7 guide del museo, di cui una in arabo per il pubblico locale.

L’EGITTO ALL’ESPOSIZIONE UNIVERSALE DI PARIGI DEL 1867

Foto di Claudia Musso
Foto di Claudia Musso

Negli anni a cavallo dei due secoli Otto e Novecento si aprì in Europa il capitolo delle esposizioni universali durante le quali le varie Nazioni gareggiarono nel dimostrare la propria identità storica e culturale attraverso i propri Padiglioni. L’1 aprile 1867 Napoleone III inaugurò l’Esposizione Universale di Parigi che celebrava il suo Impero e la Francia come capitale del mondo. Organizzata intorno al Palazzo dell’Industria, permise al pubblico moderno di assistere per 217 giorni ad un futuristico convegno di merci, macchine industriali e avanzate tecnologie presentate da più di 52.000 espositori proveniente da 42 paesi, tra incredibili gallerie di acciaio e vetro. Un luogo di divertimento e relax con caffè, ristoranti e locali di ogni genere dove si parlavano molte lingue ed i visitatori potevano poi riversarsi nella nuova Parigi riprogettata urbanisticamente del Barone francese Georges Haussmann.

Ismā’īl Pāscià per l’Esposizione parigina affidò a Mariette una messa in scena dell’Antico Egitto, con un allestimento che mostrasse a livello architettonico la fusione tra storia, narrazione e scienza: fu un passo decisivo per la nascita dell’opera Aida.

Oltre ai memorabilia di spazi urbani e monumenti della città, vennero anche date alle stampe diverse guide turistiche per i visitatori e tra queste l’opera di Victor Hugo scritta in collaborazione con altri celebri francesi dell’epoca che presentarono ciascuno nel proprio stile i tanti volti di Parigi: egli auspicava una grande nazione europea chiamata Europa con Parigi capitale, libera da conflitti, divisioni territoriali e florida grazie al libero mercato, riconoscendone  l’allegorica trasposizione architettonica proprio nell’Expo.

Foto di Claudia Musso

L’Egitto, che ormai faceva parte dell’Impero Ottomano solo nominalmente poiché erano stati riconosciuto a Ismā ‘īl il titolo di Viceré e l’autonomia economico-politica al Paese, disponeva di 5 padiglioni (circa 6.000 mq) nei quali vennero allestiti un tempio egizio con i maggiori capolavori del Museo Būlāq esposti per la prima volta in Europa, un caravan serraglio, delle scuderie e il palazzo di Ismā’īl come sintesi della storia antica, medioevale e moderna dell’Egitto. Paese che si rivelerà sempre più legato alla Francia grazie al colossale progetto di ingegneria del Canale di Suez, illustrato nel vicino padiglione della Compagnia Universale del Canale di Suez, frutto della collaborazione tra le due nazioni che in soli due anni unì i mari Mediterraneo e Rosso, un esito naturale frutto delle innovazioni innescate da treni e navi a vapore sinonimo di progresso tecnologico contemporaneo e trade-union di occidente e oriente (in mostra è presente l’ampia carta topografica dell’Istmo di Suez eseguita nel 1872 dal tecnico del governo egiziano l’ingegnere francese Linant de Bellefonds).

A proposito del padiglione progettato per l’esposizione, riportiamo le parole di Mariette del 1867:

Il programma che dovevamo realizzare quando fu decisa l’esposizione era questo: elevare nel parco una costruzione che per la disposizione della pianta potesse servire come riparo per la collezione delle antichità egizie inviate da Būlāq e allo stesso tempo fosse un abbellimento per il parco. Il tempio del parco egiziano era prima di tutto un museo, ma strada facendo lo abbiamo usato per dare al visitatore una idea di come fosse l’arte egiziana nei suoi 3 periodi più caratteristici. E così che la sala interna rappresenta quella più antica delle tre epoche, quella che fu contemporanea delle piramidi. L’arte del Nuovo Regno (guidato da Seti e Ramses) si colloca nei muri esterni della stessa sala, ed infine la decorazione del colonnato che avvolge l’edicola centrale è tutta interamente dedicata al Regno guidato dei re greci, successori di Alessandro, quindi tolemaici. Il monumento del parco egizio è dunque quello che si voleva, ovvero un museo che fosse allo stesso tempo un tempio che dal nucleo alla circonferenza ci presentasse una sintesi cronologica dell’arte fiorita sulle rive del Nilo, prima dell’arrivo del cristianesimo”.

Aida figlia di due mondi
Foto di Claudia Musso
Aida figlia di due mondi
Foto di Claudia Musso

L’ INTUIZIONE DEL VICERÉ: COMMISSIONARE UN’OPERA PER CELEBRARE IL NUOVO EGITTO

In occasione di questa Esposizione Universale i maggiori teatri di Parigi portarono in scena compositori francesi all’apice della loro fama, come Jacques Offenbach (le operette Opera buffa e La Grande-Duchesse De Gerolstein) e Charles Gounod (Roméo et Juliette), mentre per l’Opéra, tempio della lirica francese, Giuseppe Verdi compose l’opera in francese Don Carlos che il Viceré, un suo grande ammiratore, ebbe modo di apprezzare durante la visita all’Expo. Probabilmente in quel contesto in cui lirica e nazionalismo dimostrarono il loro potente legame, Ismā ‘īl decise di commissionare al compositore italiano un’opera che celebrasse la futura inaugurazione del Canale di Suez.

Ecco in una missiva di Giuseppe Verdi a Tito Ricordi, le impressioni suscitate nel Maestro dalla visita all’Esposizione:

Carissimo Tito Ricordi […] non tarderemo molto a lasciare Parigi perché comincio ad essere sazio di esposizioni e di musica che è una vera persecuzione, ne ho sentito di tutti i colori, non avrei mai immaginato di aver tanti peccati da purgare.”
Giuseppe Verdi – Parigi, 18 settembre 1867

L’apertura del Canale nel 1869 collegando i tre continenti ridusse i tempi di percorrenza di passeggeri, merci e comunicazioni postali e incrementò rapidamente la modernizzazione del Paese che Ismā ‘īl Pāscià poté con orgoglio mostrare alla stampa internazionale, ai capi di Stato e ai Reali che parteciparono ai festeggiamenti dell’inaugurazione e furono guidati da Mariette lungo la Valle del Nilo in un itinerario di viaggio di 25 giorni pianificato dall’egittologo stesso.

Per l’occasione Il Cairo, come due anni prima accadde a Parigi, subì una massiccia rivisitazione urbanistica: nuovi quartieri, giardini e viali alberati, alberghi e il Teatro Reale dell’Opera inaugurato alla fine del 1869, su progetto dell’italiano Pietro Avoscani e posto nel quartiere europeo, accanto al Théâtre de la Comédie e all’ampio parco con gazebo per musica all’aperto.
La maggior percorribilità del Paese facilitò l’incremento del turismo della nuova classe emergente per le esplorazioni dell’Oriente (prima riservate solo alle classi più abbienti) e sorsero nuove compagnie di navigazione come quella di Thomas Cook che, nell’anno dell’inaugurazione del taglio del Canale, offrì il primo viaggio con guide.

Per l’apertura del Teatro chediviale dell’Opera al pubblico, il 1° novembre 1869, fu rappresentata l’opera Rigoletto di Verdi diretta da Emanuele Muzio, allievo e amico del compositore (che un paio di settimane più tardi dirigerà il concerto all’aperto a Ismailia, nuova città sorta al centro dell’istmo), mentre Ismā’īl avrebbe desiderato un inno scritto appositamente da Verdi per l’occasione con un allestimento molto più sfarzoso. Verrà accontentato il 24 dicembre 1871 quando andrà finalmente in scena, diretta da Giovanni Bottesini ed in prima assoluta, l’Aida.

Ecco una delle tante testimonianze epistolare presenti in mostra, in particolare tra Emanuele Muzio e Tito Ricordi:

Caro Tito ti prego a voler spedire 200 libretti per ciascheduna delle opere che acquistai da te per questo teatro non dimenticando La Muta, Fausto, Marta e il Deserto di Davide. Per il pagamento in oro ossia in franchi effettivi farai un assegno sul pacco oppure potrai tirare sopra sua Eminenza, soprintendente dei teatri, oppure mandami il conto come feci per la musica e per i libretti al mese di settembre che ti manderemo il denaro. E siccome impresa valida che fra molti altri acquisti, tu sceglierai fra i tre modi indicati quello che ti parrà il migliore, il prezzo che pagai di franchi 25 in cento e spero che quelli che comprerai da Lucca non li farai pagare di più. Sto lavorando come un vero turco per il concerto che faremo a Somalia il 17 per l’inaugurazione del canale Rigoletto/Barbiere/Trovatore assai bene grande successo e molta gente in teatro. Mi ha sorpreso molto nel trovare dei pezzi mancanti sia nel Rigoletto che nelle altre due opere, parlo nelle parti di orchestra; ebbi già il 20 novembre 1869 assegno di lire 1244 in oro franchi effettivi. E lamento per spese di copisteria perché qua costa 25 cent la pagina, spero che le altre opere saranno invece complete. I saluti per tutta la famiglia e per Voi, e credimi l’affezionatissimo amico Emanuele Muzio.”
Emanuele Muzio – Cairo, 11 novembre 1869

LA GENESI DI AIDA

La mostra AIDA, figlia di due mondi, è entrata poi nel vivo della genesi dell’Opera vera e propria raccontandone aneddoti e approfondimenti interessanti e poco noti, dalla prima volta in cui venne citata in uno scritto, allo studio del tipo di musicalità più idonea a rappresentare la gloriosa era faraonica, fino allo studio di scene e costumi e la sua trascrizione iniziale.

Foto di Claudia Musso

Il nome di Aida compare per la prima volta in una lettera datata 27 aprile 1870 che Mariette scrisse a Camille Du Locle, librettista del Don Carlos, per convincere il Maestro di Busseto ad accettare l’incarico del viceré di comporre un’opera che porti lustro al nuovo viale del Cairo appena inaugurato oppure, in caso di rifiuto, di ingaggiare altri prestigiosi autori ma che all’epoca non erano altrettanto importanti quali il diplomatico compositore e librettista principe Joseph Poniatowski, oppure Richard Wagner o Charles Gounod. Un ultimo tentativo da parte di Mariette per convincere Verdi fu un suo scritto (inizialmente preferì restare anonimo) dal titolo inusuale, appunto Aida, inviato al Maestro tramite Du Locle con la speranza che potesse trasformarsi in un buon libretto.

Evidentemente lo stratagemma funzionò poiché, dopo lunga pausa creativa durata 3 anni, la fantasia di Verdi venne solleticata da quel programma egiziano dal titolo Aida che riceve da Du Locle nei primi giorni del giugno del 1870 e fu così che, attraverso una serie di telegrammi tra Cairo, Parigi e Busseto, l’accordo venne siglato.

Verdi ricevette 150.000 franchi a titolo di compenso, (resteranno a suo carico il librettista e il direttore che andrà al Cairo a dirigere la prima), mentre il Viceré d’Egitto avrà copia dell’opera che potrà essere eseguita senza restrizioni su suolo egiziano; i diritti sul libretto e sulla musica nel resto del mondo resteranno a Verdi anche se il giorno prima della première milanese, il Maestro ne vendette i diritti al suo editore Giulio Ricordi, mantenendo le royalty sui proventi derivanti dal noleggio in teatro e dalla vendita delle parti musicali.

Da una lettera di Verdi a Giulio Ricordi, datata 25 giugno 1870, sappiamo che il Maestro gli chiese di far realizzare i testi dell’Opera ad Antonio Ghislanzoni dietro lauto compenso; in essa egli suggeriva di studiare la preziosa bozza – da conservare con cura perché ne esistevano solo due copie, non essendo ancora firmato il contratto – e di fare un’ulteriore copia dello spartito di coro e orchestra rimandando poi a voce ulteriori considerazioni.

LA TROMBA DRITTA

Fin dall’inizio della scrittura della partitura, Verdi dimostrò la volontà di imprimere verosimiglianza storica ai personaggi e alle ambientazioni rappresentate, chiedendo a Ricordi informazioni sul culto degli egizi, sulle preghiere rivolte ai defunti, sull’esistenza del sacerdozio femminile nei templi e sulle distanze tra Menfi e Tebe. Ringraziando per gli aggiornamenti ricevuti con una lettera successiva al 1871, specificò che intendeva inserire la figura femminile in riferimento al culto degli Dei non riservandolo ai soli uomini, e che il Faraone di cui si parla nel libretto corrispondeva a “…il Ramses di cui parliamo nel nostro libretto sarebbe il III”.

Aida, figlia dei due mondi
Foto dall’Ufficio Stampa Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino

“Domandate ancora se potete al vostro amico se da Menfi a Tebe non ci sono che 115 leghe io credevo di più ma avrò sbagliato nel calcolo. Avevo letto nel mondo sacrato la descrizione dei misteri di Iside, ma non fanno al caso nostro sarebbe un soggetto a parte, ma quale soggetto e quale spettacolo! Ghislanzoni mi ha mandato quasi tutto il I atto, con qualche piccola modifica andrà benissimo. Addio addio. G. Verdi (P.S. mi rallegro con vostro padre)”.
Giuseppe Verdi a G. Ricordi post 1871

Foto dall’Ufficio Stampa Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino

Il rigore e la professionalità del Maestro si evince poi dall’indagine che condusse sulle sonorità egizie (trovandosi in contrasto con il musicologo franco-belga François-Joseph Fétis, convinto di aver compreso e individuato il sistema musicale di quel popolo, nell’osservazione dei flauti conservati nelle collezioni archeologiche museali), che lo portò a decidere di far conoscere le trombe di quel lontano periodo, inserendo la tromba dritta, celebrata nella nota marcia del II atto e che divenne uno degli oggetti iconici dell’Opera stessa.

GLI ABBOZZI MUSICALI DI AIDA

Dopo aver concluso la stesura preliminare del libretto, il compositore di Busseto avviò la struttura musicale intorno al 1870, procedendo man mano che il librettista mandava i versi. Nello stesso periodo Mariette è a Parigi per preparare scene e costumi dell’opera per la prima del Cairo (per i fondali si rivolge agli scenografi dell’Opéra di Parigi), ma la produzione venne bloccata a settembre dalla guerra franco-prussiana e dall’assedio di Parigi. La prima di Aida prevista al Cairo e a Milano fu così necessariamente spostata di un anno, nonostante il suo compito fosse quello di suggellare l’inaugurazione del Canale, ormai risalente al 1869, un ritardo dovuto alla cocente sconfitta francese che comportò gravissimi ritardi sull’arrivo da Parigi di scenografie e costumi rispetto a quelli stabiliti.

Verdi ebbe così tempo di riprendere in mano l’opera e apportare sostanziose modifiche alla stesura iniziale, come si evince dalla recente visibilità delle sue carte, un tempo conservate in Villa Verdi a Sant’Agata – abitazione del Compositore – e oggi spostate nell’Archivio di Parma, messe a disposizioni degli studiosi. Parte di questi documenti sono esposti in questa sede espositiva per la prima volta.

Aida, figlia dei due mondi
Foto dall’Ufficio Stampa Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino

Sarà così finalmente possibile definire le date per la première dell’Aida, ovvero la vigilia di Natale del 1871 al Cairo e l’8 febbraio 1872 a Milano, considerata da Verdi la vera prima. Le due date così ravvicinate, pur essendo state concordate già nella fase iniziale della collaborazione, scatenarono una competizione sfrenata in fase di allestimento, in cui il sovrintendente del Chediviale impiegò un budget senza precedenti, mentre Milano fece valere il proprio bagaglio culturale e la presenza dello stesso Verdi; entrambe le esecuzioni vennero celebrate nelle cronache come “due mondi in festa” dal critico Filippo Filippi.

L’opera, come richiesto dal Viceré, presenta libretto, scene e costumi espressamente ispirati all’antica civiltà faraonica che Mariette desumette dal materiale da lui stesso scoperto durante gli scavi archeologici delle tombe e dei monumenti, ponendo l’egittologia al servizio delle esigenze narrative della scena e della lirica, ma senza ridicolizzarla in scena.

Foto di Claudia Musso
Aida, figlia di due mondi
Foto di Claudia Musso

Alla prima al Cairo uno dei critici musicali più importanti dell’epoca, Filippo Filippi, redasse il suo reportage inviato a puntante con titolo “lettere egiziane” che costituisce uno dei più dettagliati resoconti delle prove e della prima esecuzione dell’opera del 4 dicembre 1871: un interessante diario di viaggio, ricco di dettagli e aneddoti.

Anche il Teatro Chediviale, come altri teatri europei, è stato distrutto da incendi: una prima volta pochi mesi dopo la sua inaugurazione e ultimo nel 28 ottobre 1871, quando fu completamente distrutto insieme all’archivio storico comprendente tutti i disegni, documenti, attrezzature e costumi originali della prima di Aida. Resta la riproduzione fotografica su microfilm, voluta dal Direttore poco prima del disastroso evento.

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Esaustivo il catalogo della mostra, Franco Cosimo Panini, Aida. Figlia di due mondi 2022, una raccolta di saggi curati da vari autori raccolti in un volume che integra completandole le tematiche presenti in mostra.

Ove non indicato diversamente, gli scatti fotografici sono stati realizzati da Claudia Musso.

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