Veronica Raimo, La vita è breve, eccetera | Il reale, per assurdo
Tra i tanti adagi infusi di grazia in cui il lettore di Simone Weil può imbattersi ce n’è uno che recita:
“un’opera d’arte ha un autore, eppure, se essa è perfetta, le appartiene qualcosa di essenzialmente anonimo.”
Una verità che mi pare affine e speculare è che, carattere della perfezione di alcune opere d’arte è il senso di incredulità che prende il lettore al pensiero che quella possa non essere autobiografica. L’effetto che produce la scrittura di Veronica Raimo ha a che fare con questa incredulità. La vita è breve, eccetera (Einaudi, 2023) non è un’opera perfetta, ma alcuni dei suoi racconti eseguono con una scanzonata piroetta questo secondo tipo di perfezione.
Il racconto, l’orfano della fiaba
Ciò che più di tutto la non-fiction insegna è il piacere dell’imperfezione. È quel suo essere fatta della stessa sostanza della vita a conferirle un sapore diverso da ogni altro testo. La realtà ha il suo sapore. Il lettore del resoconto, mentre spulcia la cronaca dei fatti attraverso la lente del suo autore, perdona tutto, si diverte, indulge, in nome di quel sapore. Il lettore di racconti di invenzione è, diversamente, arcigno, stressato, ha il fiato corto e il petto incassato: le sue malattie sono la magia e la perfezione, di cui la fiaba l’ha affamato fatalmente. E non serve che ne sia consapevole perché ne sia ammalato. Il racconto di finzione, dunque, per effetto del suo non essere realtà, deve scontare il suo venire al mondo con l’imprevedibile quoziente che vi aggiunge, qualunque esso sia.
Nei due racconti migliori di La vita è breve, eccetera Raimo realizza alchemicamente tale quoziente con il carattere che emerge dalle pagine, i dettagli troppo incredibili per non essere veri, il senso di inspiegabilità e di necessità di alcuni eventi assurdi che la vita benissimo sa procurare, ma che creare dal nulla in letteratura è grazia.
Tutto vero, niente di vero
Il precedente Niente di vero (Einaudi, 2021), giocando con il nome dell’autrice, ammiccava alla questione dei piani di realtà, canzonando nel riso le piccole tragedie della storia personale. La vita è breve, eccetera conferma, per altra via, che il talento di Raimo è non potere far credere che quanto dice non sia vero. Qualità che si realizza nei primi due racconti, Non si guardano i nani e La commissione. E questo non avviene tanto in ragione di alcuni dettagli che potrebbero annoverarsi tra i segnali autobiografici – ad esempio, la scelta di giovani protagoniste femminili come voci narranti, la scrittura come loro professione – quanto per la credibilità di dettagli assurdi, che rendono la lettura immersione nell’esperienza di realtà di qualcuno. Il ricreare la piana assurdità della realtà è la cifra di questi racconti, il quoziente della loro esistenza letteraria.
Il libro recensito è stato cortesemente fornito dalla casa editrice.