L’evoluzione è panglossiana?
Nel 1979 i genetisti Stephen J. Gould e Richard C. Lewontin pubblicarono un articolo intitolato I pennacchi di San Marco e il paradigma panglossiano, con lo scopo di scongiurare ogni interpretazione di tipo provvidenzialistico dell’adattamento evolutivo. Prima di addentrarci nelle riflessioni dei due autori e delineare gli spunti epistemologici che esse offrono, è necessario fare un passo indietro e soffermarci brevemente sul suo titolo. Difatti, agli occhi di un lettore di filosofia, il termine panglossiano non sarà passato affatto inosservato: gli autori si riferiscono esattamente al dottor Pangloss, maestro di filosofia di Candido nella famosa opera volteriana del 1759.
Il dottor Pangloss è descritto da Voltaire come colui che insegna “la metafisico-teologo-cosmologo-scempiologia” (Candido, p. 3), dottrina sistematica per la quale tutto quanto sarebbe stato creato in vista del fine migliore. Con la sagace ironia che lo contraddistingue, è chiaro che il bersaglio polemico di Voltaire è la metafisica giustificazionista di Leibniz e la sua visione necessitarista e ottimistica del mondo espressa nei Saggi di teodicea (1710). Seguendo l’urgente prerogativa di rispondere all’apparente stridore tra l’esistenza di Dio e quella del male, Leibniz sostiene che il mondo in cui viviamo è il migliore fra i mondi possibili, poiché architettato da Dio secondo la regola del meglio.
In un simile sistema, tutto è interconnesso e possiede la propria ragione determinante, anche quando apparentemente qualcosa sembra trascendere l’armonia generale. Persino il male ha una sua giustificazione, giacché appartiene a un ordine prestabilito a priori da Dio, il quale ha visto in un colpo d’occhio tutte le connessioni possibili e intelligentemente deliberato per la migliore tra le alternative. Tuttavia, secondo Voltaire, il giustificazionismo leibniziano porterebbe ad accettare inevitabilmente qualsiasi disgrazia in virtù dell’economia del tutto. Fortemente turbato dal terribile terremoto di Lisbona del 1755, che aveva contribuito a mettere in questione l’ipotesi di un provvidenzialismo insito negli eventi storico-naturali, Voltaire tentò di confutare – seppur non dottrinalmente – la metafisica leibniziana, mostrando il lato grottesco di una simile filosofia quando le contraddizioni dei suoi insegnamenti sono portate agli estremi.
Nel fare ciò, egli radicalizzò la forte dissonanza tra le drammatiche sventure di Candido e gli insegnamenti leibniziani di Pangloss, mostrando gli assurdi paradossi e i costi individuali di una simile visione del mondo. Candido, figura che esemplifica l’uomo ingenuo, guidato dal buon senso, non può che tollerare e rassegnarsi dinanzi agli accadimenti più nefasti che lo coinvolgono e accettarli in quanto necessari, dal momento in cui, a detta del suo maestro, tali misfatti sono soppesati in un sistema complessivamente armonico. Ma cosa ha a che fare una simile controversia con il pensiero evoluzionistico?
Per i biologi Gould e Lewontin, il programma adattazionista, diffuso in ambito inglese e statunitense, presenterebbe delle spiegazioni di tipo panglossiane, per le quali l’evoluzione si presenta come un presunto “agente ottimizzante” (Gould & Lewontin, 1979, p. 2). Basandosi sul presupposto di un disegno evolutivo teleologico, i panglossiani dell’evoluzione tenterebbero di spiegare i singoli caratteri che ineriscono all’organismo giustificandoli in un’ottica provvidenzialista; sicché, anche ciò che appare come inopportuno ed inutile possiede la sua necessità, in virtù di una presunta armonia generale.
Seguendo tale logica, i due autori presentano un’analogia che mostra l’inconsistenza di un simile presupposto ottimistico: entrando nella cupola centrale della Cattedrale di San Marco a Venezia e rimanendo ammaliati dall’imponente architettura e dalle figure rappresentate, si potrebbe supporre che ogni suo elemento sia stato progettato minuziosamente a priori e che, dunque, abbia la sua ragione d’essere nella struttura generale. Cosicché – riconducendoci al titolo dell’articolo – riconoscendo la generale armonia strutturale di San Marco e osservando i maestosi pennacchi raffiguranti i quattro evangelisti, un panglossiano ipotizzerebbe che l’intera architettura sia stata progettata al fine di ospitarli, quando, al contrario, essi sono stati inseriti solo posteriormente.
Alla luce dell’esempio descritto, secondo i due autori l’errore principale del programma adattazionista consisterebbe nel tentare di dissezionare l’organismo nei suoi singoli tratti e sostenere che essi siano emersi in virtù di un presunto disegno evolutivo, proprio come nel caso dei pennacchi all’interno della cupola. Le spiegazioni panglossiane proverebbero anche a dar conto di quei caratteri che risultano non essere vantaggiosi per l’organismo, poiché giustificati nel “bilancio della competizione fra le varie richieste della selezione” (Ibid.); qualcosa che riecheggia il soppesare leibniziano del male, integrato pur sempre nell’ordine generale. Tuttavia, una simile spiegazione sembra essere del tutto inconsistente agli occhi degli autori, i quali sostengono, invece, che talvolta i tratti specifici degli organismi possano essere il risultato contingente di altri processi; in altre parole, dei prodotti puramente accidentali. Bisogna dunque distinguere “l’utilità attuale dalle cause della loro origine” (Ibid.): qualcosa può risultare utile a posteriore, ma da ciò non consegue che sia stata predeterminata a priori proprio in virtù della sua utilità.
La sola selezione non può spiegare tutte le variazioni possibili nella biosfera; secondo i due autori va adottato un approccio pluralistico nella considerazione delle cause alla base di un cambiamento evolutivo, escludendo così l’ipotesi panglossiana di un disegno adattivo. D’altronde, l’elaborazione più celebre di un provvidenzialismo insito nella natura organica era stata espressa nel 1802 dal filosofo e teologo inglese William Paley all’interno della sua opera Natural Theology. Osservando l’armoniosa struttura complessiva degli organismi e i loro notevoli adattamenti – sosteneva Paley – è legittimo supporre che essi siano il prodotto di un disegnatore intelligente, un orologiaio divino, il quale avrebbe predeterminato l’intera natura secondo un preciso piano ingegnoso.
È chiaro, dunque, che l’interrogativo al quale ci conduce il saggio di Gould e Lewontin riguarda l’effettiva legittimità di una considerazione teleologica del processo evolutivo, ovvero la supposizione che si dispieghi secondo dei fini ben precisi. Ammettendo l’inconsistenza di un’ottica provvidenzialistica, come poter spiegare la struttura così apparentemente ordinata degli organismi viventi? Come non ipotizzare che ogni singola parte al loro interno sia stata ingegnosamente progettata a priori per adempiere degli scopi specifici? Come non supporre, insomma, che vi siano dei fini a guidare il processo evolutivo e che dunque esso sia intrinsecamente teleologico?
Rivendicando l’autonomia epistemologica della biologia, Francisco J. Ayala sostiene che l’indagine sugli organismi viventi non possa in alcun modo prescindere dall’impiego del linguaggio teleologico (Ayala, 1968); piuttosto, tale linguaggio distingue lo studio degli esseri viventi da quello condotto dalla fisica, cosicché il primo non possa essere ridotto alle pratiche del secondo. Difatti, un approccio meccanicista e riduzionista applicato allo studio evolutivo della biosfera sarebbe completamente sterile, dal momento in cui i mutamenti sono il frutto di iniziali eventi stocastici totalmente imprevedibili, che possiedono una propria dimensione storica unica ed irrepetibile. Tuttavia, lo stesso Ayala evidenzia, contro ogni ipotesi provvidenzialista, che le forme di adattamento biologico manifestate dagli organismi sono in realtà il risultato di quel “processo meccanicistico ed impersonale” (Ivi, p. 216) che è proprio la selezione naturale, la quale non è diretta in alcun modo verso la produzione di una qualche specifica proprietà.
Sicché è assolutamente legittimo – e anche necessario – l’impiego euristico di un linguaggio teleologico, ma da ciò non consegue che lo stesso processo evolutivo abbia uno scopo reale in vista del quale operare. D’altro canto, secondo la prospettiva del biologo Ernst Mayr, è invece necessario distinguere i termini teleologia e teleonomia, rifiutando il primo e adottando unicamente il secondo all’interno dell’indagine sugli organismi (Mayr, 1992, 1998). Il termine teleonomia, coniato originariamente dal biologo Pittendrigh (1958), è adoperato per creare una cesura rispetto all’idea metafisica di un piano armoniosamente prestabilito, conservando, purtuttavia, l’imprescindibile e irriducibile nozione di end-directedness necessaria per l’indagine sugli organismi biologici.
Insomma, l’impiego del termine teleonomia risponderebbe all’esigenza di escludere definitivamente proprio la supposizione panglossiana di un provvidenzialismo insito nel processo evolutivo, supposizione che, agli occhi di Pittendrigh e Mayr, potrebbe essere implicata, invece, dal termine teleologia. Riprendendo il titolo di un celebre libro di Richard Dawkins (The Blind Watchmaker, 1996), qualora considerassimo la selezione come un agente teleologico, un orologiaio – riprendendo la metafora di Paley citata precedentemente – che si pone a monte del processo di selezione, esso si presenterebbe tuttavia come un orologiaio cieco, poiché incapace di prevedere a priori il meglio e dispiegarsi secondo un fine prestabilito.
Allo stesso modo, il biologo Theodosius Dobzhansky e il già citato Ayala definiscono la selezione naturale rispettivamente come un “processo creativo e cieco” (Dobzshansky 1973, p. 127) e un “processo opportunistico” (Ayala, 1998, p. 47). Gli effetti dell’evoluzione hanno un significato adattivo unicamente a posteriori e non a priori: non possono essere previsti con necessità, come non potrebbe esser previsto qualsiasi altro evento contingente e casuale futuro. Sebbene vi siano dei graduali miglioramenti all’interno delle specie viventi, essi sono il risultato di un lungo processo cumulativo, determinato in parte dal puro caso, che produce possibili combinazioni di geni favorevoli per la sopravvivenza della specie.
Sembra dunque che la reale cifra dei mutamenti evolutivi non sia legata a un presunto agente ottimizzante, come sostenuto dal programma adattazionista, bensì all’accidente, alla pura contingenza. La conclusione più importante alla quale approdano tutti gli autori succitati è proprio l’idea che il caso sia parte integrante del processo evolutivo; sicché non vi è nulla di realmente panglossiano nei cambiamenti della biosfera.
[…] soltanto il caso è all’origine di ogni novità, di ogni creazione nella biosfera. Il caso puro, il solo caso, libertà assoluta ma cieca, alla radice stessa del prodigioso edificio dell’evoluzione.
(Monod, Il caso e la necessità, pp. 95-96)
Data la forte ingerenza di fattori casuali e stocastici, per i quali, riprendendo le parole di Jacques Monod, la selezione appare come “un’enorme lotteria” interna alla “roulette della natura” (Ivi, pp. 101-102), non sapremo mai se questa è e non è, effettivamente, la migliore delle biosfere.
Riferimenti bibliografici:
Francisco José Ayala, Biology as an Autonomous Science, «American Scientist», Vol. 56, No. 3, 1968, pp. 207-221.
Id., Teleological Explanations versus Teleology, «History and Philosophy of the Life Sciences», Vol. 20, No. 1, 1998, pp. 41-50.
Id., Adaption and Novelty: Teleological Explanations in Evolutionary Biology, «History and Philosophy of the Life Sciences», Vol. 21, No. 1, 1999, pp. 3-33.
Richard Dawkins, The Blind Watchmaker. Why the evidence of evolution reveals a universe without design, W. W. Norton, New York/London 1996.
Theodosius Dobzhansky, Nothing in Biology Makes Sense except in the Light of Evolution, «The American Biology Teacher», Vol. 35, No. 3, 1973, pp. 125-129.
Stephen Jay Gould e Richard C. Lewontin, I pennacchi di San Marco e il paradigma di Pangloss. Critica del programma adattazionista, trad. di Marco Ferraguti, Einaudi, Torino 1979.
Gottfried Wilhelm von Leibniz, Saggi di Teodicea, in Scritti filosofici, vol. I, UTET, Torino 1967.
Ernst Mayr, The Idea of Teleology, «Journal of the History of Ideas», Vol. 53, No. 1, 1992, pp. 117-135.
Id., The multiple Meanings of ‘Teleological’, «History and Philosophy of the Life Sciences», Vol. 20, No. 1, 1998, pp. 35-40.
Jacques Monod, Il caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea, Mondadori, Milano 1971.
William Paley, Natural Theology: or Evidences of the Existence and Attributes of the Deity, Collected from the Appearances of Nature, 1802.
Colin Stephenson Pittendrigh, Adaptation, natural selection, and behavior in Behavior and Evolution, Yale University Press, New Haven 1958.
Voltaire, Candido, Garzanti editori, Milano 1981.