«Un morto che non è morto abbastanza». Luci ed ombre di Francesco Maria Pratilli, canonico capuano
Il XVIII secolo fu per l’Italia il tempo in cui la Penisola rifiorì «di ambiziosi scopritori e ricercatori di glorie cittadine»1. In questi decenni non mancarono modesti studiosi e raffinati falsari, la cui condotta venne denunciata persino da Ludovico Antonio Muratori. Costui rammentava come ve ne fossero di straordinariamente capaci, in grado di creare seri problemi nell’approccio alle fonti antiche. Tra i falsari più attivi del Settecento meridionale occupa una posizione di assoluto rilievo il canonico capuano Francesco Maria Pratilli.
Nato a Capua nel 1689, Pratilli compì gli studi a Napoli presso i Gesuiti. Laureatosi in teologia, tornò presto nella sua città, dove iniziò una fortunata carriera ecclesiastica all’ombra dell’arcivescovo di Capua Niccolò Caracciolo, che gli conferì un canonicato nel capitolo della cattedrale. Distintosi per il suo zelo in occasione di alcune missioni, svolte anche a Roma, rinunciò al canonicato dopo la morte del suo protettore (1738). Abbandonò qualche tempo dopo Capua per ritirarsi a Napoli, dove si dedicò completamente agli studi di archeologia e di storia relativi al suo territorio d’origine. Si inserì così in un più ampio panorama di ricerche locali portato avanti dagli antichisti meridionali coevi che, in particolar modo dopo le scoperte di Ercolano e Pompei, si erano indirizzati con passione verso il recupero delle memorie di epoca classica e medievale del Mezzogiorno. A Napoli morì nel 1763; fu sepolto nella sede dell’Arciconfraternita dei Pellegrini, di cui era confratello.
La pessima reputazione di cui gode ancora oggi deriva in larga parte dalle gravi conseguenze che le sue molte opere spurie, fatte passare per autentiche, ebbero sugli studi contemporanei e dei secoli successivi. I giudizi negativi sul suo operato oltrepassano le epoche e le discipline: Theodor Mommsen lo definì capace di infestare l’intero patrimonio epigrafico del Regno di Napoli2; Nicola Cilento ha scritto di «un morto che non è morto abbastanza»3 per il danno arrecato agli studi sul Mezzogiorno medievale. Giudizi così stringenti su questo erudito invoglierebbero ad una completa damnatio memoriae del personaggio. Procediamo invece con ordine, e ripercorriamo rapidamente la sua peculiare carriera di falsificatore, per comprendere la sagacia e i limiti delle sue azioni.
Per tutta la vita Francesco Maria Pratilli fu in contatto con un gran numero di intellettuali italiani: con loro si confrontò ed entrò spesso in conflitto. Tra questi c’era anche l’archeologo Matteo Egizio, esperto di antichità romane; fu proprio costui ad incoraggiare Pratilli in merito ad un interessante progetto editoriale, una nuova edizione della Historia principum Longobardorum del famoso letterato Camillo Pellegrino, opera che consisteva in una fondamentale raccolta di fonti medioevali relative all’Italia meridionale, apparsa molti decenni prima in tre volumi e diventata rarissima.
Pratilli ripubblicò sì l’opera in cinque volumi, tra il 1749 e il 1754, ma corredò il tutto con appunti personali, annotazioni cronologiche pretenziose e cronache spurie, presentate ovviamente al pubblico erudito come fonti inedite. La naturale conseguenza di questo gesto sconsiderato fu che la nuova silloge ripubblicata consentiva agli studiosi del tempo di accedere contemporaneamente ad opere autentiche (ad esempio il Chronicon Salernitano e il Chronicon di Falcone Beneventano, l’Ystoriola di Erchemperto o la Cronaca dei conti di Capua, nonché racconti minori e cataloghi di conti, duchi e principi) ma anche a testi inventati di sana pianta dall’editore, ricchi di dati eccezionali e pertanto più accattivanti.
L’edizione dell’Historia principum Longobardorum ci consente di individuare alcune delle modalità con cui l’erudito capuano attuò le sue falsificazioni. Si mosse con assoluta destrezza. Quando le informazioni presenti nelle fonti altomedievali erano di fatto inconfutabili, Pratilli le utilizzò per rendere più credibili le notizie da lui inserite nelle cronache falsificate. Di fronte al silenzio delle fonti circa eventi e personaggi importanti del Mezzogiorno medievale, creò invece dei racconti ad hoc, infarciti di riferimenti cronologici e istituzionali unici, ma verisimili. Per evitare che qualche erudito potesse smascherarlo, segnalò nelle note a piè di pagina il luogo di custodia di manoscritti misconosciuti, spesso conservati in casa di altri studiosi. Alcuni di questi rinomati interlocutori erano essi stessi conclamati falsari. Per esempio, il manoscritto che avrebbe conservato a detta del Pratilli una delle opere incriminate, la Cronaca di Ubaldo, si trovava in casa del suo buon amico Giovan Berardino Tafuri di Nardò, il quale aveva già spedito un’opera spuria al povero Ludovico Antonio Muratori.
L’opera del Pratilli che ha prodotto maggiori danni nella storiografia meridionale è il Chronicon Cavense, utilizzato senza soluzione di continuità da tutti gli studiosi d’Europa tra il 1753 e il 1847, quando fu infine riconosciuto come un falso. È stato definito da Herbert Bloch «one of the most audacious forgeries of the 18th century»4.
Dopo i pioneristici studi di Bartolommeo Capasso, George Pertz, Rudolf Köpke e Nicola Cilento è oggi più facile indicare quali siano le fonti manipolate e le opere spurie. Dai loro lavori si può cogliere quanto sia stata incisiva la mano del falsificatore capuano. Le contraffazioni contenute nei cinque volumi della Historia principum Langobardorum ammontano a circa una dozzina; alcune di esse furono compilate con una tale acribia filologica da venire ripubblicate, senza alcun dubbio di autenticità, nei volumi della più importante serie di edizioni di fonti medievali mai creata, i Monumenta Germaniae Historica.
Ciò che deve essere riconosciuto al falsario Francesco Maria Pratilli è certamente una non comune conoscenza della storia evenemenziale del Mezzogiorno longobardo e il continuo aggiornamento a cui si sottopose per mantenere, all’atto della redazione dei suoi falsi, una coerenza di fondo tanto linguistica quanto contenutistica, malamente bilanciata soltanto dalla mirabilità delle notizie inedite riportate.
Le due anime di questa, a suo modo, straordinaria figura di erudito ricorrono anche nelle presentazioni che egli fece di sé stesso. Il suo scopo primario, lo desumiamo dalle sue lettere, era di ricevere dalla nuova edizione di fonti meridionali altissima fama e venire riconosciuto da tutti come il più autentico glorificatore della patria capuana. Nella prefazione alla riedizione si presentò invece, bugiardamente, come un semplice “artigiano” che aveva in animo di rendere più accessibile il lavoro di Camillo Pellegrino.
Per saperne di più, oltre alle opere in nota:
Bartolommeo Capasso. Storia, filologia, erudizione nella Napoli dell’Ottocento, a cura di G. Vitolo, napoli 2005.
Mansi M.G., Pratilli, Francesco Maria, in Dizionario Biografico degli Italiani, 85 (2016), consultabile online all’indirizzo
[https://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-maria-pratilli_%28Dizionario-Biografico%29/]
Palmieri S., La civiltà della Langobardia meridionale negli eruditi del ‘600-‘700, in «Annali della facoltà di lettere e filosofia dell’università di Napoli», 23 (1980-1981), pp. 147-183.
1 G. Carducci, Letture del Risorgimento italiano 1 (1749-1830), Bologna 1896, XXI.
2 T. Mommsen, Corpus inscriptionum Latinarum, X-1, Inscriptiones Bruttiorum, Lucaniae, Campaniae, Berlino 1883, p. 373.
3 N. Cilento, Italia Meridionale Longobarda, Milano-Napoli 19712, p. 47.
4 H. Bloch, Montecassino in the Middle Ages, Cambridge 1986, p. 222.