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La spirale del tempo nelle steppe dimenticate dagli Dèi. Hamid Ismailov e La fiaba nucleare dell’uomo bambino

La spirale del tempo nelle steppe dimenticate dagli Dèi. Hamid Ismailov e La fiaba nucleare dell’uomo bambino

Le storie senza tempo affascinano l’uomo da sempre. Si ascoltano antichi cantori con lo sguardo narcotizzato dal mito, le pergamene ci tramandano verità scalfite dal passare dei secoli o bugie di polvere e ricordi sbiaditi. Oggi è difficile rimanere incantanti davanti a una storia dal cuore ancestrale, dalle radici profondissime e di cui è impossibile decifrare il disegno intricato delle origini. Tuttavia la giovane realtà editoriale di Utopia riesce nell’impresa consegnandoci un esempio di realismo magico kazako-ubzeko dal fascino primordiale. Il testo in questione è La fiaba nucleare dell’uomo bambino ( in originale: Вундеркинд Ержан, Erzhan il prodigio) di Hamid Ismailov, autore ubzeko che con il lirismo arido della steppa kazaka racconta un mondo tragico sospeso tra furore immaginifico e dramma storico.

Il romanzo breve di Ismailov inizia in un vagone di un treno che attraversa il silenzio immobile della steppa kazaka. Un uomo incontra un bambino prodigio che suona il violino con una maestria vertiginosa, ma quel bambino che ha poco più di dieci anni è già un uomo dal passato nebuloso. Agli interrogativi dell’anonimo viaggiatore risponderà Erzhan che inizierà così a raccontare la sua infanzia e il mistero della sua eterna giovinezza. Cresciuto in una stazioncina che corteggia i binari dei treni Erzhan è un bambino educato dai genitori e dai nonni mentre cerca di tenere la tenera Ajsulu, la figlia dei vicini, tutta per sé. Incatenato alla steppa degli stati satelliti dell’URSS (in piena guerra fredda) Erzhan coltiverà la passione per la musica insieme al sacro terrore per la Zona, un territorio perennemente bombardato da ordigni nucleari che infettano il cielo e poi la terra.

La copertina del romanzo breve di Hamid Ismailov, La fiaba nucleare dell’uomo bambino, pubblicato da Utopia Editore nella collana Letteraria Straniera

Un giorno Erzhan si tuffa in un lago nato proprio dalla voragine di un’esplosione. Da quel momento in cui ha bagnato le membra nello smeraldo radioattivo del “dead lake” smetterà di crescere. La trasgressione della realtà subentra prepotentemente nella razionalità chiedendo al lettore una sospensione dell’incredulità. Ismailov gioca con le nostre aspettative e decolonizza il proprio paese dall’esotismo mistificante tipico degli occidentali. In queste steppe la spirale del tempo si è fermata, non perché ancorata ad antiche tradizioni e credenze folkloriche bensì qualcosa si è spezzato. Il cortocircuito tra tempo-animismo-progresso vive con ineluttabilità in Erzhan, capace di sopravvivere soltanto grazie alla musica. Il dramma umano e intimista diventa sociale e generazionale, le steppe kazake infatti sono ancora massacrate dalle radiazioni e gli dèi hanno abbandonato il vento che sibila tra le sterpaglie. La fiaba nucleare dell’uomo bambino vive in un dualismo contradditorio e affascinante perché conserva gli stilemi e i ritmi dei racconti mitici dei popoli nomadi ma racconta la fine di un’epoca e la perdita stessa della terra, dell’identità e di una coscienza collettiva.

Hamid Ismailov perpetra il suo intento retorico e fiabesco grazie anche ad altri espedienti, ovvero calcando il ritmo delle Byliny russe (canti epici) nella fattispecie le narrazioni drammatiche del tipo “lamentazioni” come Il pianto della distruzione di Rajzan’. Nel componimento appena citato gli antenati dei kazaki (l’Orda d’Oro discendente di Gengis Khan) distruggono le città di Rajazan e Kiev e portano al massacro il popolo dei Rus’. C’è un dualismo interessante, se nei componimenti medievali c’è la frapposizione tra male e il bene (cristianesimo ortodosso e religione dei barbari) ne La fiaba nucleare dell’uomo bambino c’è la lamentazione dello scontro Occidente e Oriente, moderno e tradizionale, intimista e nazional-popolare, sano e radioattivo. Hamid Ismailov canta, celebra e critica la propria terra d’origine e forse il fascino di questo romanzo-fiaba risiede in tutte le contraddizioni interne nascoste dal sortilegio del prodigioso violinista delle steppe.

Il libro recensito è stato cortesemente fornito dalla casa editrice.

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