Presentazione del libro: Uno Harva, Il furto del sampo
«Cos’era in origine il sampo? Si tratta di un quesito a cui si cerca di trovare una risposta da oltre un secolo, senza tuttavia approdare ad alcun risultato.»
Eemil Nestor Setälä, L’enigma del sampo
Il volume Il furto del sampo, pubblicato dalla casa editrice Vocifuoriscena nel 2021 è composto di tre saggi, firmati da tre grandi nomi della linguistica, della filologia della lirica baltofinnica, dell’antropologia e della scienza delle religioni: Eemil Nestor Setälä (1864-1935), Uno Harva (1882-1949) e Väinö Salminen (1880-1947). Il cuore centrale dell’edizione è costituito dal saggio di Uno Harva, Sammon ryöstö (“Il furto del sampo”, 1943), che propone una disamina delle varie interpretazioni che nel corso dei secoli sono state proposte per spiegare il termine e il concetto oscuro designato dal sostantivo sampo. Gli altri due saggi vogliono fungere da supporto integrativo: il saggio di apertura di Eemil Nestor Setälä offre una sintesi del suo grande studio pubblicato nel 1932 intitolato Sammon arvoitus (“L’enigma del sampo”), opera corposa dedicata alla disamina del sampo e dell’universo kalevaliano che vi ruota attorno, come avremo modo di vedere in seguito, saggio che consente anche a chi non è molto addentro al Kalevala di impadronirsi degli strumenti tematici e terminologici per meglio affrontare il saggio di Uno Harva. Il terzo saggio, posto in chiusura alla presente edizione, è firmato dal professore di filologia della lirica baltofinnica Väinö Salminen, nome di spicco non solamente in ambito accademico, ma anche folkloristico, stante il suo grande contributo nella raccolta di runolaulut (i tradizionali canti in metro kalevaliano) dalla viva voce del popolo con estrema perizia, nonché per il suo impegno nel conferire a ciascun runolaulaja (termine finlandese per indicare i rapsodi che intonavano lirica popolare) e al luogo in cui è avvenuta l’audizione la dignità di essere menzionati accanto al testo raccolto dai folkloristi. I canti da lui raccolti sono quelli più dettagliati e precisi che sono andati a comporre l’archivio Suomen kansan vanhat runot (abbreviato in Skvr, “Antichi runot [canti] del popolo finlandese”). Prima di procedere nella presentazione del volume, vorrei spendere alcune parole sulla figura di Uno Harva, centrale nella ricerca antropologica e di scienza delle religioni, citato ampiamente da numerosi studiosi, ma poco noto nel panorama italiano.
Uno Harva intraprese studi teologici per volere del padre, un sacerdote, esercitandone per qualche tempo anche la professione. Si rese tuttavia conto che per il dispiegamento della propria interiorità e per perseguire i suoi interessi nell’ambito religioso era necessario uscire dal mondo ecclesiastico e affrontare le questioni da scienziato, da storico delle religioni e antropologo. Fu iniziato allo studio dei costumi e delle religioni dei popoli ugrofinnici dal sociologo Edvard Westermarck (1862-1939) e da Kaarle Krohn (1863-1933), quest’ultimo lo introdusse nello studio della lirica baltofinnica e delle questioni kalevaliane, a cui Harva dedicò le proprie energie, per esempio con il presente saggio sul sampo, con numerosi e corposi saggi pubblicati sulla rivista “Finnisch-ugrische Forschungen” (fondata da Kaarle Krohn ed Eemil Nestor Setälä), rivista che lui stesso diresse, reggendone le redini dopo la morte del maestro Kaarle Krohn. Tra il 1911 e il 1917 intraprese una serie di viaggi etnografici che lo portarono tra i permiani, i mordvini, i ceremissi e i sámi della penisola di Kola: da questi viaggi furono tratte quattro opere monografiche sulle religioni dei rispettivi popoli che costituiscono ancora oggi quattro grandi classici della letteratura antropologica (Permalaisten uskonto, “La religione dei permiani”, 1914; Tseremissien uskonto, “La religione dei ceremissi”, 1914; Lappalaisten uskonto, “La religione dei sámi”, 1915 e Mordvalaisten muinaisusko, “L’antica religione dei mordvini”, 1942). Punto di svolta nella sua carriera di ricercatore e accademico è costituito dal suo saggio sul simbolismo dell’albero della vita, Elämänpuu, pubblicato nel 1920 e con una nuova edizione integrata due anni dopo in tedesco (Der Baum des Lebens): grazie a questo studio bilingue egli poté donare al mondo accademico la massima innovazione di cui fosse capace, un’innovazione nello studio della religione, del mito e della concezione che sottende alla religione, un’innovazione che prese successivamente il nome di fenomenologia religiosa. Quest’opera ebbe particolare influsso su chi, come lui e dopo di lui, si dedicò alla scienza delle religioni con approccio comparato: pensiamo per esempio alle opere del filologo Jan de Vries e all’influsso sull’opera di Mircea Eliade, in particolare per quanto concerne Il sacro e il profano. Il lascito di maggior prestigio di Uno Harva è l’opera dedicata alle religioni dei popoli altaici, Altain suvun uskonto (1933; ed. tedesca ampliata, Die religiösen Vorstelllungen der altaischen Völker, 1938, di futura pubblicazione presso Vocifuoriscena) da cui si può chiaramente evincere l’approccio scientifico e interpretativo di Harva. Vocifuoriscena è in procinto di pubblicare la traduzione italiana di Elämänpuu, che offirà anche le integrazioni presenti nell’edizione tedesca.
Il saggio di Eemil Nestor Setälä parte dall’épos nazionale finlandese, delineandone le peculiarità che all’epoca della sua pubblicazione (prima edizione 1835, Vanha Kalevala, “Vecchio Kalevala”; seconda edizione definitiva 1849, Uusi Kalevala, “Nuovo Kalevala”) lo fecero ritenere dai più come un poema primigenio sorto in seno al popolo e andato in frantumi con l’incedere inesorabile della storia, fino a quando Elias Lönnrot (1802-1884) ne riscoprì il filo conduttore, ricongiungendo le disiecta membra per formare un tutt’uno unitario e coerente. Con il passare del tempo questa opinione mutuò, e ci furono alcuni che negarono al Kalevala persino il suo carattere di épos popolare. In verità il Kalevala è a buon diritto un épos popolare, in primis perché è formato di canti raccolti dalla viva voce del popolo, sia da parte di Elias Lönnrot, sia di numerosi altri raccoglitori, deditamente messi per iscritto nel corso dei loro keruumatkat (“viaggi di raccolta”); si tratta di un épos popolare anche perché fornisce un fedele ritratto della storia del popolo finlandese; in terzo luogo è popolare perché il modus operandi del Lönnrot, che consisteva nello scegliere le strofe migliori tratte dalle varianti reputate migliori e i collegamenti concettuali per ricucire le sezioni, rispecchia quanto messo in atto dai maggiori runolaulajat. In un aspetto il Kalevala si discosta dalle creazioni popolari, ovvero per l’ampio respiro del materiale ivi confluito: per la sua mole è infatti impensabile che potesse essere custodito nella mente dei rapsodi. Tuttavia, nonostante il Kalevala sia un poema epico nato dalla voce del popolo, non può essere impiegato come fonte per la ricerca sulla lirica baltofinnica: esso è un’opera letteraria, frutto dell’inventiva e del lavoro di incastonamento “a mosaico” del Lönnorot; per la disamina della lirica popolare è necessario attingere ai runolaulut conservati presso l’archivio Skvr. Il metro kalevaliano, ovvero il tetrametro trocaico caratterizzato dal parallelismo e dalla ripetizione, risale al periodo protofinnico, ma è impossibile rinvenire canti risalenti a tale periodo. È altresì ostico parlare di “varianti originali” o “primigenie” (le leggendarie Ur-Formen o Ur-Redaktionen), stante che tutti i runolaulut sono migrati sia geograficamente sia passando di generazione in generazione. I canti sono vivi, “erranti”, come Setälä li definisce, per il semplice fatto che si sono spostati nello spazio e nel tempo assieme alle famiglie di rapsodi che li custodivano. Tutto ciò ha portato a un impoverimento del patrimonio canoro, anche per la lamentata minore capacità dei rapsodi di memorizzare e di incamerare lunghi cicli, a differenza dei rapsodi di un tempo, all’usura di parti di essi, con la perdita di senso di alcuni collegamenti tra cicli, ma allo stesso tempo si è notato un arricchimento, stante che sono stati incamerati elementi tratti da tradizioni canore esterne, talvolta frutto di contatti con popoli stranieri, oppure volutamente appresi dai runolaulajat per arricchire il proprio patrimonio di canti: visto l’interesse nutrito dai raccoglitori, molti figli di runolaulajat che dapprima non sembravano interessarsi delle tradizioni canore dei propri avi, iniziarono ad apprendere nuovi canti per potersi esibire. Quindi anche la raccolta ebbe un importante ruolo di catalizzatore per la conservazione dei canti nella memoria del popolo.
La patria dei runot sul sampo può essere localizzata in Carelia orientale, al di là del confine finlandese; altrove si possono rinvenire solamente sporadici frammenti del ciclo sul sampo. Per il Kalevala il ciclo del sampo costituisce l’ossatura portante, l’intelaiatura entro cui Lönnrot incastonò e sviluppò l’intera trama del Kalevala. Esistono due cicli sul sampo che presentano tra loro punti di contatto e che Lönnrot fuse nella sua compilazione. In un ciclo la vicenda del sampo funge da completamento all’opera demiurgica (narrata nel Maailmansyntyruno, “Canto sull’origine del mondo”), in quanto Väinämöinen precipitato in mare dà origine al fondale marino; nel secondo ciclo il sampo figura tra le difficili e in apparenza insuperabili prove di destrezza sottoposte ai pretendenti per conquistare la vergine del Nord (all’interno del Kilpakosinta, la “Contesa di corteggiamento”). Per sommi capi la vicenda del sampo nella versione definitiva del Kalevala può essere così esposta: un giovane di Lapponia, qui identificato con Joukahainen, provando astio nei confronti di Väinämöinen, il principale eroe del Kalevala, gli scaglia un dardo, colpendone tuttavia il destriero e causando la caduta in mare del cantore sempiterno. In balia dei flutti, Väinämöinen viene trascinato fino a Pohjola, la mitica terra del Nord, patria di misteriosi e potenti stregoni, dove regna Louhi, la signora di Pohjola. Tratto in salvo da quest’ultima, Väinämöinen chiede di essere lasciato rimpatriare, cosa che gli viene concessa in cambio della forgia del sampo; egli ribatte di non esserne in grado, ma di conoscere il fabbro sempiterno Ilmarinen, colui che ha forgiato la volta celeste, e che di certo sarà in grado di realizzare il richiesto artefatto. Fatto giungere con l’inganno Ilmarinen a Pohjola, questi intraprende la forgia del sampo e dopo quattro tentativi vani, il misterioso sampo vede la luce. A precedere l’uscita del sampo sono quattro oggetti, ovvero un arco, una barca, una giovenca e un aratro, manufatti che non fanno originariamente parte del ciclo del sampo, ma che Lönnrot vi intrecciò, seguendo i collegamenti non estranei ai runolaulaujat, traendoli dal Kultaneidon taonta (la “Forgia della fanciulla d’oro”). Essi simboleggiano i mezzi di sostentamento, ovvero caccia, pesca, allevamento e agricoltura, e costituiscono la principale innovazione apportata dal Lönnrot. Appena uscito dalla fucina, il sampo si presenta come una sorta di mulino tripartito che produce farina, sale e pecunia. Al ché la signora di Pohjola rinchiude il sampo nel Pohjolan kivimäki (“monte roccioso di Pohjola”) e da quel momento il sampo determinerà la ricchezza, la prosperità e il benessere delle terre settentrionali. La narrazione prosegue tralasciando per il momento il sampo e riprende allorquando, tornato Ilmarinen dal suo secondo viaggio di corteggiamento, riferisce a Väinäimöinen del benessere di Pohjola; al ché i tre eroi, Väinämöinen, Ilmarinen e Lemminkäinen, salpano diretti a Pohjola per impadronirsi del sampo che viene smosso dalla sua ubicazione impiegando un aratro trainato da un enorme bue e caricato sulla nave dei rapitori. Il popolo di Pohjola, fatto addormentare dal suono del kantele, si ridesta, e Louhi, accortasi del furto dell’artefatto, si dà all’inseguimento a bordo di una nave da guerra con cento uomini e mille armati. La nave va tuttavia a infrangersi contro uno scoglio fatto erigere per magia da Väinämöinen, pertanto la battaglia per il sampo prosegue con tratti più spiccatamente magici, trasformandosi Louhi in un’aquila. L’esito dello scontro è la frantumazione del sampo i cui cocci finiscono nelle profondità marine. Louhi riesce a impossessarsi solamente del coperchio e del manico, ed è per questo, ci spiega il Kalevala, che c’è miseria a Pohjola, manca il pane in Lapponia. Väinämöinen invece raccoglie i frammenti del sampo che torneranno a giovamento della propria patria. La frantumazione del sampo in mare spiega il motivo per cui le acque sono più ricche di flora e fauna rispetto alla terra: talvolta in alcune glosse i runolaulajat affermano che se fosse accaduto il contrario, non ci sarebbe neppure stato bisogno di arare e seminare la terra, tanto sarebbe stata ricca e prospera.
Ma che cos’è il sampo? Tra tutti i temi del Kalevala, il sampo è quello che maggiormente ha ispirato la fantasia e le argomentazioni di studiosi, artisti sia finlandesi che stranieri. Il termine sampo e il concetto che designa sono del tutto sconosciuti ai runolaulajat. Se glielo si chiedeva essi fornivano risposte tra loro contraddittorie: il sampo sarebbe stato un mulino, una nave, uno strumento musicale, il simbolo della madre patria, la sua cartina geografica, un tamburo, oppure si astenevano dal fornire risposte, ammettendo di non saperlo. Talvolta, ricorrendo a un procedimento di etimologia popolare, sostituivano il termine oscuro con forme foneticamente affini, quali sammo, sammi, oppure con terminologia simile, per esempio tammi (“quercia”), oppure saani (“slitta”), adducendo pertanto un nuovo concetto, una nuova immagine e quindi dando avvio a un nuovo canto.
Gli studiosi sono ricorsi talvolta a forestierismi per tentarne un’interpretazione: hanno attinto all’albero Asambubarcha della fiaba mongola riferita dal Pallas, i cui cadenti frutti maturi prendono il nome di sambu; sono ricorsi allo svedese stamp (“battipalo”), oppure al norreno sambú (“coabitazione”, “economia condivisa”), senza tuttavia approdare a spiegazioni soddisfacenti.
Nella sua sommaria disamina, Setälä parte dai runolaulut e dal termine kirjokansi (“coperchio screziato”) che nell’episodio della forgia (sammon taonta, la “forgia del sampo”) appare associato al sampo nel parallelismo del distico: si dice infatti che Ilmarinen forgia il sampo, orna il coperchio screziato. Nella lirica popolare kirjokansi è circonlocuzione poetica riferita al cielo, comparendo esplicitamente affiancata a taivoinen (“cielo”) e ilman kaari (“volta celeste”), pertanto non è lecito tracciare l’equivalente sampo = kirjokansi, tanto più che nel parallelismo del distico il termine che quivi compare di rado è un sinomino: più sovente esso costituisce un’integrazione, talvolta è addirittura un antomino. Per Setälä il sampo indica la stella polare, la colonna, il pilastro del mondo, come essa è nota presso i sámi (tjuolda, “colonna”, væralden tjould, “colonna del mondo”) e altri popoli mongoli e turchi che la designano come il “palo d’oro” o “palo di ferro”. Adducendo alcuni esempi tratti dalla tradizione sámi e germanica, egli tenta di dimostrare come la reggitrice del mondo fosse immaginata come un chiodo metallico, risultando pertanto ovvio perché il sampo dovesse essere forgiato, trattandosi di un chiodo. Ci porta come esempi gli ǫndvegissúlur (“posti d’onore”) germanici, che all’interno delle dimore di capi e possidenti dell’epoca vichinga costituivano gli oggetti di maggior prestigio: si trattava di pali lignei sulla cui sommità erano confittati i reginnaglar (“chiodi di dio/ degli dèi”), anche se non è ancora stata fatta chiarezza in merito alla ragione della loro sacralità; oppure tra le fonti sámi ci ricorda l’informazione raccolta da Jens Kildal nel 1730 secondo cui i sámi sacrificavano un maschio di renna o di altro animale a maylmen radien, il reggitore del mondo, affinché non lasciasse precipitare il mondo ed elargisse renne; nel fare ciò erivegano un palo dalla punta biforcuta che ungevano con il sangue della vittima sacrificale; oppure l’informazione raccolta da Knud Leem nel 1767, secondo cui sempre i sámi erigevano nei luoghi sacrificali una trave con un chiodo conficcato sulla sommità, come a reggere il mondo. Come noto i sámi hanno preservato più a lungo i tratti della religione che avrebbero appreso dai germani, presso i quali i residui di questi pilastri di sostegno sono andati del tutto scomparendo: una testimonianza compare in Rodolfo di Fulda che ci riferisce di Irminsūl, eretto all’interno del principale santuario dei sassoni, fatto abbattere da Carlo Magno nel 772. Presso i sámi e gli estoni la stella polare è altresì immaginata come il chiodo del Nord o del fondo, ubicata sul fondo di un enorme calderone, ovvero la volta celeste. Si evince pertanto il motivo per cui dal sampo dipendono la semina, l’aratura e ogni forma di ricchezza: si tratta della stella polare che regola tutte le attività umane. Da questa immagine della volta celeste che ruota attorno al cardine si è successivamente sviluppata la concezione del sampo come mulino: il ché è avvenuto quando il significato originario era scomparso, attingendo a una fiaba che ha fornito anche il materiale per il racconto norreno del mulino Grotti, costituendo pertanto il sostrato comune per ambedue le narrazioni. La concezione del sampo come mulino ha permesso di giustificare la salinità marina e la presenza di un immenso gorgo (noto come kinahmi nei sortilegi finlandesi, come “ombelico del mare” presso i sámi) nei mari settentrionali.
Tra le altre interpretazioni del sampo figurano anche quella secondo cui si tratterebbe di una nave, e in particolare di un dreki vichingo, ovvero l’imbarcazione con la polena a foggia di testa di drago, oppure a saima, grande imbarcazione impiegata nei laghi. Il termine sampo è stato spiegato anche ricorrendo al russo sam bog, “dio stesso”, accostato pertanto a una statua, opinione inizialmente condivisa dal Lönnrot, oppure a una statua all’interno di una cassa, come affermato da Kaarle Krohn. Sempre ricorrendo al russo, il sampo è stato accostato a sam omol, “il macinatore stesso”, ritornando pertanto alla concezione del mulino in precedenza esposta.
Ma il sampo è stato concepito anche alla stregua di un animale mitologico, sia esso un rapace oppure un anfibio. Il sampo è stato associato a un rapace dai lunghi artigli, anche per influsso della prima variante dell’episodio del furto del sampo trascritta, seppur con esigua perizia e fatali omissioni, da Carl Axel Gottlund (1796-1875) nel 1817 presso i finni del Dalarna, i cosiddetti metsäsuomalaiset, i “finni dei boschi”, dalla voce di Maija Turpiainen (o Turpeinen). Qui il sammas, questo il nome del manifatto trafugato, viene descritto come un essere alato dotato di artigli che vengono amputati dagli eroi Väinämöinen e Jompainen in fuga. Oppure Setälä accosta sampo a una forma sámi dal significato di sammakko (“rana”), ma non si tratterebbe di una rana comune, bensì di un animale mitologico preposto alla custodia di un tesoro: in seguito il nome dell’animale sarebbe passato a indicare il tesoro stesso. La rana è da sempre ritenuta simbolo di fertilità, difatti il sampo costituiva una fonte di ricchezze e crescita non meglio definibile e pertanto accostato talvolta a Sämpä Pellervoinen che nei runolaulut è colui al cui risveglio ha inizio la rinascita primaverile della natura e pertanto anche al Freyr scandinavo, dio della fertilità il cui simbolo è il fallo. Il sampo è stato accostato anche a uno strumento musicale, in particolare al kantele, il tradizionale salterio baltofinnico a corde pizzicate, la cui realizzazione viene descritta in due frangenti nel Kalevala, unendo le due tradizioni secondo cui il kantele era originato dalla mandibola di un enorme luccio oppure dal legno e dai capelli di una fanciulla.
Molto affascinante e seguita dalle linee di ricerca in tempi recenti è l’accostamento del sampo allo scrigno di canti, ovvero al magazzino di canti che è la memoria del runolaulaja, scrigno non serratamente chiuso, ma aperto agli influssi esterni per arricchirsi e condividere una tradizione personale e comunitaria, ancestrale e presente che unisce il singolo alla collettività.