L’Iliade cantata dalle dee, di Marilù Oliva: l’inesauribile vitalità del mondo classico – Intervista

Leggi qui l’intervista a Marilù Oliva, a cura di Francesca Barracca (7 luglio 2024)
Leggi qui la recensione di Francesca Barracca

la copertina del romanzo L’iliade cantata dalle dee, di Marilù Oliva, pubblicato da Solferino Libri (2024). Foto di Francesca Barracca

Il romanzo si colloca in una trilogia dedicata alla riscrittura dei tre poemi classici per eccellenza: Iliade, Odissea ed Eneide. Quali sono le differenze e le affinità con gli altri due lavori, L’Eneide di Didone e L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre?

Il mio è un omaggio ai grandi poemi celebri del passato, due greci e uno latino. I primi due omerici, il terzo virgiliano, quindi collegati alla loro origine: Iliade e Odissea viaggiano nel vento, vengono tramandate oralmente per secoli e sono depositarie del sapere, delle abitudini, degli usi e costumi di un periodo che altrimenti sarebbe rimasto semisconosciuto, il Medioevo Ellenico. L’Eneide, invece, nasce nel I sec aC come atto di propaganda al nuovo assetto politico augusteo, viene fissato subito per iscritto dal più grande poeta della latinità e vuole garantire che le origini divine della gens Iulia. Mentre di Omero dubitiamo persino l’esistenza, di Virgilio sappiamo diversi dati biografici. Dal punto di vista stilistico, ho cercato di ricalcare la musicalità di questi illustrissimi, alla luce di una lingua comunque contemporanea (ma non mancano richiami formulari, epiteti, patronimici, ad esempio), differenziando lo stile a seconda del poema (Odissea più musicale, più marino, Iliade più metallico, a richiamare il clangore delle battaglie, Eneide più ironico).

Tutti e tre i poemi appartengono alla saga troiana, che tanta fortuna ha avuto nell’antichità. Il mio intento è stato quello di ripercorrere le narrazioni originali, partendo dalla voce delle donne: dee, regine, schiave, sacerdotesse, ninfe. Nei testi antichi le donne sono presenti, ma in alcuni casi è come se venissero messe in ombra dal protagonismo dei maschi, come se venissero sommerse dalla forza e dalla potenza di questi eroi che iniziano guerre, decidono viaggi, sacrifici, vittorie e sconfitte. Le umane parlano poco e restano comunque ingabbiate nel sistema patriarcale dell’epoca (celebri le sgridate di Telemaco a una Penelope molto diplomatica che già doveva vedersela coi Proci!). Il mio tentativo, in tutti e tre i casi, è stato quello di prenderle per mano e cercare di far emergere la loro già importante personalità.

Il linguaggio, il modo in cui pensano e parlano le donne all’interno del romanzo è contemporaneo, ma c’è un episodio, quello di Ettore e Andromaca, che il lettore più attento riconosce come una traduzione fedele del testo omerico originale. Perché e qual è stato, dunque, il lavoro di trasposizione dal testo antico?

Ho giocato di riscrittura, di sintesi, di ellissi e di tutte le tecniche del retelling. Nell’Iliade alcune parti le ho ritradotte, come quella da te citata o anche alcuni passaggi del dialogo pieno di rabbia tra Achille e Agamennone. Nell’Eneide ho tradotto buona parte del quarto libro, il celeberrimo addio tra Enea e Didone. Ci sono delle parti così belle che sarebbe stato un delitto toccarle!

Il romanzo sembra essere destinato a un ampio pubblico, compresi quei giovani lettori abituati a studiare l’epica classica a scuola. Aveva in mente un target di lettori preciso cui rivolgersi quando ha concepito l’idea?

In questi progetti specifici, il destinatario e la destinataria sono universali. Dai tredici anni in su. Chi è molto giovane magari non decripterà alcuni messaggi tra le righe, ma si gusterà l’epica antica e non resterà – credo – traumatizzato dalle scene più sensuali o più truci.

Il rifiuto della guerra, che accomuna tanto le dee quanto le donne del romanzo, è evidente. In che modo lo manifestano le differenti categorie?

Andromaca implora Ettore di non scendere nel campo di battaglia, sa che altrimenti non lo rivedrà: in fondo il suo è un altissimo grido di pace. Ma l’eroe non può cedere, è incastrato in quella che si chiama “cultura della vergogna”: è un principe responsabile delle sorti della guerra, non si può sottrarre, se venisse tacciato di viltà sarebbe il più grande disonore. Eppure sa che quella è l’ultima volta che vede la moglie e il figlio, perché fuori dalle mura lo attende l’invincibile Achille, pieno di livore e ansia di vendetta, ma non esita a sacrificarsi. Anche Ecuba non capisce questo assedio. E che dire delle fanciulle come Briseide e Criseide, rimaste stritolate negli impietosi ingranaggi dei saccheggi? Le concubine erano sfruttate, esibite e scambiate come trofei… Poi ci sono le dee. Mentre ad Ares è riservata la parte più pratica: la lotta, la polvere e il sangue e il clangore degli scudi, Atena presiede a quella zona della guerra più strategica, più mentale. Afrodite, invece, è la dea dell’amore e non si può pretendere che se la cavi bene durante gli scontri, infatti viene ferita e si lamenta come una bambina capricciosa. Insomma, se tirassimo le somme di tutte queste voci femminili e se le proiettassimo nel corso dei secoli, potremmo azzardarci a dire che, se alle donne fosse stata concessa un po’ più capacità di comando e di azione nel corso della Storia, si sarebbero combattute meno conflitti.

Analizziamo la sintonia che intercorre tra le “escluse” Elena e Cassandra, che rappresenta una novità rispetto all’originale. Da dove nasce l’idea di ipotizzare un rapporto simile?

Tra Elena e Cassandra, nel mio libro, scorre una forte tensione erotica. Mi fa piacere che Giulio Guidorizzi, che per me è un riferimento importante, abbia parlato di “Iliade capovolta”. Nel mio romanzo, la figura delle donne viene riproposta o tale e quale il poema omerico – quindi abbiamo donne oggetto, schiave, mogli che devono ricoprire il ruolo di madri per sentirsi pienamente realizzate e accolte dalla società – oppure, nel caso di Elena e Cassandra viene ribaltata. Elena è la donna più bella del mondo, icona della bellezza sognata da tante, con la sua sensualità lei suscita desiderio negli uomini e un istinto irrefrenabile a possederla (quindi i pretendenti sono disposti anche a rapirla, come di fatto le è accaduto fin da quando era dodicenne). Così mi sono posta una domanda. E se il desiderio maschile, in una creatura come lei, fosse stato così abusato che lei non ne può più? E se proprio la donna più bella del mondo, colei che con un battito di ciglia può conquistare chiunque, non ne volesse sapere degli uomini e scoprisse proprio nella rocca di Troia di essere attratta da una fanciulla enigmatica ed esclusa come lei? Qui entra in gioco Cassandra, depositaria del futuro, reietta in famiglia, rifiutata da tutti coloro che non vogliono sentirle dire la verità. Cassandra che non si è mai sposata in quanto sacerdotessa, e che ha rifiutato persino Apollo. Se tra di loro scattasse qualcosa, qualcosa di potente ma quasi irrealizzabile, nello spazio circoscritto di quelle mura, in tempi in cui imperversavano grandi discorsi di stragi e vendette, ma nessuno parlava mai di amore saffico?

Il romanzo si inserisce in un genere ormai ben consolidato come quello dei retelling, per cui qual è, secondo lei, il ruolo del mito e della sua riscrittura nella società contemporanea?

Quando a inizio 2020 uscì la mia Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre, in Italia non vi era ancora il boom dei mitologici, ma vi era stato vent’anni prima (penso all’Iliade di Baricco, grande progetto uscito nel 2004, che io faccio spesso adottare dalle mie classi) e La canzone di Achille della brava Miller era uscita da poco, quindi nessuno poteva prevedere che il mitologico tornasse di moda. Io avevo progettato l’Odissea perché amo il genere, anche un po’ rischiando (il mio editore di allora, HarperCollins, ad esempio, lo rifiutò perché convinto che non funzionasse e così passai a Solferino, con cui pubblico romanzi dal 2020). Il mito ciclicamente torna in voga e questo secondo me ha a che fare con diversi fattori: uno di questi riguarda la possibilità di evasione che ci regala. Ma è un’evasione ambivalente, che da un lato ci conduce in luoghi lontani nello spazio e nel tempo, densi di storie truci ma affascinanti, con eroi, mostri, prove da affrontare, dee sagaci e meravigliose, dall’altro però ci permette un aggancio emozionale. Perché conosciamo già quelle storie, il nostro immaginario arriva da lì, dal viaggio di Ulisse, da quello degli Argonauti, dalla solitudine del Minotauro, dalla forza di Atena, dall’istintività della meravigliosa Afrodite, dall’abnegazione di Ettore, dalla brutalità del Ciclope. In fondo, gira e rigira, è come se in ogni libro cercassimo sempre il canto melodioso delle sirene.

 


Nel mare magnum delle riscritture del mito antico in chiave femminista che negli ultimi anni hanno popolato un certo tipo di letteratura, alcune funzionano inevitabilmente meglio di altre. Si tratta, in realtà, di testi capaci di far rivivere il testo antico senza troppi stravolgimenti, nel rispetto dell’originale e nell’attualizzazione non forzata dello stesso. Non è un caso, infatti, che L’Iliade cantata dalle dee di Marilù Oliva abbia già conquistato il Premio Selezione Bancarella 2024.

la copertina del romanzo L’iliade cantata dalle dee, di Marilù Oliva, pubblicato da Solferino Libri (2024). Foto di Francesca Barracca

Un’operazione di riscrittura, quella dell’Iliade, apparentemente più complicata rispetto alle precedenti effettuate dall’autrice con L’Odissea cantata da Penelope, Circe, Calipso e le altre e L’Eneide di Didone: se tanto nell’Odissea quanto nell’Eneide Omero – o chi per lui – e Virgilio attribuiscono ruoli determinanti ad alcune figure femminili, nell’Iliade le donne restano per lo più in casa, a filare la lana, ad attendere il ritorno dell’eroe o immaginare la futura vita di schiave del nemico. Le dee, invece, scendono in campo, si mimetizzano tra gli eroi, li aiutano o li ostacolano per condizionare le sorti della guerra, ma restano tutto sommato invisibili e soggette al potere di Zeus.

Resta ancora un’altra categoria di donne, le “escluse”, rappresentata da Elena, Cassandra e Creusa alle quali l’autrice affida voci più pregnanti delle altre che il lettore non può far a meno di notare. La ragione di una simile scelta risiede nelle rispettive storie personali: tanto Cassandra quanto Creusa non compaiono nell’Iliade, eppure anche loro vivono la guerra. Non creduta, Cassandra vive nella solitudine. Creusa viene dimenticata da Enea, da chi scrive, da tutti.

la copertina del romanzo L’iliade cantata dalle dee, di Marilù Oliva, pubblicato da Solferino Libri (2024). Foto di Francesca Barracca

È così che Marilù Oliva restituisce giustizia alle donne senza le quali, in tutta probabilità, la storia sarebbe andata diversamente: a Creusa concede la cornice del romanzo e il merito di una richiesta di verità necessaria. Perché a possederla sono proprio le donne dell’Iliade, non certo gli eroi il cui unico scopo di vita è fare la guerra e vincerla.

Cantate, vi prego, quello che accadde davvero. Quello che voi soltanto sapete. Avete visto l’inammissibile e ora non potete più tacere. […] Perché, se in questa guerra siamo state zittite, voi che potete travalicare i fossati del tempo, vi prego: raccontate le nostre verità. Salvate la storia da quella propensione malsana all’oblio che abbiamo noi mortali. E io lascerò che mi divori la notte”.1

Allo stesso modo, l’autrice fornisce a Elena la possibilità di essere qualcosa di più della sola donna più bella del mondo: donna incolpevole stanca di suscitare il desiderio maschile.

Ripenso al mio passato, pomeriggi pieni di noia e di paura. Paura che qualcuno mi vedesse e mi volesse, perché poi sapevo che sarebbe scattato il rapimento.”2

Infine, Cassandra diventa portavoce di un’esistenza maledetta per un “no” e di un’anima che, sotto la vuota preveggenza, cela gli stessi identici sentimenti di una qualsiasi altra creatura umana.

Potete immaginare quanto sia duro non essere mai creduta? La gente vuole solo ricevere ciò che si aspetta. Non ama essere stupita. Tanto più che nessunp accetta di conoscere in anticipo le disgrazie e io sono magnifica nell’avvertirle.”3

Non mancano della medesima introspezione psicologica le altre protagonisti femminili che, a turno, raccontano alcuni segmenti di storia, chiarendo il proprio punto di vista. In ciò si rivela l’indagine psicologica condotta dall’autrice sulle singole personagge, affinché ciascuna si distingua dall’altra, pur nel rifiuto comune della guerra. Persino Eris, la responsabile della guerra, deplora gli uomini per la loro tendenza alla sopraffazione:

Eppure, basterebbe così poco per capirsi e fugare il rischio di ogni guerra: abbandonare le ambizioni smodate, comunicare, accordarsi. Tenersi per mano, tanto la fine di ciascuno è all’orizzonte.”4

Con uno stile che, calato nella contemporaneità, strizza l’occhio all’originalità aulica della lingua omerica, i singoli racconti delle donne diventano monologhi a sé stanti, che non è difficile immaginare succedersi all’interno di un teatro.

Se, dunque, è vero che il mito non smette mai di dialogare con le epoche, il retelling di Marilù Oliva parla direttamente al lettore e lo interroga su una contemporaneità in cui di donne e di guerra si continua a discutere ancora senza sosta.

la copertina del romanzo L’iliade cantata dalle dee, di Marilù Oliva, pubblicato da Solferino Libri (2024)

Note: 

1 M. Oliva, L’Iliade cantata dalle dee, Solferino 2024, pp. 12-13

2 Ivi, p. 82.

3 Ivi, p. 41.

4 Ivi, pp. 99-100.

Il libro recensito è stato cortesemente fornito dalla casa editrice.

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