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La battaglia di Civitate: il Papa prigioniero

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La battaglia di Civitate: Il Papa prigioniero

Qualche ammiratore dei modernismi potrebbe chiamarle sliding doors, alludendo al sistema di porte girevoli che può condurre tanto in un verso quanto nell’altro; o magari i più fedeli alla tradizione letteraria potrebbero definirla addirittura una distopia, pescando tra gli amanti di un genere che si diverte ad immaginare il mondo qualora la casualità avesse fatto prendere altre direzioni agli eventi (su tutti, la Svastica nel sole di P. K. Dick, dal quale è stata tratta la serie L’uomo nell’alto castello). Eppure, se si esaminano i possibili scenari che potevano scaturire da certi eventi storici è possibile trovarsi ad immaginare una realtà molto lontana da quella che viviamo oggi, e mentre l’esercizio diventa facile pensando ad eventi molto recenti (nel caso del libro di Dick si parla di un’ipotetica vittoria dell’Asse nella seconda guerra mondiale), il risultato potrebbe essere invece più sorprendente se si immaginano eventi che riteniamo lontani da noi nel tempo ma che avrebbero generato uno sviluppo totalmente alternativo della storia e – forse – anche dei nostri stili di vita.

In questo caso, il comportamento – non proprio scontato – di alcuni condottieri normanni ha determinato il corso degli eventi così come ci è stato consegnato dai libri di storia. Ma le cose potevano andare decisamente in un’altra direzione.

In quest’ottica in passato ci siamo già occupati di smentire alcune ricostruzioni di natura “identitaria” come quelle della battaglia di Poitiers, che per secoli è stata erroneamente identificata come la vittoria dirimente dell’Europa sull’Islam salvo poi essere ridimensionata dagli storici in epoca recente1: eppure per secoli la narrazione occidentale ce l’ha consegnata come il punto di svolta, come evento in cui un’ipotetica vittoria delle forze islamiche avrebbe stravolto il corso degli eventi futuri, con la conseguenza che oggi i nostri costumi e le nostre vite sarebbero diverse, nonostante la comprovata secondarietà della battaglia rispetto agli scenari dell’epoca.

In compenso, altre battaglie meno famose e a cui la tradizione ha riservato un posto minoritario, nella loro dimensione hanno rappresentato uno spartiacque significativo, cariche di un peso specifico importantissimo nelle dinamiche dei propri tempi.

È il caso della semi-sconosciuta (almeno ai più) battaglia di Civitate, nell’odierna San Paolo di Civitate, in provincia di Foggia: lì infatti il 18 giugno del 1053 si affrontarono le truppe condotte da Riccardo Drengot, Umfredo d’Altavilla e Roberto il Guiscardo e quelle della coalizione del Papa. Evento significativo fu la presenza sul campo di battaglia dello stesso Papa Leone IX che, sconfitto, fu catturato ed imprigionato dai Normanni.

Statua di Papa Leone IX (diciannovesimo secolo), Alsazia, castello di Eguisheim, Cappella di San Leone. Foto © Ralph Hammann – Wikimedia Commons, CC BY-SA 4.0

Sarà il comportamento assunto da Riccardo Drengot sul campo e più in generale dai Normanni a determinare buona parte della storia seguente.

I Drengot

I primi Normanni giunti in Italia si erano stabiliti qualche decennio prima nel territorio di Aversa (Sancte Pauli ac Averze): un loro condottiero, Rainulfo Drengot, aveva fondato quella che sarebbe diventata nel giro di poco tempo la Contea di Aversa, prima contea normanna in Italia, su investitura del Duca di Napoli Sergio IV e poi, nel 1022, dall’Imperatore Corrado II. A Rainulfo successero alcuni leggendari condottieri che l’abate Alessandro Telesino2 già nel XII secolo definì “Aversani heroes”: Asclettino, Rodolfo, Rainulfo II detto il Trincanotte, Ermanno ed infine Riccardo, protagonista proprio della battaglia di Civitate e degli eventi trattati nell’articolo. Tutti erano imparentati tra loro e membri della famiglia Drengot-Quarrel.

Mentre su Riccardo il Guiscardo e Umfredo gli storici ci hanno dato ampia testimonianza, sorte diversa è toccata agli appartenenti della famiglia Drengot-Quarrel, capostipiti della dinastia normanna in Italia, ma ancora oggi sconosciuti ai più.

Piccola curiosità: al nome Drengot è legato un errore diffuso in buona parte del meridione. L’importanza del casato Drengot-Quarrel aumentò notevolmente dopo i fatti della battaglia, tanto da assurgere a protagonisti delle vicende del mezzogiorno. Fu così che molti dei luoghi che ricaddero sotto la loro influenza o che furono interessati dalla loro presenza assorbirono la loro testimonianze nel proprio nome, generando alcuni dei più diffusi errori semantici di carattere etnico-toponimico: Drengot infatti presto si volgarizzò in De’ Goti: col tempo la radice patronimica del nome si è smarrita nella memoria di molti luoghi e dunque si è spesso pensato a quei posti come influenzati dall’arcaica presenza dei Goti, come nel caso di Sant’Agata dei Goti in provincia di Benevento3, o dei cognomi illustri come Angiò-De’ Goti.

Detto questo, la testimonianza più influente e al contempo più dettagliata sulla famiglia normanna ci è data da Amato di Montecassino, monaco dell’omonima abbazia, che ne descrive i tratti ed i temperamenti dei membri più illustri.

Di Riccardo scrisse “bello di forme e di statura signorile, giovane, di faccia chiara e risplendente di bellezza; era amato da tutti coloro che lo vedevano”.

L’antefatto

I Drengot intrecciarono importanti relazioni con i personaggi più influenti del tempo, spesso attraverso matrimoni, arrivando dunque presto ad un ruolo di vertice nelle gerarchie di potere dell’epoca. In poco tempo quindi il loro potere si scontrò con quello delle altre forze politiche del basso medioevo, e nonostante un rapporto non sempre idilliaco, ben presto si trovarono sullo stesso fronte degli Altavilla e di altri leggendari condottieri normanni, tra cui Roberto il Guiscardo, ovvero il Terror Mundi4.

Così facendo, la comunità normanna si impose in buona parte del Sud Italia quasi senza muovere guerra, prediligendo piuttosto una politica basata su nuovi insediamenti e piccole schermaglie territoriali funzionali a rivendicarne l’autorità. Si adattarono bene però anche alla politica, ben consapevoli che parte di quell’autorità sarebbe provenuta dal riconoscimento dell’ordine costituito che governava il territorio.

Proprio questo è stato il definitivo salto di qualità dei Drengot e dei normanni in generale: da guerrieri di fama eroica ad abili governanti, a nobili e dignitari di possedimenti che avevano ricevuto il riconoscimento dell’imperatore e degli altri notabili.

Al Papa Leone IX però questa ascesa sembrò decisamente ostile, vedendo nell’affermazione dei normanni uno scomodo rivale affacciarsi ai propri confini. La comunità normanna infatti dava l’idea di diventare ben presto una vera e propria nazione che insisteva sui domini papali e che presto avrebbe potuto avere la vocazione ad estendersi a tutto il sud Italia. Fu per questo motivo che il Papa, sentendosi minacciato dalla crescente presenza normanna, chiese aiuto all’Imperatore Enrico III, chiedendogli di armarsi e muovere guerra contro i normanni a scopo preventivo, onde evitarne un’ulteriore affermazione nel sud a ridosso delle proprie frontiere.

Leone IX ed Enrico III. Tavola della storia Santo Sangue di Weingarten, datata al 17° secolo. Foto scattata da Andreas Praefcke, in pubblico dominio

Queste furono le premesse dello scontro tra le due fazioni, anche se la vera e propria avvisaglia per il Papa si registrò nella battaglia dell’Olivento tra i normanni ed i bizantini, la quale contribuì ad accrescere significativamente la fama dei condottieri Drengot che vi parteciparono con ben cinque membri della propria casata, convincendo definitivamente il Papa a muovere contro i Normanni.

Così, subito dopo le celebrazioni del sinodo pasquale del 1053 Leone IX proclamò una Guerra Santa contro i Normanni, adunando un esercito di volontari longobardi, bizantini e mercenari germanici. Potè contare infine anche su Benevento che gli si consegnò spontaneamente; tuttavia il controllo normanno delle principali vie di accesso appenniniche rese difficile il riunirsi delle proprie truppe, facendo ricadere la scelta del luogo del combattimento sul Biferno, precisamente sul fiume Fortore, in prossimità di Civitate.

I fatti

Lo schieramento normanno si componeva di tre parti: Umfredo, che guidava l’intero esercito, si posizionò al centro, mentre sulla destra insisteva Riccardo Drengot e sulla sinistra il Guiscardo alla testa dei fanti della Slavonia (sclavos); per un totale di appena 3000 cavalieri e 500 fanti, a fronte delle circa 6000 unità della coalizione papale.

Statua di Umfredo di Altavilla, dalla Cattedrale di Notre-Dame di Coutances. Foto di Giogo, CC BY-SA 3.0

Sul fronte pontificio, invece, il Vexillum sancti Petri – il vessillo papale – si innalzò al centro dello schieramento annunciando la presenza fisica e morale del Pontefice, che assunse personalmente il comando delle truppe durante gli scontri, occupando il centro della formazione col proprio seguito personale, stazionando sui torrioni della fortezza di Civitate.

Le truppe della coalizione di Leone IX erano disposte con soldati longobardi e mercenari provenienti – tra le altre – da Roma, Gaeta, Teano, Amalfi e Spoleto; i mercenari germanici occupavano il fianco destro mentre, specularmente, sul fianco sinistro Gerardo di Lorena e Rodolfo di Benevento guidavano la cavalleria e altri mercenari dati in dote dall’Imperatore.

La battaglia di Civitate, schieramenti. Immagine di Panairjdde (FlagUploader), sulla base del libro di Marco Meschini, Battaglie Medievali, pp. 13–36, CC SA 1.0

La logica cavalleresca dello scontro imponeva che, anche a formazioni schierate, le parti conducessero trattative diplomatiche onde evitare lo scontro; allorché Umfredo, che aveva già intercettato nella notte gli spostamenti della formazione pontificia, ruppe gli indugi e decise di attaccare a trattative ancora in corso. Così, all’alba del 18 giugno, prese posizione sulla collina e sferrò un attacco improvviso alle truppe longobarde che, sorprese dalla manovra, presero la fuga senza nemmeno provare a combattere.

L’intera battaglia si risolse in poche ore, e fu caratterizzata dalla crudezza degli scontri che cagionarono gravissime perdite ad entrambi gli schieramenti.

Riccardo Drengot d’Aversa e Il Guiscardo animarono i combattimenti senza riserva, con una forza che segnò i racconti e le cronache dell’epoca5: lo storico Guglielmo di Puglia, contemporaneo degli eventi, raccontò di come lo stesso Roberto -il Terror Mundi- fu disarcionato per ben tre volte rimontando sempre in sella6.

Dopo la battaglia

All’esito della battaglia, l’intero meridione d’Italia era ormai un dominio normanno, ma i condottieri vincitori non arrestarono lì la propria spedizione. Riccardo, che aveva penetrato in profondità le fila nemiche che si erano disgregate all’impatto con le forze normanne, riuscì a vincere le resistenze della guardia personale del Papa, ed invece di lasciare che questi si ritirasse dalle schermaglie, lo catturò facendolo prigioniero.

Al riguardo c’è da dire che le fonti forniscono diverse interpretazioni: quelle più vicine al papato raccontarono che il Papa si arrese spontaneamente per evitare ulteriori sperimenti di sangue; altre invece che furono gli stessi abitanti di Civitate a consegnare il Papa ai normanni mentre questi era in fuga. Ipotesi recenti, invece, suggeriscono che il Papa si fosse precipitato in fuga a Benevento, dove comunque non evitò la cattura.

Ciò che è certo è che Leone IX, unitamente a Gerardo di Lorena, fu catturato e tenuto prigioniero a Benevento grazie alla prova di forza del condottiero normanno.

Ma è qui che la storia poteva prendere una piega diversa.

Per un attimo, l’ordine millenario delle cose come lo abbiamo conosciuto sui libri di storia fu incerto, vacillò e corse il serio rischio di essere qualcosa di diverso da quello che conosciamo.

Certamente per i normanni il papa non era un prigioniero come gli altri, ma perché Riccardo, notoriamente sanguinario secondo le cronache dell’epoca, lo risparmiò?

Il papato non era ancora quella forza egemone che avrebbe dominato prima le corti e poi le cancellerie europee dei secoli a venire: era sicuramente una forza che godeva di tutti gli appoggi politici che contavano e disponeva sicuramente di una buona dose di forza militare ed economica, tuttavia poteva ancora essere sconfitta sul campo, come dimostrato dai normanni, e quindi rovesciata.

Inoltre era nel prestigio del proprio messaggio di verità e di fede che risiedeva l’ autorità e con essa la presunta infallibilità del Pontefice, messa a dura prova di fronte alla fallacia della cattura.

I normanni avevano in pugno ormai l’intero meridione, e lo stesso Imperatore Enrico III aveva fatto intuire di aver lasciato aperte le porte ad una soluzione diplomatica per le rispettive ostilità, onde non vedere compromessa la sua autorità sul continente (autorità che si reggeva su una serie di dinamicissimi equilibri).

I normanni avrebbero potuto trattenere il Papa in arresto o ancora peggio, giustiziarlo, lasciando il Soglio di Pietro alla deriva e decapitato della sua guida. Nel recente passato infatti i Drengot e gli altri normanni non avevano risparmiato i propri prigionieri e si erano distinti per la brutalità dei propri comportamenti, conquistandosi la fama di spietati e irriducibili condottieri.

Sfruttando la posizione di forza e la frammentarietà del fronte che aveva appoggiato il Pontefice, la misura avrebbe potuto avere come conseguenza quella di un Papato depotenziato, e non la superpotenza che invece il mondo ha conosciuto nei secoli dopo.

Con un Papa caduto sul campo di battaglia, il mondo avrebbe avuto un cattolicesimo diverso, probabilmente con la sua natura divina messa in discussione, mentre i normanni avrebbero avuto sicuramente un nemico più debole contro cui tentare una possibile conquista dell’Italia. E chissà se la storia del mondo, le conquiste fatte in nome del Papa, le imminenti crociate, i regni innalzati in suo nome e tanto altro ancora, sarebbero stati gli stessi.

A fronte di questa possibilità, però, i normanni preferirono una via diplomatica, che nel consegnarci la storia così come la conosciamo, li premiò dal punto di vista politico: Gerardo fu fatto tornare in Lorena, mentre il Papa fu trattato con tutti gli onori e trattato non come prigioniero, bensì come ospite.

I Normanni scelsero di non assestare il colpo di grazia al papato, anzi ne alimentarono il culto, e con esso l’ascesa temporale della Chiesa.

Durante il lungo soggiorno a Benevento, durato ben nove mesi, il Papa fu trattato dignitosamente e non fu mai inteso come prigioniero: le fonti storiche infatti chiamano quel periodo come onorabile cattività.

Roberto il Guiscardo ed i suoi duchi, portatisi davanti al Papa, s’inchinarono in gesto di sottomissione, in netto contrasto con la massiccia disfatta che avevano imposto alle sue truppe.

Fonti riferiscono addirittura di suppliche fatte dai tre dinanzi al Papa, perpetuate come se la condizione del Pontefice fosse quella di un confessore e non di un prigioniero, affinché Leone IX rivedesse le misure di interdizione dalla fede che avevano colpito i normanni.

Durante quello che potremmo definire il soggiorno beneventano di Leone IX, il Pontefice fu probabilmente costretto ad emanare una serie di provvedimenti che delinearono e sottolinearono la vasta portata del successo dei normanni in Italia: i normanni in effetti avrebbero potuto imporre la loro vittoria e comportarsi da vincitori, invece cercarono – seppur con persuasione – il riconoscimento da parte dei vinti, dimostrando al contempo abilità politica e lungimiranza storica.

Il Papa fu infine liberato a marzo del 1054, poco dopo aver riconosciuto ufficialmente le casate normanne e le loro conquiste sulla Contea di Puglia, che venne affidata a Roberto; il Principato di Capua, invece, fu dato in capo a Riccardo – che aveva catturato il Papa col Guiscardo – che così portava la Contea di Aversa ad una dimensione ancor più prestigiosa e a cui fu legata anche la Signoria di Gaeta, affidata al figlio di Riccardo, Giordano.

Dopo averlo catturato, sarà proprio Riccardo, ricompensato con la cancellazione della scomunica, con l’unione della contea di Aversa con il Principato di Capua e l’elevazione di Aversa a Diocesi, a scortare il Papa a Roma con tutti gli onori.

La portata storica degli eventi, seppur ormai quasi dimenticata nella sua eccezionalità, si sostanziò ulteriormente nel momento in cui i due grandi vincitori della battaglia furono riconosciuti Vassalli della Chiesa: titolo che in futuro verrà riconosciuto solo a chi avesse reso un grande servizio alla causa della Chiesa e certamente non a chi le avesse imposto una sconfitta o peggio ancora un’umiliazione.

Tomba degli Altavilla, ove è sepolto Roberto il Guiscardo, presso l’Abbazia della Santissima Trinità a Venosa. Affresco della navata destra. Foto di Roberto Strafella, CC BY-SA 4.0

A suggello di quell’intenso momento storico, a Leone IX fu dato in dono una cavalla bianca, i normanni si impegnarono nel recupero della Regalia Sancti Petri e, addirittura, Il Guiscardo offrì al Papa la Signoria su Benevento, dando inizio alla secolare presenza dell’enclave dello Stato Pontificio nel Sud Italia.

Quindi un qualunque atteggiamento diverso di fronte alla cattura del Papa avrebbe probabilmente restituito una dimensione diversa ai personaggi legati alla tradizione Sveva e Normanna come Federico II, all’intera dinastia degli Altavilla e a tutta l’influenza che il Sud Italia e l’intera Europa avrebbero avuto di lì a poco.

Nelle battaglie a seguire, più volte Umfredo tenne effettivamente fede al proprio giuramento, difendendo i vessilli papali contro Bisanzio e contro il Sacro Romano Impero. E la storia continuò secondo il corso che è noto a tutti noi.

Cattedrale di Palermo. Roberto il Guiscardo e suo fratello Ruggero. Foto di Σπάρτακος, CC BY-SA 3.0

Note: 

1 Classicult, La battaglia di Poitiers del 732: tra leggenda e realtà.
Link: https://www.classicult.it/la-battaglia-di-poitiers-del-732-tra-leggenda-e-realta/

2 Stefano Borsi, La città normanna. Aversa e l’Europa nei secoli XI e XII, Ed. Libria, 2014

3 Rosanna Biscardi, L’Arco in fondo alla valle: il mistero architettonico di Sant’Agata de’ Goti, Napoli, Cervino editore, 2015.

4 Dorotea Memoli Apicella, Sichelgaita: tra longobardi e normanni, Elea press, 1997

5 «Hoc anno in ferie sesto de mense Iunii Normanni fecerunt bellum cum Alamannis, quos Santo Padre Leo conduxerati et vicerunt. Et hoc anno fuit magna fames», Lupo Protospata; «Et venit ipse Leo Papa cum Alemanni er fecit proelium cum Normanni in Civitate», Anonimo Barese

6 Gugliemo di Puglia, Gesta Roberti Wiscardi

Bibliografia extra

  1. Mario DOnofrio (a cura di), I Normanni. Popolo d’Europa 1030-1200. Roma, 28 gennaio – 30 aprile 1994, Venezia, Marsilio, 1994, pp. 177-181, ISBN 88-317-5855-1.

  2. Vito Sibilio, “La battaglia di Civitate e la formazione dell’idea di crociata”, in Armando Gravina (a cura di), Atti del 24º convegno nazionale sulla preistoria – protostoria – storia della Daunia (San Severo, 29-30 novembre 2003), San Severo, Archeoclub, 2004

  3. Ferdinand Chalandon, Histoire de la domination normande en Italie et en Sicile”, Parigi, 1907, in it. Storia della dominazione normanna in Italia ed in Sicilia, traduzione di Alberto Tamburrini, Cassino, 2008, ISBN 978-88-86810-38-8.

  4. John Julius Norwich, I Normanni nel Sud 1016-1130, Milano, Mursia, 1971.Ed. orig. The Normans in the South 1016-1130, Londra, Longmans, 1967

  5. Amato di Montecassino, Ystoire de li Normant, a cura di V. De Bartholomaeis, Roma, 1935.

  6. Benedetto Croce, Storia del Regno di Napoli, a cura di Giuseppe Galasso, Milano, Adelphi, 1992, p. 572, ISBN 88-459-0949-2.

  7. F. Fabozzi, Historia della città di Aversa, Ed. Forni Collana: Historiae Urbium & Regionum Italiae rar. 1989 (Or. 1770)

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