Sotto l’egida del Ministero della Cultura e grazie al sostegno della Direzione generale Musei, il Museo dell’Arte Salvata farà parte del Museo Nazionale Romano, andando ad arricchire il percorso museale delle Terme di Diocleziano e delle altre tre sedi di Palazzo Massimo, Palazzo Altemps e Crypta Balbi.
La prima esposizione di ritrovamenti, in occasione dell’inaugurazione del Museo, è stata possibile grazie al Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale.
Roma, 15 giugno 2022 – Il Museo dell’Arte Salvata avrà sede a Roma, all’interno del Museo Nazionale Romano, nell’Aula Ottagona – più comunemente nota come Planetario – delle Terme di Diocleziano.
Il Museo – la cui costituzione è stata annunciata dal Ministro della cultura Dario Franceschini poche settimane fa, dopo l’ennesimo successo del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC) – sarà un luogo dove raccontare stabilmente il salvataggio dell’arte nelle sue diverse forme.
Fatto salvo il principio che ogni opera debba tornare al suo territorio di provenienza, il Museo dell’Arte Salvata vuole essere un luogo dove questi beni potranno transitare ed essere esposti al pubblico per un periodo di tempo delimitato: opere d’arte trafugate, disperse, vendute o esportate illegalmente e poi, finalmente, riportate a casa, per ricucire quel tassello rubato alla storia e al patrimonio nazionale.
Le restituzioni dovute alla diplomazia culturale o a seguito delle indagini del Comando Carabinieri TPC e del lavoro dei Caschi blu della cultura, il ritrovamento tra le macerie dei terremoti e in seguito agli interventi in caso di calamità naturali e conflitti, i salvataggi grazie ai grandi restauri, senza contare i recuperi fortuiti di antichità o dovuti agli scavi di emergenza per lavori pubblici e privati, i capolavori restaurati dall’Istituto Centrale per il Restauro (ICR): tutte queste opere d’arte troveranno nel Museo dell’Arte Salvata un approdo per un periodo durante il quale saranno esposte al pubblico prima di essere ricollocate nei musei di appartenenza.
“Opere d’arte trafugate, reperti archeologici dispersi, venduti o esportati illegalmente: si tratta di una perdita significativa per il patrimonio culturale di un paese, espressione della sua memoria storica e dei valori collettivi, nonché dell’identità di un popolo” – dichiara Dario Franceschini, Ministro della Cultura. “Tutelare e valorizzare queste ricchezze – prosegue – è un dovere istituzionale, ma anche un impegno morale: è necessario assumersi questa responsabilità nei confronti delle generazioni future, affinché possano conservare, con queste testimonianze, quel valore identitario che permette di riconoscersi in una storia culturale comune”.
“Tra le centinaia di opere che il Reparto Operativo TPC ha riportato dagli Stati Uniti nel 2021, spicca una serie di ceramiche e di terrecotte votive e architettoniche provenienti da diverse culture dell’Italia centrale e meridionale preromana. La prima mostra presentata al Museo dell’Arte Salvata, nell’Aula Ottagona delle Terme di Diocleziano, è dedicata a una selezione di questi materiali di grande rilievo e costituisce la prima tappa di un percorso di ricerca e valorizzazione – chiosa Massimo Osanna, Direttore generale Musei – che riporterà, dopo la mostra, le opere nei territori di provenienza”.
“Siamo lieti di accogliere, in seno al Museo Nazionale Romano, il Museo dell’Arte Salvata che nasce per volontà del ministro Dario Franceschini e con l’impegno congiunto della Direzione generale Musei. Siamo entusiasti pure di questa prima esposizione che si è potuta realizzare grazie al Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale e del loro operato fondamentale per il Paese e soprattutto per le opere d’arte. Auspico che il nuovo Museo accolga grandi progetti di mostre, fungendo da una parte da “porto sicuro”, per quelle opere che da qui ripartiranno per una collocazione definitiva, lontano da tutto ciò che può arrecar loro danno; dall’altra da “setaccio”, a separare per poi ricollocare al giusto posto, le stesse che saranno sottoposte a indagini per verificarne il grado di autenticità e provenienza: tutto questo per coglierne appieno l’importanza archeologica, storica e artistica dei tesori ritrovati ed esposti per la prima volta al pubblico al Museo Nazionale Romano, nel Museo dell’Arte Salvata” – aggiunge Stéphane Verger, Direttore del Museo Nazionale Romano.
“Proteggere il patrimonio culturale è la missione che ci è stata affidata, e ad essa per nulla al mondo vorremmo sottrarci. È una difesa necessaria oggi, come lo è stata in ogni tempo.
La tutela del patrimonio, rimessa all’articolo 9 della Costituzione, nella storia d’Italia ha avuto i più vari paladini. Ha coinvolto sovrani, pontefici e intellettuali. Dal 1969 il Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale è fra i tenaci custodi delle nostre opere. Ammontano a più di tre milioni i beni riguadagnati e ciò che appare in questa esposizione è solo una parte del “bottino” rientrato con uno degli ultimi recuperi” – afferma Roberto Riccardi, Generale di Brigata, Comandante Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale.
L’allestimento del nuovo Museo, composto da teche e pannelli modulabili a seconda delle necessità delle opere, permetterà ogni volta di cambiare la disposizione all’interno dell’Aula che diventerà uno spazio espositivo ad hoc per accogliere sempre nuovi tesori rendendoli fruibili dal grande pubblico.
L’incessante recupero di opere d’arte permetterà un turnover regolare: mentre i pezzi esposti saranno collocati nei musei di pertinenza, nuove opere recuperate saranno esposte al fine di rendere continuo l’aggiornamento sul magistrale lavoro di recupero costantemente in corso.
LA PRIMA ESPOSIZIONE
Museo dell’Arte Salvata
In occasione dell’apertura al pubblico del Museo, saranno esposti i recenti ritrovamenti frutto delle attività di contrasto al traffico illecito di beni culturali svolta dal Reparto Operativo TPC, sempre sulle tracce dell’arte.
L’esposizione si fonda sugli oggetti che il Reparto Operativo TPC ha fatto rientrare dagli Stati Uniti d’America in un arco temporale compreso fra il dicembre 2021 e la scorsa settimana: un corpus imponente di opere con numerosi pezzi di archeologia di varie civiltà.
Sono reperti che risalgono a diverse attività investigative condotte dai “Carabinieri dell’Arte” in collaborazione con le Autorità statunitensi, sequestrati presso direzioni museali, case d’asta e collezioni private in varie località d’oltreoceano. Avevano sopportato la consueta trafila dei traffici illeciti di settore: scavi clandestini, ricettazione, esportazione illecita. La restituzione all’Italia è avvenuta il 15 dicembre 2021 presso il Consolato generale di New York, ove alcuni pezzi sono rimasti in mostra per qualche mese.
Le opere, al termine dell’esposizione temporanea, grazie al coordinamento con la Direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio e al direttore generale dei musei dello Stato Massimo Osanna, saranno collocate tra il Museo Archeologico Nazionale di Taranto, il Museo Nazionale Archeologico Cerite all’interno del Parco archeologico di Cerveteri e Tarquinia e lo stesso Museo Nazionale Romano.
Tra le opere esposte spiccano i reperti più antichi che risalgono all’epoca orientalizzante (VII sec. a.C.): provengono per lo più dall’Etruria meridionale ma anche dal Lazio, come la Giara (pithos) in ceramica d’impasto rosso sovra-dipinto in bianco (“white on red”) di produzione etrusca (Cerveteri) con scena mitologica dell’accecamento di Polifemo e animali (cavalli, felini) del terzo quarto del VII sec. a.C. (il coperchio è di pertinenza dubbia, vetrina 1) e il Cratere cerimoniale con quattro anse sormontate da coppette in ceramica d’impasto rosso sovra-dipinto in bianco (“white on red”) di produzione nord laziale (Crustumerium) con uccelli acquatici (VII sec. a.C., vetrina 10B).
Alla seconda metà dal VI sec. a.C. risalgono le anfore con scene figurate: alcune sono attiche e illustrano l’evoluzione stilistica di questo periodo, altre sono etrusche e coprono lo stesso arco cronologico come l’Anforetta etrusca a figure nere con guerrieri affrontati sulla pancia e occhioni sulla spalla (fine del VI sec. a.C., vetrina 4).
Le necropoli etrusche hanno restituito un’enorme quantità di ceramiche del VI e del V sec. a.C. Forse provengono proprio dall’Etruria gli esemplari recuperati dal Comando TPC negli Stati Uniti, anche se le origini precise sono sconosciute, come per l’opera esposta Coppa (kylix) attica a figure rosse con Dioniso (all’interno) e satiri con menadi (all’esterno) di inizio V sec. a.C. (vetrina 5)
Tra la seconda metà del V e la prima metà del IV sec. a.C. si sviluppano in Magna Grecia delle produzioni a vernice nera e figure rosse: in mostra il Cratere a forma di calderone (lebes) con scena di banchetto (symposion) con il gioco del kottabos (verso la metà del IV sec. a.C., vetrina 6) e il Piatto con due anse a figure rosse sovra-dipinte con maschera centrale sovra-dipinta e scena di guerra tra Greci e Amazzone (amazzonomachia) della seconda metà del IV sec. a.C. (vetrina 7), entrambi di produzione apula.
Da una grande stipe votiva, in un santuario non identificato dell’Etruria meridionale o del Lazio, proviene la Testa votiva in terracotta di produzione etrusco-laziale del IV sec. a.C., sulla quale si osservano alcune tracce di policromia che fanno rivivere i volti antichi (vetrina 10A).
Gli oggetti saranno in mostra a partire dal 16 giugno fino al 15 ottobre 2022 e per l’occasione il Museo sarà aperto al pubblico dal martedì alla domenica, dalle ore 11 alle 18.
MUSEO DELL’ARTE SALVATA, ISOLA DI CULTURA
L’edificio, situato nell’angolo occidentale delle Terme, presenta una pianta quadrata all’esterno e ottagonale all’interno. La copertura, una cupola con otto costolature, era in origine decorata da marmi e stucchi. La sua ubicazione e l’assenza di sistemi di riscaldamento ha fatto supporre che fungesse da frigidarium minore. L’Aula ha avuto diverse funzioni dal 1878 e con l’apertura di Via Cernaia fu isolata dal resto del complesso della Terme di Diocleziano.
Nel 1983 in occasione della ristrutturazione del Museo Nazionale Romano, l’architetto Giovanni Bulian ha iniziato un progetto di trasformazione di alcuni spazi dell’intero complesso, compresa l’Aula Ottagona. Una parte importante del piano di Bulian all’epoca non fu realizzata: prevedeva l’unione dell’Aula al complesso delle Terme, con l’eliminazione del primo tratto di Via Cernaia, per permettere la rilettura delle antiche strutture diocleziane.
L’apertura al pubblico del Museo dell’Arte Salvata è il primo passo per la realizzazione di un progetto più ampio che prevede l’attuazione del disegno di Bulian e ha come progetto finale la nascita di un’isola della cultura nel centro di Roma.
Orari
Dal martedì alla domenica 11.00 – 18.00
Lunedì chiuso.
La biglietteria chiude un’ora prima.
L’esposizione
Dal 16 giugno al 15 ottobre 2022
Sarà ad accesso gratuito per i possessori del biglietto d’ingresso alle Terme di Diocleziano o del biglietto combinato per l’accesso a tutte le sedi, acquistabile on-line oppure presso le biglietterie.
L’accesso gratuito è garantito ai possessori della MNR Card.
Biglietto d’ingresso delle Terme di Diocleziano
Intero € 8 (+2 € di prevendita in caso di acquisto on line)
Ridotto € 2 (+2 euro di prevendita in caso di acquisto on line)
Biglietto combinato per l’accesso a tutte le sedi del Museo Nazionale Romano
Permette l’ingresso una volta in ciascuna delle sedi e due volte nella sede di Palazzo Massimo e sarà valido una settimana dal giorno dell’acquisto.
Intero € 12 (+2 euro di prevendita in caso di acquisto on line)
Ridotto € 8 (+2 euro di prevendita in caso di acquisto on line)
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STORIA INVESTIGATIVA
Museo dell’Arte Salvata
Nella sala del Planetario delle Terme di Diocleziano del Museo Nazionale Romano, da oggi ribattezzata “MUSEO DELL’ARTE SALVATA”, i Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale (TPC), al termine di diverse attività investigative coordinate dalla Procura della Repubblica di Roma, restituiscono all’identità culturale nazionale, a titolo definitivo, numerosi reperti archeologici provenienti da scavi clandestini perpetrati in varie aree archeologiche italiane, di epoca compresa tra VIII secolo a.C. e III secolo d.C., rimpatriati prevalentemente dagli Stati Uniti d’America.
A seguito di accertamenti fotografici, eseguiti nelle collezioni di antichità di istituzioni museali, collezionisti privati, case d’asta e gallerie antiquarie statunitensi, i Carabinieri del Comando TPC hanno accertato la presenza di numerosi beni provento di scavi clandestini, ricettazione e illecita esportazione, relativi a vari procedimenti penali istruiti dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, trafugati da persone abitualmente dedite ai traffici illeciti di beni culturali. Le indagini dei Carabinieri dell’arte hanno permesso di contrastare il mercato nero dei reperti archeologici.
Grazie alla loro individuazione presso gli archivi fotografici confiscati in Svizzera a un importante dealer di origini italiane operante a Basilea, a un dealer italo-americano operante a New York e a un restauratore di Zurigo, i beni rinvenuti, provenienti da differenti contesti archeologici italiani, erano stati immessi nel commercio attraverso transazioni effettuate seguendo precisi itinerari, corredati da documentazione fittizia tesa ad attestarne la legittimità, così da poterli ripulire sul mercato antiquario svizzero e inglese, per poi riversarli dove maggiore era la domanda.
Dei reperti individuati, di eccezionale qualità e rilevanza, non vi era però traccia in alcuna pubblicazione di scavi autorizzati che ne narrasse il ritrovamento. Essi non erano noti al mondo accademico e scientifico fino alla data della loro comparsa nelle collezioni di istituzioni museali, facoltosi collezionisti privati, gallerie antiquarie e rinomate case d’asta.
Le prove documentali e fotografiche in possesso dei Carabinieri del TPC hanno permesso di provare che i reperti ricettati fossero provento di scavi archeologici clandestini operati in Italia e portati all’estero senza le previste autorizzazioni del Ministero della Cultura. I beni archeologici, ovunque rinvenuti, appartengono all’Italia fin dal 1909, anno di entrata in vigore della prima legge di tutela dello Stato unitario.
Il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, per contrastare lo scavo clandestino e il traffico internazionale di reperti archeologici, esegue un costante monitoraggio dei beni posti in vendita in mercati, esercizi commerciali e case d’asta in Italia e all’estero. Tali controlli hanno consentito di verificare nei primi anni ’90 che numerosissimi reperti, di chiara provenienza italiana, venivano venduti senza indicazioni sulla loro legittima provenienza.
Una prima rogatoria internazionale, richiesta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma ed eseguita a Londra, ha permesso di constatare che uno snodo importante del mercato archeologico, in quegli anni, era il Porto Franco di Ginevra, attraverso società commerciali anonime lì allocate.
Nel 1995 un controllo incrociato, effettuato unitamente alla polizia svizzera nei magazzini del porto franco, ha portato a individuare una società che deteneva numerosi reperti archeologici, esposti come in un vero e proprio atelier di antichità.
Sono stati sequestrati migliaia di reperti di varie tipologie ed epoche: manufatti etruschi, magnogreci e romani, unitamente a una copiosa documentazione fotografica. L’entità della documentazione ha messo in evidenza la vastità del commercio svolto dalla società, che si è scoperta essere di proprietà di un
cittadino italiano, conosciuto agli operatori del settore come un importante trafficante, ma fino a quel momento sfuggito alle indagini svolte nel settore.
Le stesse fotografie ritraevano reperti inediti, ancora sporchi di terra e con evidenti incrostazioni, tali da ricondurli a recentissimi scavi clandestini effettuati in diverse aree archeologiche della Penisola.
A seguito delle investigazioni dei Carabinieri è scaturita una vicenda giudiziaria da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma che ha individuato precise responsabilità a carico dei vari membri dell’organizzazione a delinquere.
I responsabili di importanti istituzioni museali americane, nell’ottica di un codice deontologico per le nuove acquisizioni, hanno intrapreso contatti con il Ministero della ultura e gli stessi Carabinieri, allo scopo di verificare la lecita provenienza dei beni in possesso nelle loro collezioni. In quest’ottica sono state studiate le modalità per le successive acquisizioni di reperti archeologici, basate anche su uno scambio di informazioni.
Il Metropolitan Museum of New York ha concluso per primo i negoziati, intrapresi con una commissione appositamente creata, incaricata di raccogliere gli elementi probatori che i Carabinieri del TPC avevano già trasmesso all’Autorità Giudiziaria, decidendo spontaneamente di trasferire in Italia il famoso vaso di Eufronio, rinvenuto clandestinamente a Cerveteri. A seguire tale strada è stato poi il Fine Arts Museum di Boston, che ha restituito la prestigiosa statua in marmo di Vibia Sabina, moglie dell’imperatore Adriano, e numerosi altri beni archeologici di grande rilevanza, che erano stati individuati tra le fotografie sequestrate al Porto Franco di Ginevra.
Altre importanti istituzioni museali statunitensi, quali il J. Paul Getty Museum of Malibù, il Princeton University Art Museum, il Cleveland Museum, il Toledo Fine Art, hanno concluso i rispettivi negoziati restituendo all’Italia, negli anni successivi, mirabili reperti archeologici, tra cui vale menzionare il Trapezophoros di Ascoli Satriano, con il relativo corredo cerimoniale in marmo policromo.
Queste opere sono state esposte per la prima volta in Italia nel 2007 presso il Palazzo del Quirinale, per celebrarne il ritorno, in una mostra denominata proprio “Nostoi”.
Ancora, di recente dal Getty Museum è stato recuperato l’imponente Pithos ceretano, che raffigura la narrazione omerica dell’accecamento di Polifemo da parte di Ulisse, opera etrusca del VII sec. a.C., che campeggia nella mostra unitamente ad altri pithoi individuati in altri musei americani.
Anche alcuni antiquari e collezionisti esteri, uniformandosi alle procedure adottate dai musei americani e alla nuova etica che, a seguito delle restituzioni, si era diffusa nel mondo, hanno restituito beni archeologici riconducibili alla documentazione sequestrata in Svizzera, e altri oggetti trafugati dall’Italia. A conclusione della vicenda giudiziaria, iniziata a Ginevra nel 1995, è stato possibile acquisire al patrimonio dello Stato ulteriori importantissimi reperti, in parte qui esposti.
Altra indagine che ha consentito l’esposizione odierna è la cosiddetta “Operazione Teseo”, con un ingente sequestro a Basilea. Tra i reperti recuperati spiccano moltissimi oggetti di assoluta rarità: anfore, crateri, oinochoe, kantharos, trozzelle, vasi plastici, statue votive, marmi e bronzi, per un valore complessivo che supera i 50 milioni di euro.
La genesi investigativa dell’operazione Teseo va individuata in una rogatoria internazionale rivolta dalla Procura della Repubblica di Roma all’Autorità Giudiziaria di Basilea, nel solco della costante azione che il Comando TPC svolge nel contrasto al traffico internazionale di reperti archeologici scavati illegalmente nei siti italiani.
L’indagine ebbe inizio a margine del recupero del famoso vaso di Assteas dal Getty Museum di Malibù (USA). In particolare, i Carabinieri evidenziarono la figura di un intermediario italiano operante in Svizzera, che aveva curato la vendita del vaso al museo californiano. Il suo nome era già noto agli investigatori in quanto presente in una mappatura criminale (con indicazione della catena delle attività illecite, dai tombaroli ai mercanti internazionali) sequestrata dai Carabinieri a un ricettatore campano, elemento di primo piano nel panorama mondiale dei traffici illeciti d’arte, specie di reperti scavati clandestinamente nel sud Italia. L’impero commerciale creato dal mercante con i guadagni di tali illecite compravendite, con base in Svizzera e un radicamento nel Sud Italia, venne passato al setaccio dal personale del TPC con la collaborazione delle Polizie di Ginevra e Basilea.
Gli approfondimenti investigativi svelarono l’esistenza di società, in Italia e all’estero, a lui ricollegabili e create allo scopo di eludere i controlli doganali e degli uffici esportazione.
In questo contesto la prima richiesta di rogatoria internazionale, promossa dalla Procura della Repubblica di Roma, fu il risultato di una manovra investigativa svolta dai Carabinieri del TPC attraverso attività tecniche, controlli patrimoniali e numerosi servizi di pedinamento.
Attraverso l’esame dei dati investigativi acquisiti, si individuarono a Basilea alcuni magazzini riconducibili al trafficante e alla moglie, socia in affari.
All’atto della perquisizione, i Carabinieri del TPC trovarono cinque magazzini pieni di reperti, sprovvisti di documentazione giustificativa e di chiara provenienza da aree archeologiche italiane, oltre a decine di faldoni contenenti carte, appunti e fotografie. Tutto il materiale venne sequestrato e posto a disposizione delle autorità giudiziarie, con conseguente arresto della donna da parte della polizia svizzera. In seguito i Carabinieri del TPC eseguirono il fermo a carico del trafficante presso l’aeroporto di Milano-Linate, mentre cercava di fuggire dall’Italia.
Le indagini in campo internazionale hanno evidenziato l’opera di ricettazione, soprattutto attraverso la Svizzera, di una vastissima mole di oggetti archeologici. Il meccanismo, all’epoca consolidato, prevedeva una prima fase di restauro dei reperti e la successiva creazione di false attestazioni sulla provenienza, resa possibile anche attraverso l’artificiosa attribuzione della proprietà a società collegate.
I reperti venivano venduti in Inghilterra, Germania, Stati Uniti, Giappone e Australia, con intermediazioni e triangolazioni effettuate per rendere credibile e apparentemente legale la compravendita, oppure facendoli confluire in collezioni private costruite per simulare una detenzione regolare, prima della vendita a grandi musei. Utilizzando analisi scientifiche eseguite da esperti del settore, era stato creato un sistema per certificare i reperti tanto abile da ingannare anche i principali responsabili di enti museali internazionali.
La fiducia sull’autenticità dei reperti era tale da provocare situazioni di grande imbarazzo. Come nel caso del Kouros, acquistato nel 1985 per 9 milioni di dollari dal Getty Museum di Malibù (Los Angeles) e poi sospettato essere un clamoroso falso, scoperto per un banale errore nel creare la falsa documentazione di vendita: l’indicazione di un codice postale greco inesistente all’epoca dell’emissione dell’atto. Attualmente l’opera è esposta con l’indicazione “Greek, about 530 B.C., or modern forgery”.
Attraverso le evidenze investigative e i riscontri dei consulenti tecnici nominati dall’Autorità Giudiziaria tra i funzionari delle Soprintendenze Archeologiche del Ministero della cultura è stata provata l’origine illecita dei reperti.
Importantissima è stata la confisca dei faldoni composti da appunti vergati a mano, bolle di trasporto, foto eseguite prima e dopo il restauro, proposte di vendita con indicazioni dettagliate dei prezzi di realizzo, false expertise, ecc.: una vera miniera di informazioni che viene tuttora sfruttata dagli investigatori.
L’attività del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale e l’attenzione del Ministero della cultura hanno contribuito ad arginare l’attività di scavo clandestino, sensibilizzando l’opinione pubblica nei riguardi del proprio patrimonio artistico, che costituisce la storia e l’anima di una Nazione.
Sulla scorta delle indagini condotte, sono stati intrapresi dal Ministero e dall’Avvocatura Generale dello Stato veri e propri negoziati di carattere culturale, sfociati in accordi di cooperazione a lungo termine, al fine di intensificare e promuovere lo scambio interculturale tra gli Stati Uniti e l’Italia. Non è la prima volta che le istituzioni americane restituiscono reperti trafugati dalla nostra penisola al termine di una lunga negoziazione con le nostre autorità e grazie al suddetto lavoro investigativo.
Tra gli accordi, si evidenzia quello siglato il 22 ottobre 2013 con il Dallas Museum of Art (U.S.A.), che ha previsto la restituzione di sette beni archeologici provenienti da vari siti italiani, da rimpatriare definitivamente dopo 8 anni, come previsto dalla legge per la concessione dei prestiti (4 anni rinnovabili). Tra questi beni si evidenziano due scudi etruschi in bronzo Acheloos del VI secolo a.C., due grandi crateri apuli a figure rosse tra cui si evidenzia l’opera del Gruppo del pittore della Metopa, e un’antefissa etrusca. Inoltre l’intesa ha previsto il prestito di alcuni reperti provenienti da una tomba della necropoli di Spina, conservati nel museo Archeologico Nazionale di Ferrara.
Più recentemente, è risultata fondamentale la stretta collaborazione consolidatasi tra il personale addetto alla Cooperazione Internazionale del Comando TPC e il Colonnello Matthew Bogdanos, responsabile dell’unità che contrasta i traffici illeciti di antichità per l’ufficio del procuratore distrettuale di New York. La condivisione delle informazioni ha facilitato le investigazioni negli Stati Uniti, portando al sequestro di tutti i beni qui esposti, poiché risultati provento di scavi clandestini operati nel territorio nazionale e di importazione illecita in quel Paese. Dopo una prima esposizione di una parte della refurtiva presso il Consolato generale d’Italia a New York, in occasione di una conferenza stampa congiunta con il Procuratore Distrettuale di New York, i beni archeologici sono stati rimpatriati il 20 dicembre 2021 a cura dei Carabinieri dell’arte.
Tra i beni rientrati figurano anche oggetti che sono risultati provento di furto in pregiudizio di istituzioni nazionali, tra i quali figurano il bronzetto di offerente asportato dal Museo Archeologico di Siena l’11 novembre 1988 e recuperato presso una società antiquaria di New York; i vasi asportati dall’Abbazia delle Tre Fontane di Roma in data 18 dicembre 1985 e recuperati presso il museo di una Università di New York; le teste in marmo provento della rapina a mano armata avvenuta il 18 novembre 1985 ai danni dell’Antiquarium dell’anfiteatro di Santa Maria Capua Vetere.
Degne di nota sono le monete decadrammi di Agrigento e Catania, oggetto di scavo clandestino ed esportazione illecita, che avrebbero raggiunto sul mercato di settore cifre di oltre un milione di dollari; i vasi di Crustumerium, commercializzati in vari musei americani prima della scoperta dell’antica città preesistente alla fondazione di Roma e ubicata sulla via Salaria; una serie di antefisse etrusche della stessa tipologia che campeggiavano su un tempio violato dai tombaroli e di cui non sapremo mai l’ubicazione.
Dalla rassegna dei reperti esposti si percepisce quanto sia stato vasto e sistematico il saccheggio di siti archeologici in tutta la penisola, dalle produzioni falische a quelle di Egnatia, dall’Etruria al basso Latium, spesso per un mero gusto collezionistico, con l’effetto di cancellare per sempre i dati scientifici d’interesse. Non sapremo mai quali e quante tombe siano state violate, quali e quanti contesti funerari o templari, ovvero antichi insediamenti urbani, siano stati scoperti, e questo costituisce un vulnus irreparabile anche per le generazioni future.
Tutti i beni rimpatriati, a eccezione di quelli di provenienza furtiva, sono stati consegnati al Museo Nazionale Romano perché la Direzione Generale archeologia, belle arti e paesaggio del Ministero della cultura possa sottoporli a studi scientifici, al fine di contestualizzarli e restituirli ai territori di provenienza, cercando di riparare o almeno limitare quel danno.
L’azione di recupero prosegue, con il sequestro e il rimpatrio di oggetti localizzati all’estero, ovvero individuati attraverso i controlli effettuati presso la Banca Dati delle opere illecitamente sottratte. Di recente sono state individuati reperti italiani in vendita presso note case d’asta newyorchesi per i quali, analizzando i dati presenti nella citata documentazione e grazie alle investigazioni svolte in collaborazione con i colleghi americani, è stata dimostrata la provenienza da scavo clandestino e sono stati ottenuti il sequestro e la confisca in favore dello Stato italiano.
Attraverso l’enorme patrimonio informativo acquisito dai Carabinieri dell’Arte, mediante le sue complesse investigazioni, saranno intraprese ulteriori azioni per rivendicare oggetti d’arte appartenenti al patrimonio culturale italiano individuati all’estero. Ciò sarà possibile anche grazie all’attività del Comitato per il Recupero e la Restituzione dei Beni Culturali istituito dal Ministro competente, On. Dario Franceschini, del quale fa parte anche il Comando TPC.
“Non amare l’arte, in Italia, equivale a un delitto: è la premessa per lasciarla distruggere. Non difendere l’arte, se sei italiano, è voltare le spalle alla tua storia, disonorare tuo padre e tua madre”.
Testi, video e foto dagli Uffici Stampa Museo dell’Arte Salvata, Museo Nazionale Romano e Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale.