Il finlandese Antti Tuuri (Kauhava, 1944) è senza ombra di dubbio uno dei più grandi intellettuali e romanzieri del suo paese: il suo curriculum letterario è tale richiedere l’attenzione di numerosi studiosi e non solo dei “semplici” appassionati. È autore di romanzi tradotti in venti lingue, racconti, sceneggiature e notevoli curatele-traduzioni del repertorio mitico-eroico delle saghe islandesi, nonché vincitore del premio Finlandia (1997). Dal libro che oggi presentiamo, La via eterna (2019, in Finlandia Ikitie, 2011), è tratto anche il film The Eternal Road (2017) diretto da Antti-Jussi Annila, proiettato in Italia il 6 maggio 2018 presso la Casa del Cinema di Villa Borghese, durante il Nordic Film Fest.
Questo romanzo è una delle opere che più mi ha messo in difficoltà, per quanto riguarda l’ambientazione storica e il setting culturale di riferimento, nonostante la mia passione per gli ambienti finnici e slavi: ho dovuto documentarmi nel corso della lettura, per non lasciare niente in sospeso e per essere perfettamente in sintonia con lo scritto di Antti Tuuri. Questa operazione non è obbligatoria, ma credo sia consigliabile a coloro che intendono carpire tutte le connotazioni culturali del romanzo La via eterna: mi sono perciò avvalso della consultazione di diversi portali online e alcuni saggi di storia contemporanea.
Il risultato è stato di scoprire una storia che in Italia viene bellamente ignorata, forse per concentrare l’attenzione sui moti politico-bellici italiani o delle altre grandi entità nazionali degli anni ’30; la Finlandia così come la Repubblica di Carelia non rivestono un ruolo di primo grado (forse nemmeno di secondo) all’interno dei testi divulgativi e scolastici. A ben ragione è giustificato il mio iniziale spaesamento.
In ogni caso, nonostante l’iniziale disorientamento, il nostro autore ha un’arma affilatissima per raccontare la sua storia e per accompagnarci nei segreti di quel tempo, ovvero la prosa. La prosa di Antti Tuuri è arida, povera di figure retoriche e di qualsivoglia abbellimento; la scrittura asciutta, educata, sobria, a volte minimale ci narra limpidamente, senza edulcorazioni morfosintattiche e retoriche, il dramma dei finlandesi “comunisti-socialisti” strappati dalla regione Ostrobotnia (e non solo) e costretti con la coercizione del Movimento fascista di Lapua a un’emigrazione coatta nella Carelia Sovietica o Repubblica Socialista Sovietica Autonoma di Carelia (istituita nel 1923).
La Carelia è una regione storicamente importante per la Finlandia, la Russia e la Svezia ed oggi è spartita tra Finlandia e Russia, rispettivamente in Carelia settentrionale e meridionale (finlandesi) e Repubblica Autonoma di Carelia. In Russia ci sono ventidue repubbliche federali su ottantacinque, tra cui ovviamente la Carelia: queste repubbliche – a differenza delle altre cellule statali – hanno la facoltà di stilare una costituzione propria e di avere una lingua ufficiale differente dal russo, in questo caso il finlandese-careliano e un’altra lingua baltofinnica, il vepso.
Come vedete, si tratta una situazione geo-politicamente che appare complessa già di primo acchito, e anche sul piano storico possiamo incontrare delle complessità: nel 1930 il Movimento di Lapua (nato a Lapua un anno prima), intraprese una massiccia campagna di espulsione contro coloro che etichettavano come socialisti e comunisti, per “spurgare” la Finlandia dalla loro nociva presenza.
Questo movimento di estrema destra nacque dall’esperienza della Guardie Bianche (milizia anti-bolscevica) e propagandò il nazionalismo anti-comunista in tutta la nazione, ma questo fascismo corporizzato non riuscì mai a prendere le redini del governo finlandese (cfr. ribellione fallita di Mäntsälä), nonostante la sua pesante influenza in tutto il territorio. Parallelamente Stalin invocò l’aiuto dei lavoratori di tutto il mondo per creare il paradiso (utopico) socialista per eccellenza, situato proprio nella Carelia slavo-comunista.
A questo appello risposero anche tantissimi finlandesi che negli anni ’10 e ’20 emigrarono in America e in Canada, alla ricerca speranzosa di migliori condizioni di vita, ma in seguito alla Grande Depressione del ’29 abbandonarono l’utopia capitalista per abbracciare quella socialista – propugnata da Stalin – ritornando così in Finlandia o emigrando in Carelia.
Sulla scorta di queste migrazioni c’è il nostro protagonista Jussi Ketola, che però non abbraccia l’ideale staliniano spontaneamente, ma viene brutalmente percosso, rapito e costretto a lasciare il suo paese dai fascisti lappisti. La brutalità di queste azioni viene descritta da Tuuri placidamente e con un distacco incredibile, non per vuota empatia del narratore, bensì perché si è preferito far parlare la “Storia” e gli eventi stessi, senza il filtro del pathos e delle figure retoriche dello storytelling.
Il protagonista Jussi è costretto ad abbandonare la sua terra, la sua moglie Sofia in Ostrobotnia e a crearsi una nuova identità. In Finlandia lo danno tutti per morto. Nel paradiso dei lavoratori finno-careliani, nel kolchoz, Jussi cerca lentamente di rinascere, ormai ferito sia nel corpo che nell’animo. È una transizione lenta, dolorosa, a volte imposta dall’alto perché il lavoratore socialista non può permettersi di essere debole e un peso per i suoi compagni.
Il dramma raccontato di Tuuri è una tragedia nascosta a molti di noi, ignari delle pesantissime vessazioni del movimento lappista ai danni di puri innocenti. Jussi non si limita a lavorare, ma parla e inizia a pensare come un idealista staliniano, ma è sotto l’occhio vigile della polizia segreta sovietica, la quale gli obbliga anche di tenere sotto controllo i suoi compagni finlandesi.
La via eterna è una strada che unisce questi due mondi, in bilico tra la barbarie dei fanatismi e delle utopie-distopie fascio-communiste, un ritratto chiaroscurale sull’orrida realtà politica dei tempi e che non si risparmia in critiche e denunce su entrambi i fronti. Perché Jussi, nonostante abbia coltivato una nuova esistenza, è costretto ad essere tra l’incudine delle purghe staliniane e il martello del sensazionalismo xenofobo dei russi, che odiano le sanguisughe finlandesi.
E nel cuore dell’uomo c’è solo spazio per un piccolo bisogno, non il partito, non il lavoro, non il denaro o la gloria della nazione; soltanto la voglia di rivedere la sua terra.
La via eterna è un meraviglioso e cristallino arazzo che racconta una storia persa nella memoria dei macro-eventi storici. Una coraggiosa e riuscitissima pubblicazione da parti di Vocifuoriscena Edizioni, nella collana Lapis, tradotta e curata dall’ugrofinnista Marcello Ganassini.
Il libro recensito è stato cortesemente fornito dalla casa editrice.