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Agli Uffizi il dipinto La strega di Salvator Rosa

ARRIVA AGLI UFFIZI UN CAPOLAVORO ESOTERICO DEL SEICENTO: LA STREGA DEL PITTORE ‘MALEDETTO’ SALVATOR ROSA

Rosa, tra i maestri più originali e influenti del suo tempo e non solo, fu uno dei primi esempi di “artista tormentato”: disprezzava i mecenati, a Roma si inimicò il potente Bernini e amava raffigurare soggetti magici e legati all’occulto. L’imponente tela, appena comprata dal museo per 450mila euro, diverrà presto protagonista in Galleria nelle sale della pittura del XVII Secolo. 

Il direttore Verde: “acquisizione iconica, arricchisce e completa il nucleo collezionistico barocco, riportando in Italia un dipinto altrimenti destinato all’esilio perché non vincolato e da molti anni all’estero”

Salvator Rosa (Napoli, 22 luglio 1615 – Roma, 15 marzo 1673), La Strega (1647 – 1650 circa), olio su tela 212 x 147 cm

Un sulfureo capolavoro dell’arte esoterica, La Strega del tormentato e originale pittore seicentesco Salvator Rosa, entra a far parte della collezione degli Uffizi; presto sarà accolta in Galleria, nelle sale dei maestri del XVII Secolo, ma intanto, subito dopo le feste natalizie, avrà un suo momento espositivo speciale, nella Sala Bianca di Palazzo Pitti.

Al centro dell’imponente dipinto, la maga malvagia compare inginocchiata; il suo corpo è sgraziato, cadente e il pittore vi infierisce quasi ossessivamente, accentuandone i segni del tempo e mescolando i tratti femminili con caratteristiche più androgine. Il viso è stravolto: la vecchia sbarra gli occhi pieni di rabbia, impreca e brandisce un ramo in fiamme nella mano sinistra, ostentando nell’altra un contenitore di forma sferica dal quale spunta una figura diabolica, simbolo delle forze infernali evocate con i suoi malefici. Sparsi in terra, vari oggetti, ciascuno dei quali ha un oscuro significato nel contesto del macabro evento: una brocca di vetro, delle monete, uno specchio, pezzi di ossa, un teschio e, in primo piano, squillante sul fondo bruno, un foglio bianco recante simboli esoterici insieme all’inconfondibile monogramma dell’autore: ‘SR’. Il dettaglio più sinistro e raccapricciante della composizione è però il bambino avvolto in un panno, nella penombra in secondo piano, alle spalle della fattucchiera. Si tratta di un bimbo morto, in riferimento alla leggenda secondo la quale le streghe utilizzavano il sangue infantile per preparare le loro pozioni magiche.

Il soggetto stregonesco ricorre nella produzione di Salvator Rosa e appartiene tipicamente agli anni del soggiorno fiorentino, nei quali va collocata cronologicamente anche questa tela. Dal 1640 infatti, Rosa era stipendiato dal cardinale Giovan Carlo de’ Medici e lo fu fino al 1648. Proprio la frequentazione della corte medicea, dell’ambiente raffinatissimo delle accademie e degli eruditi fiorentini, fortemente interessati ai temi esoterici, filosofici, ermetici e applicati allo studio dei testi filosofici antichi (come il Corpus Hermeticum, giunto a Firenze fin dalla seconda metà del XV secolo, tradotto da Marsilio Ficino e pubblicato in prima stampa nel 1470), contribuirono in modo decisivo a orientare le scelte di Rosa verso le rappresentazioni di carattere negromantico di questo periodo, come le Streghe e gli incantesimi (oggi alla National Gallery di Londra), la Strega dei Musei Capitolini (colta in atteggiamento meditativo, contrariamente a quella degli Uffizi), la Menzogna e le Tentazioni di Sant’Antonio, entrambe accolte nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti. Con questi dipinti, la Strega condivide la pittura densa e macchiata e l’insistenza sul dettaglio grottesco, forzato fino all’inverosimile e alla deformazione. Nella scelta iconografica, Rosa richiama la tradizione dei pittori nordici di Cinque e Seicento, da Dürer a Baldung Grien a Jacques de Gheyn. Al tema della magia il pittore dedicò poi anche alcuni componimenti letterari, tra i quali un’ode intitolata proprio La Strega (1646), incentrata sul tema della maledizione lanciata da una strega contro un uomo che non ha ricambiato il suo amore, testo che peraltro contiene non pochi elementi in comune con il dipinto appena comprato dal museo fiorentino. Circa 450mila euro la somma pagata dal museo, il cui comitato scientifico ha dato parere favorevole all’acquisto; l’opera si trovava all’estero da un numero sufficiente di anni tale da non poter più essere più vincolata, e, oggetto di interesse da parte di svariati musei internazionali, rischiava di non rientrare mai più in Italia.

Salvator Rosa (Napoli, 22 luglio 1615 – Roma, 15 marzo 1673), La Strega (1647 – 1650 circa), olio su tela 212 x 147 cm

Il direttore delle Gallerie degli Uffizi Simone Verde: “Il prezioso ingresso in collezione della Strega di Salvator Rosa ci permette di accrescere qualitativamente il nucleo collezionistico della pittura seicentesca del museo con un autore che, napoletano di nascita e formazione, si muove tra Roma e Firenze caratterizzando in modo originalissimo l’arte italiana ed europea della metà del secolo. Le Gallerie degli Uffizi annoverano un cospicuo numero di dipinti di Rosa, soprattutto paesaggi e scene di genere, ma – a parte le Tentazioni di Sant’Antonio – il tema magico e stregonesco, che viene sviluppato dal pittore proprio a Firenze, risultava finora assente; adesso, grazie all’arrivo della Strega, possiamo dire di aver colmato in modo più che soddisfacente tale lacuna. Con questo capolavoro, un autentico manifesto teorico della pittura barocca, gli Uffizi si dotano dunque di un’altra potente icona, restituendo all’Italia un capolavoro altrimenti destinato all’esilio”.

Il direttore delle Gallerie degli Uffizi, Simone Verde, con la nuova acquisizione

GALLERIE DEGLI UFFIZI, LA SULFUREA STREGA DI SALVATOR ROSA ESPOSTA DA DOMANI 11 GENNAIO 2025, NELLA SALA BIANCA DI PALAZZO PITTI


La Strega di Salvator Rosa, vero e proprio manifesto della pittura barocca (oltre che dell’arte esoterica del Seicento) al centro di una speciale esposizione nella Sala Bianca di Palazzo Pitti, al via da domani. Il dipinto è stato recentissimamente acquisito dalle Gallerie degli Uffizi, che lo hanno riportato in Italia dall’estero, dove si trovava da molti anni; nei prossimi mesi i visitatori della reggia granducale potranno ammirare il monumentale dipinto, dopodichè verrà permanentemente esposto nelle sale dei maestri della pittura del Seicento agli Uffizi, dove farà compagnia, tra gli altri, a capolavori di Caravaggio quali Medusa, Sacrificio di Isacco e Bacco, e alla Giuditta e Oloferne di Artemisia Gentileschi.


Cenni biografici su Salvator Rosa, artista “maledetto”

Salvator Rosa (1615–1673) è uno degli artisti più originali del Seicento. Noto per il suo temperamento impetuoso e per la scarsa considerazione dei mecenati, è stato uno dei primi esempi di “artista tormentato”. In vita ottenne fama internazionale, che si protrasse fino al XIX secolo, soprattutto tra i collezionisti d’arte dell’aristocrazia britannica. Rosa è celebre soprattutto per i suoi paesaggi selvaggi, con alberi spezzati e burroni rocciosi, spesso popolati di banditi, paesaggi che influenzarono i pittori del sublime del XVIII e XIX secolo. L’immagine romantica della sua vita sarà diffusa da Lady Morgan nella sua biografia romanzata The Life and Times of Salvator Rosa (1824), ma l’artista stesso alimentò tale fama, affermando: “io non depingo per arrechire ma solamente per propria sodisfazione; è forza il lasciarmi trasportare dagl’impeti dell’entusiasmo et esercitare i pennelli solamente in quel tempo che me ne sento violentato”. Nato a Napoli nel 1615, Rosa si trasferì a Roma nel 1635, dove divenne famoso come pittore di paesaggi e scene di battaglia; ma imprudentemente si inimicò i suoi contemporanei, tra cui lo scultore Bernini. Potrebbe essere questo ad averlo spinto, nel 1640, ad accettare l’invito di Giovanni Carlo de’ Medici a trasferirsi a Firenze, dove prosperò come poeta, filosofo e pittore nella cerchia di virtuosi coltivata dal cardinale. La sua casa divenne il punto di riferimento di una società colta, l’Accademia dei Percossi. Durante il soggiorno fiorentino Rosa eseguì una serie di figure singole profondamente poetiche, che sono oggi tra i suoi dipinti più amati: Filosofia (Londra, The National Gallery), Poesia (Hartford, Wadsworth Atheneum Museum of Art), Autoritratto (New York, Metropolitan Museum of Art) e Autoritratto come Pascariello (in collezione privata). L’intensità di queste opere esprime la sua personale sintesi tra pittura e poesia. Nel 1649 Rosa lasciò la corte medicea per tornare a Roma, dove continuò a essere una figura impetuosa e controversa per il resto della vita. Nel 1651 dipinse Democrito in meditazione (Copenaghen, Statens Museum for Kunst), capolavoro che racchiude la sua preoccupazione per la vanità delle imprese umane. Sviluppò uno stile classicizzante, che gli valse un invito a dipingere per Luigi XIV; invito che rifiutò. Rimase a Roma fino alla morte, avvenuta nel 1673. Al capezzale Rosa sposò colei che per 30 anni era stata la sua amante e modella, Lucrezia Paolini.

La Strega (Poesia di Salvator Rosa)

Era la notte, e l’orme

a le prede d’amor quieta movea

turba di Citherea,

turba che mai non dorme,

perché nell’aria bruna

scintillar non vedea

sotto povero ciel luce di luna.

Infra quest’ombra amica

movea Filli le piante,

implacabil nemica

d’amator non curante,

e rassembrava al moto, alla favella,

agitando la face

d’uno sdegno tenace,

dell’Inferno d’amor furia novella.

Poiché l’amar non vale,

dicea colma di rabbia,

a meritar d’un traditor la fede,

girerò questo piede,

aprirò queste labbia,

scoppierò dall’interno

di vietati scongiuri arte fatale,

potente a convocar nume d’Averno.

Nume che vendichi

l’ira di lui,

nume che l’agiti

nei regni bui,

nume che fulmini

l’empio mal nato, ond’io tradita fui:

poiché il crudel non m’ode,

poiché non prezza il pianto,

alla frode, alla frode,

all’onte, all’onte,

all’incanto, a l’incanto,

e chi non mosse il ciel, mova Acheronte

5Io vo’ magici modi

tentar, profane note,

herbe diverse, e nodi,

ciò ch’arrestar può le celesti rote,

mago circolo,

onde gelide,

pesci varij,

acque chimiche,

neri balsami,

miste polveri,

pietre mistiche,

serpi, e nottole,

sangui putridi,

molli viscere,

secche mummie,

ossa, e vermini,

suffumigij,

ch’anneriscano,

voci horribili,

che spaventino,

linfe torbide,

ch’avvelenino,

stille fetide,

che corrompino,

ch’offuschino,

che gelino,

che guastino,

ch’ancidano,

che vincano

l’onde stigie.

In quest’atra caverna,

ove non giunse mai raggio di sole,

da le tartaree scuole

trarrò la turba inferna,

farò ch’un nero spirto

arda un cipresso, un mirto,

e mentre a poco, a poco

vi struggerò l’imago sua di cera,

farò che a ignoto foco

sua viva imago pera,

e quand’arde la finta arda la vera.

Forse così questa beltà schernita

con magica possanza

estinguerà per me l’empio che ha vita,

ravviverà per me morta speranza.

Poiché il crudel non m’ode,

poiché non prezza il pianto,

alla frode, alla frode,

all’onte, all’onte,

all’incanto, all’incanto,

e chi non mosse il ciel, mova Acheronte.

Testo e foto dall’Ufficio Relazioni Esterne delle Gallerie degli Uffizi. Aggiornato il 10 gennaio 2025.

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