LA CORTE DEGLI ARANCI di Antonella Albano: l’antidoto alla tristezza
“Il vento fa litigare le foglie, le fa sorridere e sibilare. I passeri si sono acquietati, nascosti chissà dove”,
si legge nella prima pagina del libro La corte degli aranci (Edizioni di Pagina, 2024), delicato ed elegante romanzo storico.
E così ci si immerge immediatamente in una storia narrata con una cura e un garbo linguistico capaci di evocare momenti di pura poesia. Ma la poeticità espressiva nulla sottrae alla concretezza del racconto, che sa farsi crudo, spietato, aguzzo, come lo sono le vite vissute dalle due straordinarie protagoniste: Arcangela e Sabella.
Arcangela è una ragazzina di tredici anni nella Taranto classista e fascista del 1935. Ha tante, troppe cose che la rendono diversa dalle sue compagne di classe, a partire dalla scelta stessa di frequentare la scuola pur non appartenendo a una famiglia agiata.
Con la madre in carcere, un padre che non ha mai conosciuto, la nonna appena venuta a mancare e lo sbandato zio materno come unica figura di riferimento, la giovane Arcangela fa di tutto per non soccombere a un destino che la vorrebbe sottomessa e rassegnata alla sola prospettiva di trovare marito per ottenere una minima stabilità economica e per adempiere a quello che è considerato un dovere sociale.
Arcangela è forte, è intelligente e, soprattutto, ha un innato desiderio di riscatto che la spinge a uscire dal solco già tracciato per lei, sognando di ottenere un titolo di studio che le consenta di trovare un lavoro dignitoso e di mantenersi da sola, senza dover dipendere da qualcuno, tantomeno da un uomo. Il suo carattere combattivo e la sua determinazione l’aiutano ad affrontare a testa alta gli insulti delle ricche coetanee, le discriminazioni da parte degli insegnanti e le difficoltà di un’esistenza misera, ai limiti della totale indigenza. Ma le prove da affrontare saranno sempre più ardue, in un crescendo di sventure che rischieranno di minare la sua ambizione, il suo coraggio e la sua dignità.
Sabella è una donna di trentasette anni nella Taranto patriarcale del 1970, con un passato drammatico ma un presente molto simile a quello a cui ambiva la giovane Arcangela: vive da sola in una casa di proprietà, ha un’istruzione di base e ha le competenze necessarie per svolgere un mestiere in proprio. È, infatti, un’abile ricamatrice, grazie agli insegnamenti ricevuti dalla sarta Romana Argentieri, una donna severa e anaffettiva ma, a suo modo, generosa. Da essa, infatti, Sabella è stata cresciuta e ha ereditato le sole cose che possiede.
Anche Sabella, come Arcangela, ha dovuto fin da piccola rimboccarsi le maniche, adattandosi all’assenza di una famiglia e guadagnando con fatica ogni briciola di felicità. E anche lei ha un sogno: diventare fornitrice di canditi per le migliori pasticcerie della città.
La società conservatrice degli anni Settanta, però, non è certo pronta ad accogliere e assecondare il desiderio di emancipazione di una donna volutamente senza marito, autosufficiente, indipendente e, addirittura, con ambizioni imprenditoriali. Sarà un percorso a ostacoli, quindi, per Sabella valicare il muro dei pregiudizi, mantenersi al di sopra dei pettegolezzi, ignorare le etichette che le vengono affibbiate e non cedere alle pressioni di chi vorrebbe forzarle la mano.
Le storie delle due protagoniste si dipanano parallelamente, come fossero in simultanea, ma scorrono su due linee temporali differenti.
Il filo rosso che le unisce, pur così distanti per frangente storico, per età e per esperienze, è la casa in cui vivono: una peculiare costruzione nei pressi del mare, in origine una masseria, poi fagocitata dall’urbanizzazione e incorporata tra i palazzi del circondario; della sua primitiva vocazione rurale resta testimonianza nel cortile interno, un luogo quasi magico, che racchiude il tesoro inaspettato di un fecondo agrumeto in piena città.
La corte degli aranci diventa, dunque, tanto per Arcangela quanto per Sabella, un porto sicuro, dove attingere preziose risorse, dove fermarsi a pensare, dove abbandonarsi ai ricordi, dove coltivare sogni e passioni, dove nascondersi allo sguardo implacabile del mondo, dove guarire dalle ferite della vita.
Le premure che le due donne dedicano al giardino si traducono in cure che esso restituisce loro, pronto ad accoglierle come un grembo materno ogni volta che tutto sembra crollare.
“Le foglie degli aranci e dei mandarini sembrano opalescenti alla luce del sole che ha vinto le nuvole. Arcangela inspira a fondo. Terra bagnata, e quel profumo aspro d’agrumi, dolcissimo per lei. Ma ecco quel che le serve: immerge sé stessa lì dentro, non solo le mani, non solo il naso, e prende quel che la corte le offre.” (cap. 2, p. 31)
“Sabella ancora sperava di poter cambiare le cose. Dalle finestre piene di spifferi del cortile arrivava il rumore del vento che piegava i rami dei limoni. In quell’orto c’era la sua speranza. O quel che ne rimaneva.” (cap. 1, p. 25)
Di grande impatto emotivo sono, inoltre, le descrizioni della città bimare, una Taranto ritratta tra primo e secondo Novecento, a tinte nitide, decise, diluite solo nel solvente del ricordo e sfumate dai pennelli della nostalgia.
Sfilano, lungo le pagine, i quartieri più miseri e quelli signorili; il mercato coperto e le strade del passeggio; il vecchio pontile Rota e l’elegante via D’Aquino; l’ospedale nell’ex convento di San Giovanni di Dio e le raffinate pasticcerie del centro; la Chiesa del Carmine, con la Cappellina della Madonna di Pompei, e la Piazza Garibaldi, dove i ragazzini giocavano a pallone e le femmine disegnavano per terra col gessetto lo schema della Campana.
E, soprattutto, il mare. Il mare con i suoi innumerevoli colori, le sue fragranze penetranti, i suoi cambiamenti d’umore. Il Mar Piccolo e il Mar Grande. Lo scenario potente del Golfo di Taranto.
“Il mare così vicino, giusto al di là dei palazzi in fondo, manda il suo profumo. Arcangela immagina la luce delle lampare che si inoltrano nel golfo, per la nottata di pesca.” (cap. 1, p. 21)
“Le palme vibravano a un vento leggero, i gabbiani in alto si lasciavano portare e le petroliere stazionavano al largo di un mare di scabro velluto grigio chiaro. Se il manto di nuvole si fosse diradato il mostro dormiente avrebbe avuto indietro le sue scaglie verde ottanio.” (cap. 2, p. 44)
“Sabella aprì gli occhi e se li riempì dell’azzurro verde delle onde, mosse e leggermente spumose, che avrebbero invogliato le barche a vela a prendere il largo. Eccone una là in fondo, con la tela gonfia di vento.” (cap. 4, p. 64)
Perfettamente tratteggiati sono i personaggi che ruotano intorno alle vicende delle due protagoniste. Non si potrà che far proprie le emozioni dell’autrice e, lungo questa lettura avvolgente, amare le fragilità di alcuni, condannare l’aridità di altri; comprendere gli errori, anche quelli più insanabili, quando chi li compie cerca disperatamente di porvi rimedio; detestare la meschinità di chi finge di non vedere la sofferenza altrui o, peggio, ne è deliberatamente artefice.
Affrontare in un romanzo la tematica della condizione della donna nel passato non è semplice: il rischio è quello di cadere nella retorica da propaganda o nel cliché del già detto, del già sentito.
Antonella Albano, camminando lungo un filo sospeso sulle onde delle infinite passioni umane, riesce a mantenere perfettamente l’equilibrio, accogliendo il lettore dentro una scrittura che, anche nei momenti drammatici, non cerca mai il lacrimevole, così come nella liricità e nella delicatezza dei passaggi più sereni non scade mai nel lezioso o nell’ingenuo.
“L’unico antidoto alla tristezza è l’azione”, ha dovuto imparare Sabella (cap. 2, p. 46).
“Sei le cose che fai”, ripete a sé stessa Arcangela per trovare la forza di andare avanti (cap. 3, p. 64).
In entrambi i casi, un invito ad agire, a non farsi sopraffare dagli ostacoli, a non abbandonarsi ai pensieri negativi, a non lasciarsi definire dalle parole altrui ma dal proprio operato.
Un invito a fare le giuste domande alla vita, perché prima o poi arriveranno le risposte.
Antonella Albano, tarantina, insegnante di materie letterarie e autrice di diverse pubblicazioni, tra saggistica, narrativa e recensioni, con La corte degli aranci dona ai lettori uno scrigno prezioso, da cui trarre insegnamenti, spunti di riflessione e ispirazione.
Un romanzo decisamente da leggere e, magari, da augurarsi di vedere rappresentato in una serie televisiva che possa portare all’attenzione del grande pubblico la storia e la bellezza di una città straordinaria, troppo a lungo definita solo dalle sue acciaierie e dalle problematiche ambientali ad esse collegate, senza rendere il giusto merito alla sua gente, alla sua cultura, ai suoi paesaggi.
SCHEDA DEL LIBRO:
Titolo: La corte degli aranci
Autrice: Antonella Albano
Casa Editrice: di Pagina
Anno: 2024
Collana: LEBELLEPAGINE, n. 30
ISBN: 9791256090198
Numero pagine: 308