IL CASTELLO INDISTRUTTIBILE, un film di Danny Biancardi, Virginia Nardelli, Stefano La Rosa
(Francia-Italia, 2025, 71′)

Un film prodotto da ZaLab e coprodotto con la francese Société du Sensible
Distribuito da ZaLab con il supporto di Ministero della Cultura e SIAE nell’ambito del programma #PerChiCrea 

Per la prima volta a Palermo AL SOLE LUNA DOC FILM FESTIVAL

Clicca qui per il commento a cura di Marika Iannetta (26 settembre 2025)
Clicca qui per l’intervista ai registi, Danny Biancardi, Virginia Nardelli e Stefano La Rosa, a cura di Marika Iannetta (8 ottobre 2025)
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commento a cura di Marika Iannetta (26 settembre 2025)

Il castello indistruttibile, il fortino del sogno

Ti immagini se fossimo delle anime trasparenti, senza mai diventare grandi, e rimanere qui a giocare per sempre?”

Il castello indistruttibile, diretto da Danny Biancardi, Virginia Nardelli e Stefano La Rosa, è un film che percorre la rotta narrativa (e visiva) del sogno e della fantasia. Quella dell’età più bella: la fanciullezza. A viverla sono Angelo, Mary, Rosy, tre bambini che vivono in un quartiere degradato di Palermo e che, con creatività e trasparenza di pensiero, si fanno strada nel mondo, provando a costruirne uno tutto per loro. Dove tendere alla felicità è ancora possibile.

La pellicola si apre con la focalizzazione del luogo: un contesto abitativo dimesso, ruvido nelle fondamenta strutturali. Questo spazio urbanistico diroccato, cristallizzato nella cornice di rapide inquadrature, acquisisce agli occhi dello spettatore un’anima. Un nota di colore. Sono le voci bianche dei nostri protagonisti, i quali, sin dalla prima apparizione, mostrano la loro personalità e approccio relazionale, esprimendosi in un dialetto colorito, che lascia cogliere inequivocabili radici popolari. Quelli che incrocia lo spettatore sono puri sguardi voyeuristici che cercano di scrutare a fondo la realtà che li circonda, senza paura o filtro. La loro attenzione, in particolare, è circoscritta a un edificio. Un asilo abbandonato. Un luogo tanto isolato quanto misterico, dal quale – a detta dei grandi – è meglio stare lontani.

Ma si sa. Se imponi ai bambini un divieto, automaticamente stai suggerendo loro di trasgredirlo. In un istante, si accende il potere attrattivo dell’ignoto. Non a caso, sprezzanti del potenziale pericolo e pieni di curiosità, il gruppo si addentra nell’asilo, dando il via ad un’avventura esplorativa. Ed è qui che, agli effetti, si concentra la maggior parte della narrazione filmica.

Lo spettatore segue i loro corpi magri e sbilenchi che, man mano, si muovono e prendono contatto con le varie stanze dell’asilo, restituendo ad ognuna una profonda energia vitale. Così, la loro presenza non fa che conferire all’ambiente circostante nuova linfa. Dunque, c’è piena compenetrazione tra paesaggio e personaggio. Ed è qui che si gioca la partita di una fuga fiabesca, l’unica alternativa a un fuori incompatibile con la vita.

Ciò che permette ai nostri piccoli di vivere (e gioire) è la forza dell’immaginazione. È questo il motore primo delle loro giornate. Un’ancora di salvezza che li preserva dall’abisso dell’isolamento e della solitudine. La sola possibilità di cambiare veste a una dimensione scomoda. Così, è grazie alla loro capacità immaginifica che persino un edificio in frantumi può diventare, ai loro occhi (e ai nostri), uno spazio di evasione, gioco e intimità amicale. Un vero e proprio fortino del sogno. Un castello indistruttibile, come viene chiamato davanti allo specchio. Un luogo dove poter essere sé stessi, sfuggire dall’incomunicabilità e dalla violenza dell’esterno.

L’esterno coincide con il mondo dei grandi. Di quegli adulti che, in scena, non compaiono mai. Non è un caso. Il fatto che non si vedano riflette, in sostanza, la loro lontananza fattuale dalla vita dei figli. Sia fisica che affettiva. E i ragazzini, seppur cerchino di minimizzare tale situazione, schivandola a suon di risatine o cambi di argomento, ne sono consapevoli eccome. Così, indirettamente, attraverso i loro discorsi, facciamo la conoscenza di nuclei domestici invisibili. Di padri in carcere visti da dietro un vetro invalicabile. E di madri stanche dal lavoro e, dunque, incapaci di reggere il carico della vita.

Dunque, le figure genitoriali, così come vengono presentate dalle parole dei bambini, sono presenti in assenza. Emergono unicamente sotto forma di voci e urla caotiche, affidate al fuori campo. Quindi, quelli che comunemente dovrebbero essere i principali pilastri di riferimento per i nostri piccoli esploratori diventano modelli da sfatare, piuttosto che da imitare. La famiglia – intesa come luogo di crescita, unione e armonica condivisione di esperienze arricchenti, nell’immaginario collettivo dei protagonisti – non è che un orizzonte utopico, vagheggiato, affidato alla speranza di un futuro ancora tutto da plasmare.

A dominare l’architettura narrativa dell’opera filmica, dunque, sono i bambini, con le loro domande, perplessità, desideri, il tutto legato al bisogno intrinseco di assaporare il gusto di un cantuccio familiare, nel quale poter respirare un po’ di serenità. “Se prima o poi avrò una figlia, vorrei avere una famiglia buona”, dice Mary, in tutta la sua bonaria sincerità.

E alla sua legittima aspirazione, se ne aggiungono altre, che delineano il ritratto di bambini più adulti degli adulti stessi. Anime senza macchia, intrise di una profonda maturità emotiva, nascosta sotto abiti ordinari, la delicatezza puerile di grattini sulla pelle e la genuinità di sguardi ricambiati. E sempre su di loro, sulla loro ferrea volontà di rimanere serrati nel loro personale castello indistruttibile, che la cinepresa dei registi si sofferma con cura.

Anche quando la fantasia sembra stia perdendo terreno contro la realtà, Mary, Angelo e Rosy se la caricano sulle spalle, si abbracciano e, insieme, prendono il largo. In difesa di quella purezza di pensiero che, crescendo, si perde nel sentiero dei ruoli. Allora, meglio continuare a navigare la rotta dell’immaginazione. Con lo sguardo rivolto al fortino del sogno, che trova la sua eterna immutabilità nell’istante irripetibile di un fotogramma.



intervista ai registi, Danny Biancardi, Virginia Nardelli e Stefano La Rosa, a cura di Marika Iannetta (8 ottobre 2025)

Cosa vi ha spinto a portare in scena il complesso spaccato sociale ritratto nel film? Attraverso quali modalità avete scelto i vostri piccoli protagonisti? Cosa ha catturato il vostro sguardo?

Tutti e tre conosciamo molto bene Danisinni: ci abbiamo vissuto per quasi due anni e abbiamo portato avanti progetti con la comunità. A un certo punto abbiamo sentito l’esigenza comune di raccontare questo luogo incredibile e ci siamo messi a cercare delle storie. Tra le piste possibili c’erano: un amico adolescente che andava a caccia di tesori nascosti e aveva un rapporto particolare con la madre, un po’ sensitiva; poi c’era fra Mauro, che nel film appare in due scene: è la guida della comunità, psicologo ed esorcista. La terza pista erano i bambini. All’inizio abbiamo lavorato con tutti i bambini del quartiere, ma era un disastro: si creava una confusione incredibile ed era impossibile portare avanti qualsiasi idea. Tra loro abbiamo conosciuto Angelo, Rosy e Mary e, successivamente, Giada che, come accade nel film, nella realtà incontriamo più tardi. Si era creata un’alchimia tra di loro — erano tre, proprio come noi — e così abbiamo sentito la necessità di trovare insieme uno spazio segreto, lontano dagli altri bambini: uno spazio intimo che ci permettesse di giocare e di raccontarci storie. L’unico luogo possibile era l’asilo, al centro del quartiere, abbandonato: un posto in cui i bambini avevano paura a entrare. Era perfetto. È da qui che ha inizio la nostra avventura: un gioco di esplorazione di un luogo. Non eravamo sicuri di dove ci avrebbe portato, ma abbiamo scommesso che quel luogo ci avrebbe condotti in una dimensione nuova, inesplorata.

I protagonisti come hanno gestito, dal punto di vista emotivo, la messa in scena delle tematiche sul set?

Loro sono sempre stati molto liberi di esprimersi, non c’era un copione. C’era un’idea a grandi linee da parte nostra su di che cosa ci sarebbe piaciuto parlare, ma poi, a livello pratico, decidevano loro il cosa e il come. Ogni suggestione che provavamo a dare loro partiva comunque da loro. Per esempio, il Lupo di Angelo è completamente una sua idea. Inizialmente lui immaginava che, grazie alla computer grafica, potesse parlare con un lupo vero dall’altra parte dello specchio (e per un po’ lo abbiamo immaginato anche noi), poi abbiamo capito che quel lupo era lui stesso. L’arrivo di Giada, invece, ha aperto — sul lato femminile — argomenti che forse Rosy e Mary non avrebbero trattato, perché più bambine, anche se consapevoli. Quel momento tutte insieme è stato una magia. Stavano giocando a Obbligo o Verità e poi hanno iniziato spontaneamente a collegare i possibili fidanzati ai possibili futuri mariti e, di conseguenza, si sono immedesimate nelle loro madri. È stato un ragionamento consapevole che loro hanno regalato al film in piena coscienza: sapevano esattamente cosa dire e cosa non dire, qual era il limite da non oltrepassare.

Credete che l’immaginazione sia uno strumento salvifico che appartiene solo al mondo dell’infanzia? Gli adulti sono ancora capaci di affidarsi all’immaginazione per esplorare e dare ascolto ai propri desideri più profondi?

Crediamo che l’immaginazione sia uno strumento fondamentale della nostra specie, al di là dell’età. Siamo quelli che restano bambini più a lungo fra gli animali della Terra, e ci sarà un motivo. Nelle nostre faccende da adulti, a volte ce ne dimentichiamo: eppure questo strumento innato ci permette di trovare rifugi anche dove non esistono, dai quali tornare rigenerati e curati. Sarebbe bello esplorare, in un film, come gli adulti usino l’immaginazione come strumento di cura, anche nella vita quotidiana. Ora stiamo lavorando a un nuovo film che esplora le memorie sintetiche: memorie evocate e raccontate che diventano immagini reali. Ci sembra di proseguire un percorso legato al desiderio di trovare qualcosa capace di farci comunicare con la parte più profonda di noi stessi.


In un quartiere dimenticato di Palermo, tre bambini trasformano un edificio abbandonato in un rifugio segreto. Qui possono sfuggire alla violenza del mondo esterno e condividere i loro sogni.

Angelo, Mery e Rosy sono tre undicenni che vivono a Danisinni, un quartiere isolato di Palermo: qui, nello spazio sospeso di un asilo abbandonato, decidono di esser liberi e dare libero sfogo alla fantasia, lontani dalle difficoltà di tutti giorni. “Il Castello Indistruttibile” è la storia della loro amicizia, che li accompagna nell’età adulta: il film di Danny Biancardi, Virginia Nardelli, Stefano La Rosa ritorna ora a Palermo per la prima volta, per l’evento speciale per la 20a edizione del Sole Luna Doc Film Festival, con la proiezione sabato 20 settembre alle 20.30 (ingresso libero) presso la Galleria d’Arte Moderna (Gam) al Chiostro Sant’Anna: saranno presenti gli autori per incontrare il pubblico.

Distribuito da ZaLab con il supporto di Ministero della Cultura e SIAE nell’ambito del programma #PerChiCrea, il film è prodotto da ZaLab e coprodotto con la francese Société Du Sensible. L’anteprima internazionale del film si è svolta al CPH:DOX, il Festival Internazionale del Documentario di Copenaghen, mentre la prima proiezione in Italia è stata in programma al Biografilm Festival, dove ha vinto il “Tutta un’altra storia Pratello Award”, assegnato dalla giuria composta da un gruppo di ragazzi dell’Istituto Penale per Minorenni “Pietro Siciliani” di Bologna. Il film ha già partecipato anche al MoliseCinema Film Fest, al Laguna Sud e Leofanti Festival.

I tre protagonisti del film hanno visto il film nascere e crescere intorno ai loro giochi e alla loro amicizia: i tre autori li hanno conosciuti in quel territorio, durante laboratori di cinema partecipativo, al fianco della comunità del quartiere, un luogo povero e densamente popolato, a sola poca distanza dal centro di Palermo. Il documentario, che sposa tratti di finzione, racconta la loro crescita, la loro evasione dalla realtà: il film segue Angelo, Mery e Rosy nell’ultima estate da bambini, dalla scoperta di un rifugio sicuro fino alla sua inevitabile fine. Spinti dalla voglia di avventura, infatti, decidono di esplorare un asilo abbandonato nel cuore del loro rione. Tra le macerie, scoprono uno spazio dove possono sottrarsi agli sguardi degli altri, senza sentirsi giudicati. Tuttavia, le pressioni del mondo esterno minacciano di mettere in pericolo questa loro isola di libertà.

“Danisinni, il quartiere in cui è ambientato il nostro film, è una piccola comunità povera e densamente popolata di Palermo, governata da codici antichi e rigidi – spiegano nelle note di regia Biancardi, Nardelli e La Rosa – L’asilo nel cuore del quartiere era l’unica struttura istituzionale, ma è stato chiuso da oltre 15 anni, lasciando alle famiglie e alla chiesa locale tutte le responsabilità sociali ed educative. Crescere qui significa far parte di una comunità in cui le ragazze spesso rimangono incinte in giovane età e i ragazzi abbandonano la scuola per lavori saltuari e poco sicuri. È qui che abbiamo incontrato Angelo, Mary e Rosy, i nostri tre protagonisti. Il nostro approccio mescola osservazione e creazione partecipata, permettendo ai tre bambini di rappresentare se stessi e raccontare la loro storia in totale libertà”.

Nel 2024, il progetto del film ha partecipato ai percorsi industry Doc at Work – Festival dei Popoli, New Visions Forum – Ji.hlava IDFF, International Pitches – FIPADOC. La produzione del film ha visto la partecipazione di France tv, ZaLab View, in associazione con La Bandita, con il sostegno di CNC – Centre national du cinéma et de l’image animée, La Région Ile-de-France, la Procirep- société des producteurs de l’Angoa, Brouillon d’un rêve de la Scam e La Culture avec la Copie Privée, Regione Siciliana – Assessorato Turismo Sport e Spettacolo, Sicilia Film Commission.


NOTE DI REGIA

Danisinni, il quartiere in cui è ambientato il nostro film, è una piccola comunità povera e densamente popolata di Palermo, governata da codici antichi e rigidi. Sebbene si trovi a poche centinaia di metri dai principali siti turistici, decenni di abbandono amministrativo lo hanno marginalizzato dal resto della città e dalle sue trasformazioni urbane e sociali.

L’asilo nel cuore del quartiere era l’unica struttura istituzionale, ma è stato chiuso da oltre 15 anni, lasciando alle famiglie e alla chiesa locale tutte le responsabilità sociali ed educative. Crescere qui significa far parte di una comunità in cui le ragazze spesso rimangono incinte in giovane età e i ragazzi abbandonano la scuola per lavori saltuari e poco sicuri. È un luogo che abbiamo vissuto per diversi anni, conoscendo la comunità e organizzando con loro laboratori di cinema partecipativo.

È così che abbiamo incontrato Angelo, Mary e Rosy, i nostri tre protagonisti, costruendo il film intorno ai loro giochi e alla loro amicizia. Il nostro approccio mescola osservazione e creazione partecipata, permettendo ai tre bambini di rappresentare se stessi e raccontare la loro storia in totale libertà. Il Castello Indistruttibile li segue nella loro ultima estate da bambini: dalla scoperta di un rifugio sicuro fino alla sua inevitabile fine.

È la storia di un’amicizia e di come, grazie ad essa, affrontano insieme l’arrivo di un’età più adulta.


Con

Mary, Rosy, Angelo

Giada

E

Cristian, Gaetano, Salvo, Tommaso, Federica, Giusy, Helen, Ilary,

Sofia, Gaia

Un film scritto e diretto da

Danny Biancardi, Stefano La Rosa, Virginia Nardelli

Prodotto da

Nadège Labé Stefano Collizzolli

Produttrice Esecutiva per ZaLab Film

Giulia Campagna

Montaggio

Sara Zavarise

Fotografia

Danny Biancardi, Stefano La Rosa, Virginia Nardelli

Riprese

Matteo Calore

Suono

Sebastiano Caceffo, Mirko Cangiamila

Musica Originale

Marek Hunhap

Montaggio del suono

Romain Huonnic

Mix

Gilles Cabau

Colorist

Julien De Sousa

VFX

Sébastien Pascal, Nicolas Kermel

Comunicazioni ufficiali, video e immagini dall’Ufficio Stampa Ficarola. Aggiornato il 18 settembre 2025.

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