Alessandra Randazzo, Autore presso Classicult https://www.classicult.it/author/alessandra-randazzo/ Dove i classici si incontrano. Cultura e culture Wed, 06 Aug 2025 15:38:25 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.8.2 https://www.classicult.it/wp-content/uploads/2018/08/cropped-tw-profilo-32x32.jpg Alessandra Randazzo, Autore presso Classicult https://www.classicult.it/author/alessandra-randazzo/ 32 32 Pompei dopo Pompei: tracce di frequentazione sino al tardoantico, dopo l’eruzione del 79 d.C. https://www.classicult.it/pompei-dopo-pompei-tracce-di-frequentazione-sino-al-tardoantico-dopo-leruzione-del-79-d-c/ https://www.classicult.it/pompei-dopo-pompei-tracce-di-frequentazione-sino-al-tardoantico-dopo-leruzione-del-79-d-c/?noamp=mobile#respond Wed, 06 Aug 2025 15:20:28 +0000 https://www.classicult.it/?p=314811 Pompei dopo Pompei: tracce di frequentazione sino al tardoantico, dopo l'eruzione del 79 d.C. che ne sconvolse la vita

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Pompei dopo Pompei: tracce di frequentazione sino al tardoantico, dopo l’eruzione del 79 d.C. 

Esiste una Pompei post eruzione 79 d.C.? Non dobbiamo immaginare case ed edifici ricostruiti e nemmeno abitanti che si riappropriano delle abitazioni. La Pompei del 79 d.C. doveva apparire più come uno scenario lunare che ha ripreso vita solo dopo mesi e anni. Tracce di frequentazione esistono già nel territorio vesuviano circostante e questo lo si deduce anche dalla recente pubblicazione della Carta del Potenziale Archeologico del territorio comunale di Pompei di Domenico Camardo e Mario Notomista in cui su 88 siti ne sono stati censiti 14 in cui è attestata una frequentazione post eruzione del 79 d.C.
l'Insula Meridionalis vista dall'alto l'Insula Meridionalis vista dall'alto una decorazione da Pompei, rioccupata dopo l'eruzione del 79 d.C.  tracce di frequentazione sino al tardoantico Resti di Forno, Insula Meridionalis Regio VIII Resti di Forno, Insula Meridionalis Regio VIII Contenitore in terracotta da garum riutilizzato nell'insediamento post 79 d.C. Granai del tempio di Venere - Tracce di insediamento post 79 d.C. Contenitori in terracotta da dispensa. Tracce di insediamento post 79 d.C. scheletro di equide
Non tutta la città venne sepolta, alcuni edifici come parte del Foro, l’Anfiteatro e l’Insula Meridionalis dovevano risultare ancora ben visibili nonostante cenere, pomici e la distruzione eruttiva.
Nell’ambito dei lavori di messa in sicurezza, consolidamento e restauro proprio della Meridionalis, i recenti scavi archeologici nel piano terra degli Horrea, hanno evidenziato la presenza di livelli di frequentazione post-eruttiva databile in due fasi distinte tra fine I e inizi III secolo d.C. e tra IV e V secolo d.C.

L’ambiente 66 del complesso degli Horrea prima dell’indagine archeologica iniziata nel giugno 2024, si presentava completamente colmo di terra; una volta asportati i riempimenti di età contemporanea, sono stati messi in luce diversi piani di calpestio inquadrabili al 79 d.C. ma, sorpresa inaspettata, sicuramente la presenza di un ulteriore piano di frequentazione che ha restituito frammenti ceramici di età tardo-antica che coprono un arco temporale compreso tra IV e metà del V secolo d.C.
In particolare, molti frammenti di ceramica sigillata africana, frammenti di ceramica comune e da fuoco come tegami e casseruole diffusi in contesti tardo antichi campani. Anche nell’adiacente ambiente 65, con riferimenti stratigrafici molto simili all’ambiente 66, gli archeologi hanno ritrovato negli strati, materiale di età tardo-antica e in particolare due frammenti di lucerne in sigillata africana di cui uno con il monogramma di Cristo (Chi-Rho) databile al V secolo d.C.
Non solo quindi materiale ceramico relativo all’uso quotidiano, ma ulteriori scavi in ambienti adiacenti, in particolare l’ambiente 63, hanno ancora restituito resti di un forno. Lo scavo della struttura ha intercettato una grande quantità di frammenti ceramici di età tardo-antica che confermano una frequentazione che non va oltre la metà del V sec. d.C.; numerosi sono i frammenti di ceramica da fuoco come casseruole e testelli per la cottura del pane.

I dati preliminari raccolti finora dimostrano come le strutture del fronte meridionale dell’area sotto il tempio di Venere fossero visibili e accessibili dall’esterno, tanto da permettere un insediamento più o meno stabile di alcuni ambienti. La realizzazione di una struttura come quella del forno, insieme alla grande quantità di materiale ceramico rinvenuto finora, non sembra ascrivibile ad un insediamento temporaneo o di fortuna, ma ad uno stanziamento prolungato nel tempo che si spinge, sulla base dello studio preliminare dei materiali, dal IV a non oltre la metà del V sec. d.C.

Scendendo ancora di livello stratigrafico in altri ambienti pertinenti gli Horrea, si è potuto rilevare la presenza di un’ulteriore frequentazione successiva all’eruzione del 79 d.C. che può essere inquadrata, in base all’analisi preliminare dei materiali ceramici, tra la fine del I secolo d.C. e gli inizi del III secolo d.C.

Nell’ambiente 65, al di sotto della fase tardo-antica, sono emersi strati di accumulo con materiali che comprendono frammenti di marmi, alcuni con iscrizioni e frammenti di ceramica sigillata e africana databili tra fine I-inizi III sec. d.C. Una volta asportati questi materiali è emersa la traccia di una struttura, forse una scalinata con tre gradini che si imposta direttamente sulla cinerite del 79 d.C. I gradini sono realizzati con marmi di reimpiego, frammenti di tegole messe di taglio e blocchi sbozzati in tufo di Nocera. La scalinata permetteva l’accesso dal finestrone dell’ambiente, quindi da una quota molto più alta rispetto a quella del 79 d.C.
Tracce di una frequentazione post eruzione del 79 d.C. databile tra la fine del I e l’inizio del III secolo d.C. sono state rinvenute anche negli altri ambienti degli Horrea, dove è stata eseguita un’indagine archeologica limitata. Il dato è supportato dal rinvenimento di una discreta quantità di sigillata africana e ceramica africana da cucina.
Particolarmente cospicua è la presenza di frammenti di marmo, soprattutto tessere di opus sectile di varie forme, frammenti di lastre pavimentali ed elementi architettonici, alcuni provenienti probabilmente da edifici pubblici.
Di particolare importanza anche un frammento, probabilmente del basamento di una statua, su cui si legge “…] HIA L· F·” che rimanda alla ben nota Eumachia, figlia di Lucio, sacerdotessa pubblica vissuta a Pompei in età augustea.
Riveste un certo interesse il rinvenimento della sepoltura di un neonato individuata nell’angolo nordest dell’ambiente 72 in un contesto stratigrafico databile al II secolo d.C., e il rinvenimento di una moneta (asse o sesterzio) coniato da Marco Aurelio per il Divo Antonino Pio della zecca di Roma, databile al 161 d.C.
L’attestazione di una frequentazione di qualche decennio successivo all’eruzione del 79 d.C. di una parte della città di Pompei rientra pienamente nella ripresa del controllo dell’area vesuviana. Tra il 120 e il 121 d.C. viene ufficialmente riattivata la strada Nuceria-Stabiae, che già prima dovette essere riaperta parzialmente.
Nell’area a nord di Pompei sono attestate inoltre strutture che poggiavano in parte sui resti sepolti dall’eruzione del Vesuvio e sepolture ricavate nei depositi vulcanici che coprono un arco cronologico che va dal II al III secolo d.C. La frequentazione del complesso degli Horrea dopo l’eruzione del 79 d.C. indica che l’edificio era in parte visibile dall’esterno e soprattutto in gran parte intatto, tanto da permetterne una rioccupazione continuativa, sulla cui natura restano ancora molti aspetti da indagare.
Dal quadro che emerge è evidente che la frequentazione tardo-antica non è un caso isolato, ma rientra in un processo di rioccupazione dell’area vesuviana da cui non è esente l’area di Pompei. Una rioccupazione però che non sembra andare oltre la seconda metà del V sec. d.C. quando è attestata la cosiddetta eruzione di Pollena avvenuta nel 472, prima di una serie di altre eruzioni avvenute nei primi decenni del VI sec. d.C.
Questi eventi probabilmente arrecarono seri danni ad un territorio assai debole e potrebbero aver provocato l’abbandono degli insediamenti attestati in area vesuviana.
Pubblicazione sull’E-Journal degli Scavi di Pompei https://pompeiisites.org/e-journal-degli-scavi-di-pompei/
Video e immagini dall’Ufficio Stampa del  Parco Archeologico di Pompei

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Pompei: una megalografia dionisiaca dalla Casa del Tiaso https://www.classicult.it/pompei-una-megalografia-dionisiaca-dalla-casa-del-tiaso/ https://www.classicult.it/pompei-una-megalografia-dionisiaca-dalla-casa-del-tiaso/?noamp=mobile#respond Wed, 26 Feb 2025 14:41:48 +0000 https://www.classicult.it/?p=295653 Una megalografia, un grande affresco di Dioniso emerge nell’area centrale di Pompei, nell’insula 10 della Regio IX, dalla casa del Tiaso

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Una megalografia, un grande affresco di iniziazione ai misteri di Dioniso, emerge nell’area centrale di Pompei, nell’insula 10 della Regio IX, dalla Casa del Tiaso.

In una grande sala per banchetti, la pittura, pensata come un grande fregio, si snoda come un racconto di un corteo di Dioniso, dio del vino, del teatro, della sfrenatezza, con tutti i suoi caratteristici personaggi legati al culto.

Non possono mancare le baccanti, rappresentate come danzatrici, ma anche come cacciatrici feroci, con un capretto sgozzato sulle spalle o con una spada e le interiora di un animale nelle mani; giovani satiri con le orecchie appuntite che suonano il doppio flauto, mentre un altro compie un sacrificio di vino in stile acrobatico, versando dietro le proprie spalle un getto di vino da un corno potorio in una patera.

Casa del Tiaso
Casa del Tiaso

Al centro della composizione c’è una fanciulla con un vecchio sileno che impugna una torcia: si tratta probabilmente di una scena di iniziazione in un culto che sia in Grecia che a Roma aveva caratteri misterici, cioè i riti erano noti solo a coloro che venivano iniziati.

Da un’analisi attenta della pittura che si snoda per tutto il peristilio su quattro lati, tre chiusi e uno aperto con affaccio, si nota che tutte le figure del fregio sono rappresentate su piedistalli, come se fossero delle statue, mentre al tempo stesso movimenti, carnagione e vestiti le fanno apparire molto vive.

Il fregio scoperto a Pompei nella Casa del Tiaso è attribuibile al II Stile della pittura pompeiana, che risale al I sec. a.C. Più precisamente, il fregio può essere datato agli anni 40-30 a.C. Questo significa che nel momento dell’eruzione del Vesuvio, che seppellì Pompei nel 79 d.C. sotto lapilli e ceneri, il fregio dionisiaco era già vecchio di circa un secolo.

Casa del Tiaso Dioniso Megalografia Regio IX

Come è noto, a Pompei, un altro mirabile esempio di megalografia con scene dionisiache proviene dalla più famosa Villa dei Misteri, edificata nella metà del II secolo a.C. come abitazione signorile e poi ristrutturata intorno al 60 a.C., quando venne eseguita la ricca decorazione pavimentale e le celebri pitture sulle pareti. Successivamente, nel corso del I secolo d.C., venne aggiunta la parte rustica, cioè una serie di ambienti relativi alle attività di sfruttamento della terra, che connotavano molte dimore dell’epoca.

Il nuovo fregio trovato a Pompei nella Casa del Tiaso, rispetto alla villa dei Misteri aggiunge un altro tema all’immaginario dei rituali iniziatici di Dioniso: la caccia, che viene evocata non solo dalle baccanti cacciatrici, ma anche da un secondo, più piccolo fregio che corre al di sopra di quello con baccanti e satiri: qui sono raffigurati animali vivi e morti, tra cui un cerbiatto e un cinghiale appena sventrato, galli, uccelli vari, ma anche pesci e molluschi.

Della grande scena raffigurata nel triclinio della Villa dei Misteri, invece, sono state date nel corso degli anni diverse interpretazioni. Si sono ipotizzati riferimenti ai Misteri Dionisiaci, cioè a quei riti legati a Dioniso, oppure ai Misteri Orfici, cioè quelli collegati ad Orfeo e perfino ai Misteri Isiaci, relativi alla dea egiziana Iside. Altri studiosi hanno invece interpretato le pitture come rappresentazione teatrale di un mimo satiresco.

Tra le tante possibilità interpretative, è suggestivo il riferimento ad un particolare rito romano, profondamente calato nella tradizione della religiosità latina arcaica: i Matronalia, le feste del 1° marzo ricordate anche dal poeta latino Ovidio. Durante queste celebrazioni, in ricordo delle vicende legate al ratto delle Sabine, all’inizio dell’anno nel calendario romano, veniva officiato un antichissimo rito, che vedeva compiersi pienamente il destino coniugale della Matrona romana.

Casa del Tiaso Dioniso Megalografia Regio IX

Non dimentichiamo però che per la religione romana, pensata come una rigida religione di Stato, la sfrenatezza di un culto come quello di Dioniso era ritenuto pericoloso. Giungendo dalla Campania, il culto dionisiaco si diffonde rapidamente anche a Roma ove scoppia il celebre scandalo dei Baccanali e i devoti giudicati pericolosi per la stabilità della stessa res publica.

Nel 186 a.C. un famoso senatoconsulto proibisce il culto del dio e ne persegue i trasgressori. Numerosi luoghi di culto vennero distrutti e seguirono anche condanne a morte. a Pompei, un santuario dedicato al dio e risalente alla metà del III secolo a.C. restò in funzione fino alla fine della città, nel 79 d.C. e Pompei mostrò sempre una fervida e crescente devozione per le manifestazioni misteriche del dio.

Scevro dagli aspetti più scandalistici come quelli orgiastici, il culto di Dioniso in Campania e soprattutto in area vesuviana, doveva assicurare la prosperità legata alle grandi coltivazioni di vite sul Vesuvio come si evince da una pittura che raffigura il dio vestito di un gigantesco grappolo d’uva e sullo sfondo proprio con il vulcano.

Tra 100 anni la giornata di oggi verrà vissuta come storica – Dichiara il Ministro della Cultura Alessandro Giuli – perché storica è la scoperta che mostriamo. La megalografia rinvenuta nell’insula 10 della Regio IX apre un altro squarcio sui rituali dei misteri di Dioniso. Si tratta di un documento storico eccezionale e, insieme a quella della Villa dei Misteri, costituiscono un unico nel loro genere, facendo di Pompei una straordinaria testimonianza di un aspetto della vita della classicità mediterranea in gran parte sconosciuto. Tutto questo rende importante e preziosa la ripresa delle attività di scavo a Pompei, che il Governo sostiene convintamente e per la quale, di recente, ha stanziato 33 milioni di euro per interventi di scavo, manutenzione programmata, restauro e valorizzazione in questo sito e nel territorio circostante. Viviamo un momento importante per l’archeologia italiana e mondiale che ha registrato anche un forte incremento dei visitatori, a partire da questo Parco Archeologico: oltre 4 milioni e 87 mila presenze nel 2023 e 4 milioni e 177 mila unità nel 2024”.

 “La caccia delle baccanti di Dioniso – spiega il direttore del Parco archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, co-autore di un primo studio del nuovo rinvenimento pubblicato sull’E-Journal degli Scavi di Pompei – a partire dalle ‘Baccanti’ di Euripide del 405 a.C., una delle più amate tragedie dell’antichità, diventa una metafora per una vita sfrenata, estatica, che mira a ‘qualcosa di diverso, di grande e di visibile’, come dice il coro nel testo di Euripide. La baccante esprimeva per gli antichi il lato selvaggio e indomabile della donna; la donna che abbandona i figli, la casa e la città, che esce dall’ordine maschile, per danzare libera, andare a caccia e mangiare carne cruda nelle montagne e nei boschi; insomma, l’opposto della donna ‘carina’, che emula Venere, dea dell’amore e delle nozze, la donna che si guarda nello specchio, che si ‘fa bella’. Sia il fregio della casa del Tiaso sia quello dei Misteri mostrano la donna come sospesa, come oscillante tra questi due estremi, due modalità dell’essere femminile a quei tempi. Sono affreschi con un significato profondamente religioso, che però qui avevano la funzione di adornare spazi per banchetti e feste… un po’ come quando troviamo una copia della Creazione di Adamo di Michelangelo su una parete di un ristorante italiano a New York, per creare un po’ di atmosfera. Dietro queste meravigliose pitture, con il loro gioco con illusione e realità, possiamo vedere i segni di una crisi religiosa che stava investendo il mondo antico, ma ci possiamo anche cogliere la grandezza di una ritualità che risale a un mondo arcaico, almeno fino al II millennio a.C., al Dioniso dei popoli micenei e cretesi, che era chiamato anche Zagreus, signore degli animali selvatici.”
Gallery con foto della megalografia dalla Casa del Tiaso, Regio IX, a Pompei
Casa del Tiaso Dioniso Megalografia Regio IX Casa del Tiaso Dioniso Megalografia Regio IX Casa del Tiaso Dioniso Megalografia Regio IX Casa del Tiaso Dioniso Megalografia Regio IX Casa del Tiaso Dioniso Megalografia Regio IX
Immagini e video dall’Ufficio Stampa del Parco Archeologico di Pompei

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La Domus Aurea svela il prezioso blu egizio https://www.classicult.it/la-domus-aurea-svela-il-prezioso-blu-egizio/ https://www.classicult.it/la-domus-aurea-svela-il-prezioso-blu-egizio/?noamp=mobile#respond Mon, 20 Jan 2025 15:23:04 +0000 https://www.classicult.it/?p=291971 La Domus Aurea continua a sorprendere e restituisce una eccezionale scoperta legata alle botteghe che lavorarono agli affreschi della monumentale residenza voluta dall’imperatore Nerone.

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La Domus Aurea continua a sorprendere e restituisce una eccezionale scoperta legata al blu egizio e alle botteghe che lavorarono agli affreschi della monumentale residenza voluta dall’imperatore Nerone: due vasche in uso durante i lavori di costruzione dell’epoca che dovevano servire per spegnere la calce e per conservare e lavorare i pigmenti utilizzati per le decorazioni parietali.

Planimetria generale del padiglione della Domus Aurea, in evidenza ambiente 9 in cui sono state individuate le due vasche (© Parco archeologico del Colosseo)
Planimetria generale del padiglione della Domus Aurea, in evidenza ambiente 9 in cui sono state individuate le due vasche (© Parco archeologico del Colosseo)

Tra i pigmenti ritrovati e sottoposti ad analisi microscopiche e spettroscopiche per individuarne la composizione chimica e mineralogica, spicca la presenza di ocra gialla all’interno di un’anfora, di vasetti contenenti pigmenti con toni del rosso, come il realgar e la terra rossa, e soprattutto di un eccezionale lingotto del preziosissimo blu egizio, pronto per essere macinato.

Il blu egizio è un pigmento che non esiste in natura, ma viene prodotto artificialmente cuocendo, ad una temperatura molto elevata, una miscela di silice, rocce calcaree, minerali contenenti rame e carbonato di sodio. Il procedimento per la sua preparazione viene descritto da Vitruvio nella sua opera De Architectura, (VII, 11).

Domus Aurea: macro del lingotto di blu egizio (© Parco archeologico del Colosseo, Foto di Simona Murrone)
Domus Aurea: macro del lingotto di blu egizio (© Parco archeologico del Colosseo, Foto di Simona Murrone)

Conosciuto e usato almeno dalla metà del III millennio in Egitto e in Mesopotamia, si diffonde poi nel Mediterraneo antico. Nel mondo romano è impiegato nelle decorazioni pittoriche da solo o associato ad altri pigmenti per realizzare specifiche varietà cromatiche e ricercati effetti di luminosità.

Viene ad esempio usato per rendere una tonalità più fredda per l’incarnato delle figure, per realizzare il chiaroscuro nei panneggi delle vesti o, ancora, per dare lucentezza agli occhi.

Particolare dell’anfora con ocra gialla in fase di scavo (© Parco archeologico del Colosseo)
Particolare dell’anfora con ocra gialla in fase di scavo (© Parco archeologico del Colosseo)

Sicuramente uno dei maggiori centri di produzione ed esportazione del blu egizio è stata la città di Alessandria d’Egitto, ma anche in Italia importanti sono stati i centri di Cuma, Literno e Pozzuoli, quest’ultima già ricordata da Vitruvio come luogo famoso per una produzione di eccellenza.

A Pompei, invece, l’uso del blu egizio è legato alla lavorazione e all’uso del pigmento in contesti di lusso.

Veduta d’insieme delle vasche di lavorazione da sud (© Parco archeologico del Colosseo)
Veduta d’insieme delle vasche di lavorazione da sud (© Parco archeologico del Colosseo)

Il ritrovamento a Roma, in ambito imperiale, di un nucleo così cospicuo di blu egizio conferma ancora una volta la raffinatezza e l’altissima specializzazione delle maestranze che operano nelle decorazioni del palazzo, con l’uso di pigmenti ricercati e costosi.

  “Il fascino trasmesso dalla profondità del blu di questo pigmento è incredibile” – commenta Alfonsina Russo, Direttore del Parco archeologico del Colosseo – “la Domus Aurea ancora una volta emoziona e restituisce la brillantezza dei colori utilizzati dai pittori che abilmente decorarono la stanze di questo prezioso e raffinato palazzo imperiale”.

Lingotto di blu egizio (© Parco archeologico del Colosseo, Foto di Simona Murrone)
Lingotto di blu egizio (© Parco archeologico del Colosseo, Foto di Simona Murrone)

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Scoperte le prime forme ceramiche del Kurdistan iracheno https://www.classicult.it/scoperte-le-prime-forme-ceramiche-risalenti-a-8000-anni-fa-del-kurdistan-iracheno/ https://www.classicult.it/scoperte-le-prime-forme-ceramiche-risalenti-a-8000-anni-fa-del-kurdistan-iracheno/?noamp=mobile#respond Wed, 08 Jan 2025 16:53:08 +0000 https://www.classicult.it/?p=290059 Nuove scoperte archeologiche nel Kurdistan iracheno. Un team di studiosi dell’Università di Udine ha portato alla luce, nel sito di Kanispan, un insediamento di epoca neolitica del VII millennio a.C., resti di prime produzione ceramica risalenti a 8000 anni fa.

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Scoperte le prime forme ceramiche del Kurdistan iracheno, risalenti a 8000 anni fa. Il progetto di ricerca è dell’Università di Udine.

Un team di studiosi dell’Università di Udine ha portato alla luce, nel sito di Kanispan, un insediamento di epoca neolitica del VII millennio a.C., resti di prime produzioni ceramiche risalenti a 8000 anni fa.

Nel vicino sito di Asingeran sono stati trovati anche due grandi edifici di 6-7000 anni fa, denominati “Rectangular Mudbrick Building” e “White Building“, costruiti sulla cima di una collina appartenenti alle élite del tempo.

prime forme ceramiche Kurdistan iracheno
Il sito di Asingeran visto da nord durante le fasi iniziali di scavo. Foto Università di Udine

Questi sono i risultati della campagna di scavi condotta quest’anno nell’ambito del progetto “Asingeran Excavation Project” diretto dall’Ateneo friulano e dalla Direzione delle Antichità di Dohuk.

Obiettivo del progetto è ricostruire i meccanismi che hanno trasformato le prime società agricole di tipo egalitario in insediamenti complessi caratterizzati da specializzazione nel lavoro e gerarchia sociale: un prototipo di società moderna. Le aree di ricerca si trovano nella piana di Navkur, a pochi chilometri dalla città di Rovia.

prime forme ceramiche Kurdistan iracheno
Fornace di epoca tardo calcolitica del sito di Asingeran, vista da nord. Foto Università di Udine

Il lavoro degli archeologi proseguirà con l’analisi di laboratorio dei resti ceramici, paleobotanici e del Dna trovati nei due siti, grazie a una serie di collaborazioni con le università di Bologna e di Padova e con il Museo Nazionale di Danimarca. I risultati di queste indagini permetteranno di ricostruire sia il tessuto sociale delle prime comunità residenti ad Asingeran, e più in generale nella piana di Navkur, e sia le locali strategie agricole di sussistenza.

Il progetto, coordinato da Marco Iamoni, fa capo al Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale dell’Ateneo udinese.

prime forme ceramiche Kurdistan iracheno
Scoperte le prime forme ceramiche del Kurdistan iracheno, risalenti a 8000 anni fa. Scavi dell’area Asingeran. Sebastiano Sicco, studente dell’Università di Udine, annota il diario di scavo. Foto Università di Udine

 «Le informazioni ottenute ad Asingeran e nel nuovo sito di Kanispan sono eccezionali – sottolinea il professor Iamoni, docente di Archeologia e storia dell’arte dell’Asia occidentale e del Mediterraneo orientale antichi –. Nel primo sito i due grandi edifici indicano la presenza di élite, a Kanispan le tracce delle primissime forme di produzione ceramica sono abbinate alla lavorazione dei cereali che venivano coltivati nell’area».

Il sito di Asingeran è stato identificato nel 2013 durante una ricognizione condotta dall’Università di Udine nell’ambito del progetto PARTeN. L’indagine ha rivelato una estesa e ininterrotta occupazione dal Neolitico Ceramico fino all’inizio del III millennio a.C., con una considerevole fase di reinsediamento nella seconda metà del II millennio a.C.

 «Il sito – spiega Iamoni – è un caso studio per indagare le modalità di occupazione del territorio e la nascita della complessità socio-economica nell’area dell’Alto Tigri Orientale e, più in generale, nella Mesopotamia Settentrionale».

I lavori ad Asingeran hanno riportato alla luce anche abitazioni in pietra, di dimensioni ridotte, risalenti a tre diversi momenti di occupazione di epoca ottomana media e tarda (1500 – 1800 d.C.). Al loro interno e negli spazi aperti circostanti sono state rinvenuti focolari e buche di palo, forni per la cottura di alimenti (tannur) e una fornace, indizio della funzione domestica dell’area.

Lavori di scavo sul sito di Kanispan. Foto Università di Udine

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Finziade: nuovi ritrovamenti nell’antica città https://www.classicult.it/finziade-nuovi-ritrovamenti-nellantica-citta/ https://www.classicult.it/finziade-nuovi-ritrovamenti-nellantica-citta/?noamp=mobile#comments Wed, 11 Dec 2024 10:28:37 +0000 https://www.classicult.it/?p=287622 Riprendono gli scavi presso l’antica città di Finziade, l’odierna Licata.

Gli scavi, in corso dallo scorso anno, sono sostenuti dal Parco archeologico della Valle dei Templi di Agrigento diretto da Roberto Sciarratta in convenzione con il Cnr di Catania e si inseriscono nel programma "Finziade project", diretto dagli archeologi Alessio Toscano Raffa per il Cnr-Ispc Catania, e Maria Concetta Parello, con il coordinamento logistico di Rosario Callea, del Parco della Valle dei Templi.

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Riprendono gli scavi presso l’antica città di Finziade, l’odierna Licata, con nuovi ritrovamenti.

Gli scavi, in corso dallo scorso anno, sono sostenuti dal Parco archeologico della Valle dei Templi di Agrigento diretto da Roberto Sciarratta in convenzione con il Cnr di Catania e si inseriscono nel programma “Finziade project“, diretto dagli archeologi Alessio Toscano Raffa per il Cnr-Ispc Catania, e Maria Concetta Parello, con il coordinamento logistico di Rosario Callea, del Parco della Valle dei Templi.

Finziade
Area scavi Finziade. Foto: Parco Valle dei Templi

Obiettivo del progetto, sostenuto in modo diretto anche dalla comunità locale, è ricostruire l’impianto urbanistico dell’antica Finziade e conoscere meglio le caratteristiche della vita quotidiana nell’ultima fondazione greca di Sicilia (282 a.C.).

Da una delle case attualmente oggetto di studio, infatti, è emersa una grande anfora all’interno della quale gli archeologi hanno rinvenuto un’importante quantità di resti di pesci di piccole dimensioni, che saranno adesso oggetto di specifici studi da parte della paleobotanica Erika Zane e dell’archeozoologa Ester Vaga.

Finziade
L’anfora e il suo contenuto. Foto: Parco Valle dei Templi

Si tratta di un ritrovamento non comune soprattutto per la quantità dei resti e per il loro stato di conservazione, che consentirà di comprendere meglio le abitudini alimentari e le tecniche di conservazione dei cibi da parte degli abitanti dell’antica città.

Le attività avviate ad inizi dicembre, rientrano tra le iniziative per la promozione e l’organizzazione delle iniziative collegate all’evento “Agrigento capitale della cultura italiana 2025”, ai sensi dell’articolo 24, legge regionale n. 1 del 16 gennaio 2024, di cui al decreto 2931 del 25 luglio 2024.

Finziade
L’anfora e il suo contenuto. Foto Parco Valle dei Templi

Il sito dell’antica Finziade sorge presso il centro della città moderna di Licata in provincia di Agrigento sulla costa meridionale della Sicilia. L’area è caratterizzata morfologicamente da un sistema collinare disposto in senso E-O per una lunghezza di circa 8 km: la così detta “Montagna di Licata”, contrassegnata nel suo versante ad est dal monte S. Angelo e a nord da una piana alluvionale delimitata da altri sistemi collinari. L’ottima posizione consente di controllare a sud gli approdi marittimi e risalire attraverso il fiume Salso, l’antico Himera meridionale, l’entroterra siculo.

Il territorio di Licata per anni ha subito delle ombre per l’identificazione dell’antico sito di Finziade con quello di Gela, questione che, se pur oggi superata, ha causato sicuramente una non corretta impostazione delle ricerche storico-archeologiche.

Finziade
Nuovi ritrovamenti a Finziade: l’anfora e il suo contenuto. Parco Valle dei Templi

Ricerca antiquaria La questione si rifà alla tradizione degli studi antiquari che vede con trapporsi da un lato Tommaso Fazello, sostenitore dell’identificazione del sito di Finziade con Gela, avvallata dal ritrovamento nel 1660 a Licata di una epigrafe con un decreto dei Geloi, e dall’altro Cluverio, che identificava Licata con Finziade e Gela con il centro di Terranova.

Proprio il ritrovamento dell’epigrafe, datata forse tra la fine del III-I sec a.C. contenente il decreto, ha condotto il filone di ricerca antiquaria verso l’ipotesi fazelliana. Nonostante già nel 1873 lo studioso J. Schubring, in un suo saggio, avesse condotto la questione topografica verso corretti termini di ricerca, è solo a partire dagli anni ‘60 che viene ridato l’impulso alla ricerca topografica ed archeologica dalla Soprintendenza di Agrigento.

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San Casciano dei Bagni: grandi novità dalla campagna di scavo 2024 https://www.classicult.it/san-casciano-dei-bagni-grandi-novita-dalla-campagna-di-scavo-2024/ https://www.classicult.it/san-casciano-dei-bagni-grandi-novita-dalla-campagna-di-scavo-2024/?noamp=mobile#respond Tue, 03 Dec 2024 16:29:49 +0000 https://www.classicult.it/?p=286029 Continuano gli scavi e i ritrovamenti nel sito archeologico di San Casciano dei Bagni (Si). Alla presenza del Ministro della Cultura Alessandro Giuli, oggi sono stati presentati gli eccezionali risultati della campagna di ricerche 2024 con importanti novità.

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Continuano gli scavi e i ritrovamenti nel sito archeologico di San Casciano dei Bagni (SI): alla presenza del Ministro della Cultura Alessandro Giuli, oggi sono stati presentati gli eccezionali risultati della campagna di scavo 2024, con importanti novità.

L’estensione delle indagini e l’ampliamento dell’area di scavo ha permesso l’individuazione del tèmenos, l’area sacra che racchiudeva più edifici, tra i quali il tempio costruito attorno alla Vasca sacra.

Un edificio più antico, o forse un grande recinto, costruito in blocchi di travertino, già in età etrusca circondava la sorgente del Bagno Grande, definendo lo spazio sacro del culto, almeno dal III secolo a.C.

San Casciano dei Bagni: gallery con foto dalla campagna di scavo 2024

Recupero statua di orante. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Claudia Petrini Recupero tronco maschile. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Emanuele Mariotti Mariotti, Tabolli, Salvi con statua di orante. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Claudia Petrini Statua di donna orante. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Claudia Petrini San Casciano dei Bagni: grandi novità dalla campagna di scavo 2024 Dettaglio di testa maschile. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Alessandra Fortini Dettaglio di statua, tronco maschile. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Claudia Petrini Fanciullo con palla. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Claudia Petrini Fanciullo con palla. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Ludovico Salerno Dettaglio di statua, fanciullo con palla. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Alessandra Fortini Moneta con iscrizione concordia. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Alessandra Fortini Dettaglio del serpente. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Alessandra Fortini uovo integro. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Alessandra Fortini panoramica dello scavo. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena panoramica dello scavo. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena panoramica dello scavo. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena uovo conservato nel fango. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Alessandra Fortini rametto lavorato. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Chiara Fermo Statuetta di toro. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Chiara Fermo restauro. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Wilma Basilissi restauro. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Chiara Fermo Restauro. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Wilma Basilissi serpente agatodemone. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Vera Bucci serpente agatodemone. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Ludovico Salerno monete. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Claudia Petrini braccio in bronzo. statuetta con corona turrita. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Alessandra Fortini statuetta con corona turrita. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Alessandro Vierucci testa maschile. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Ludovico Salerno lamina con iscrizione. statuetta di offerente. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Ludovico Salerno statuetta di offerente. Foto © Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Siena, Grosseto e Arezzo, Comune di San Casciano dei Bagni, UNISTRASI - Università per Stranieri di Siena. Foto di Ludovico Salerno

 

Lo scavo ha ancora avuto come obiettivo quello di mettere in luce una porzione più ampia della Vasca sacra, poi ricostruita sotto Tiberio e Claudio a seguito della caduta di un fulmine, un presagio che andava espiato con la chiusura del luogo stesso e la sepoltura dei suoi preziosi doni con una nuova ricostruzione che ha portato, come sappiamo, ai fortunati ritrovamenti in questi anni con deposizioni di lucerne, unguentari di vetro, bronzetti votivi, ex voto anatomici in terracotta dipinta e perfino foglie d’oro. Un contesto particolare, assolutamente unico, protetto per tutti questi secoli da acqua caldo e fango.

Dopo un complesso lavoro di gestione dell’acqua proveniente dalla sorgente, alla profondità di quasi 5 metri, lo scavo 2024 ha raggiunto nuove sequenze stratigrafiche e ha permesso il ritrovamento di nuovi donativi nei metalli e materiali più vari.

Quattro nuove statue e poi braccia, teste votive e gambe iscritte, assieme a strumenti del rito, come un’elegante lucerna, o un piccolo toro in bronzo, a richiamare quel mondo agro-pastorale così importante in questo contesto e già rappresentato dal bassorilievo all’interno della vasca sacra. E ancora monete di età repubblicana e imperiale, ormai più di 10.000, rinvenute nel santuario del Bagno Grande. Ma accanto al bronzo, il rinvenimento di una corona e di un anello d’oro si associa alla moltiplicazione di aurei romani. Sono metalli preziosi, tra cui gemme, ambra e altri gioielli, che legano il dono per le capacità terapeutiche delle acque calde alle pratiche divinatorie che nel santuario dovevano certamente trovare il loro fulcro.

Le nuove iscrizioni sono sia in lingua etrusca che in latino e recano i nomi in etrusco, Cleusi, l’antica città di Chiusi, o dediche alle ninfe e al Flere Havens, la fonte sacra. Ma ancora, un eccezionale corpo nudo maschile è offerto esattamente a metà, come reciso dal collo ai genitali da un taglio chirurgico.

Dedicato da un Gaio Roscio alla Fonte Calda, questo mezzo corpo testimonia forse la guarigione della parte immortalata nel bronzo. Un bimbo augure, un piccolo sacerdote della fine del II secolo a.C., con una lunga iscrizione in etrusco sulla gamba destra, reca nella mano sinistra una palla, con i classici pentagoni cuciti, che ancora ruota tra le dita: forse un elemento divinatorio, da far ruotare in un rito.

Il gesto dell’offerente è reso da una statua femminile, quasi identica a quella rinvenuta nel 2022, con eleganti trecce che ricadono sul petto e deposta su un lato.

Sicuramente eccezionali nel contesto di rinvenimento migliaia di frammenti di uova di gallina e in alcuni casi ancora intere, ritrovate nella stratificazione del deposito la cui deposizione rimanda ai riti di rinascita e rigenerazione – si alternano strati di offerte, scaglie di travertino e piani d’argilla. E ancora pigne, rametti tagliati e decorati con intrecci vegetali, a ricordare come le acque salutifere debbano essere in qualche modo “nutrite” dalla forza rigenerante della natura.

Alla base di grandi tronchi lignei, infissi in verticale nel deposito, in uno dei punti focali della vasca più antica, lo scavo ha portato alla luce una serie di serpenti in bronzo, concentrati nella profondità del deposito.

Di forme diverse, presentano misure di scale differenti: dai piccoli serpentelli ad un esemplare di oltre 90 cm, quasi la mensura honorata, la misura perfetta di tre piedi romani, barbuto e cornuto, protettore della sorgente e detentore di un ruolo fondamentale nelle pratiche divinatorie, come si può osservare in molti altri contesti del Mediterraneo antico.

Lo scavo del Bagno Grande di San Casciano dei Bagni è in concessione di scavo al Comune di San Casciano dei Bagni, da parte della Direzione Generale Archeologia, belle arti e paesaggio e nasce in collaborazione con la Soprintendenza ABAP per le province di Siena, Grosseto e Arezzo e il coordinamento scientifico dell’Università per Stranieri di Siena. Gli interventi di conservazione e restauro avvengono in collaborazione con l’Istituto Centrale per il Restauro.

“San Casciano è un luogo a me caro. Qui mi è venuta l’idea di un piano Olivetti per la cultura, ossia di stabilire un legame tra borghi, periferie, città. Questo degli scavi di San Casciano dei Bagni è un progetto che nasce in una comunità straordinaria, con ritrovamenti che inducono il MiC a sostenerlo fortemente, affinché l’area archeologica e i beni in essa ritrovati possano essere valorizzati al meglio e la struttura museale prenda forma nel più breve tempo possibile. Quello di San Casciano è un progetto di assoluto rilievo per il MiC” ha affermato il Ministro della Cultura, Alessandro Giuli.

“La straordinaria partecipazione alla presentazione di oggi e la presenza del Ministro sono il segno del grande sostegno che l’amministrazione sta dando e darà a questo progetto archeologico. Qui, a San Casciano dei Bagni, si è sviluppata una buona pratica di collaborazione tra tanti soggetti pubblici e privati e da questo è scaturito un progetto che il Ministro della Cultura ha finanziato e sostenuto. Un progetto che si fonda su basi scientifiche, su un gruppo di archeologi coeso e multidisciplinare e su una comunità locale presente e partecipe. La diffusione della conoscenza che sta venendo fuori dalle ricerche archeologiche è un punto fondamentale del progetto, insieme alla valorizzazione degli oggetti. I reperti ci trasmettono un messaggio antico ma attuale, la connessione tra la salute e la necessità di curarsi e la fede, tra il metodo scientifico e le pratiche rituali, il tutto legato dall’acqua termominerale del Bagno Grande. I dati ci raccontano di un mondo che sta cambiando, il passaggio dalla cultura etrusca a quella romana, dove il dono è rappresentato dai materiali preziosi, il bronzo, i gioielli e le monete appunto. Ci sono quindi tutti i presupposti per continuare a finanziare il progetto, che non riguarda solo gli scavi ma anche la realizzazione di un museo e di un parco archeologico presso il Bagno Grande”, ha detto il Capo Dipartimento Tutela del MIC, Luigi La Rocca.

“La Direzione generale Musei sta procedendo con determinazione, insieme alla Direzione generale archeologia belle arti e paesaggio e alla Soprintendenza, verso la realizzazione del nuovo Museo Archeologico Nazionale di San Casciano. Grazie a un finanziamento di 4,5 milioni di euro nell’ambito dei Grandi Progetti Beni Culturali, il cinquecentesco Palazzo dell’Arcipretura, situato nel cuore della città e recentemente acquisito dal Ministero della Cultura, sarà ristrutturato e allestito per ospitare questo nuovo spazio espositivo. Entro giugno 2025 sarà completata la progettazione, così da avviare i lavori entro la fine dello stesso anno. Parallelamente, stiamo acquisendo un ulteriore edificio, situato proprio di fronte al Palazzo dell’Arcipretura, che accoglierà uffici e laboratori al servizio del museo. Questo progetto, frutto di una virtuosa collaborazione tra istituzioni, porterà entro il 2026 all’apertura di un museo accessibile, progettato secondo i più elevati standard del Sistema Museale Nazionale. Qui, i bronzi di San Casciano troveranno la loro casa, per raccontare a tutti i pubblici la straordinaria storia che li accompagna”, ha spiegato il Direttore generale Musei del MIC, Massimo Osanna.

Foto e video dall’Ufficio Stampa e Comunicazione Ministero della Cultura – MiC

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Aquileia: nuove scoperte dalle Grandi Terme https://www.classicult.it/aquileia-nuove-scoperte-dalle-grandi-terme/ https://www.classicult.it/aquileia-nuove-scoperte-dalle-grandi-terme/?noamp=mobile#respond Mon, 02 Dec 2024 16:41:07 +0000 https://www.classicult.it/?p=285928 Nuove scoperte ad Aquileia. Gli archeologi dell’Università di Udine hanno anche anticipato all’inizio del IV secolo d.C. la costruzione del maestoso complesso termale

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Nuove scoperte ad Aquileia: gli archeologi dell’Università di Udine hanno anche anticipato all’inizio del IV secolo d.C. la costruzione delle Grandi Terme, il maestoso complesso termale della città capitale della X regione augustea.

La missione di scavo condotta da un team di archeologi del Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale dell’Università di Udine guidato da Matteo Cadario, insieme a Marina Rubinich e Antonio Dell’Acqua, e con la collaborazione scientifica della Fondazione Aquileia e del suo direttore, Cristiano Tiussi si è concentrata nell’area delle Grandi Terme.

Le principali scoperte sono un’abside (ambiente semicircolare) monumentale di circa 30 metri di ampiezza, una decina di parti di statue di divinità e di imperatori, o alti dignitari, e frammenti di colonne, tra cui una colossale del cosiddetto marmo africano (l’odierna Turchia).

Gli studiosi dell’Ateneo friulano hanno inoltre scoperto che la costruzione del complesso è iniziata intorno al 300 d.C., cioè almeno un decennio prima di quanto finora ipotizzato. E questo grazie all’analisi radiocarbonica di un palo di ontano utilizzato dai romani per la bonifica dell’area al momento della costruzione dell’edificio e portato alla luce durante gli scavi.

Aquileia
Studenti al lavoro nel caldarium e panoramica dell’abside del frigidarium

La missione è condotta su concessione ministeriale, in accordo con la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per il Friuli-Venezia Giulia, con la collaborazione scientifica e il supporto finanziario della Fondazione Aquileia.

«Le novità portate alla luce sono di valore straordinario sia per lo stato di conservazione delle strutture che per il significato dei reperti rinvenuti per la ricostruzione della funzione dell’edificio» sottolinea il direttore degli scavi Matteo Cadario.

«Le evidenze emerse e i nuovi dati acquisiti grazie agli scavi dell’Università di Udine – dichiara la Soprintendente, Valentina Minosi – dimostrano l’importanza della collaborazione proficua che si è da anni instaurata fra Università e Soprintendenza e che si esplicita attraverso l’affidamento in concessione delle attività di scavo da parte del Ministero della cultura e attraverso il costante confronto fra le Istituzioni sulle indagini conoscitive svolte e per assicurare le attività di tutela».

La scoperta dell’abside di 30 metri, muri compresi, è avvenuta nell’area del percorso balneare delle terme. Era infatti aperta sulla grande aula del frigidarium (la zona destinata ai bagni in acqua fredda). Pavimentata in lastre di marmo e di calcare, l’abside chiude a est l’asse centrale delle terme.

Trova una perfetta corrispondenza nella più piccola abside del caldarium (la zona destinata ai bagni in acqua calda), larga 15 metri, situata sul lato opposto e messa in luce tra il 2021 e il 2023. Le fondazioni dei muri dell’abside, larghe più di 5 metri, dovevano sostenere un imponente alzato a più piani che doveva contenere nicchie per statue e serviva anche da facciata monumentale delle terme verso la città di Aquileia.

«È una novità eccezionale – spiega il professor Cadario – che conferma ulteriormente lo splendore e la maestosità dell’edificio e consente di comprenderne meglio la pianta. Come si comprende dai confronti con le terme Erculee di Milano e con le Kaiserthermen di Trier, il modello è caratteristico delle terme imperiali di età tetrarchica, ossia costruite tra il 293 e il 305 d.C., quando l’impero fu governato da quattro imperatori».

Durante lo scavo sono venuti alla luce anche frammenti di statue di epoche diverse. Le statue furono riunite all’inizio del IV secolo d.C. per ornare adeguatamente il frigidarium, che si presentava quindi come la sala più imponente dell’edificio.

Aquileia
L’abside del frigidarium

Spiccano due parti di statue maschili in toga, una in origine colossale, e una statua con indosso la corazza di dimensioni pari al vero, probabilmente raffiguranti in origine imperatori o alti dignitari.

Ma sono stati trovati anche alcuni frammenti di statue di divinità, tra cui la parte inferiore di un Esculapio, dio della medicina, e una probabile statuetta di Giove con egida (la pelle della capra Amaltea che il dio usava come mantello).

Sono stati portati alla luce anche diversi elementi dell’architettura dell’edificio, che spesso dovevano essere stati recuperati da edifici più antichi per essere riusati.

Aquileia
La scoperta di tre statue

«Il frigidarium doveva ospitare colonne colossali di marmo africano – commenta Antonio Dell’Acqua – e basi riccamente decorate, simili a quelle impiegate nelle terme inaugurate da Caracalla a Roma nel 216 d.C.»

Dalla stessa zona proviene anche la statua di Diomede scoperta dagli archeologi dell’Ateneo friulano nel 2003 a conferma della ricchezza dell’arredo scultoreo che contribuiva a trasformare le terme imperiali tardoantiche in “musei”.

Le indagini proseguiranno anche nel settore dove sorgeva il caldarium e nel settore corrispondente a una serie di ambienti di più fasi adiacenti il corpo centrale nella zona nord est dell’edificio.

Aquileia
L’abside del frigidarium

Importante anche la retrodatazione della costruzione delle Grandi Terme i cui lavori sono iniziati probabilmente all’inizio del IV secolo d.C. anziché diversi decenni più tardi. Il cantiere iniziò probabilmente al tempo di Massimiano e Diocleziano, i due Augusti che nel 305 d.C. abdicarono.

Costantino, che conquistò Aquileia nel 312 d.C., potrebbe quindi aver solo completato l’opera, prima del 325, appropriandosi però del merito e intestandosi le terme.

 

«Abbiamo fatto analizzare al carbonio 14 – racconta Marina Rubinich – un palo di ontano che abbiamo scoperto effettuando un carotaggio nell’area dell’abside del frigidarium, e che era stato utilizzato dai romani per bonificare la zona prima di costruire il muro».

«L’area delle Grandi Terme non smette di rivelare nuovi e importanti tasselli della sua affascinante storia grazie all’impegno congiunto dell’Università di Udine e della Fondazione Aquileia sancito da un accordo di collaborazione scientifica ed economica» affermano il presidente Roberto Corciulo e il direttore Cristiano Tiussi.

«La prosecuzione e l’ampliamento delle ricerche archeologiche nelle aree conferite dal Ministero della cultura rappresentano una fonte inesauribile di conoscenza e costituiscono perciò una delle linee strategiche fondamentali della Fondazione Aquileia verso la costituzione del Parco Archeologico» spiegano Corciuolo e Tiussi.

«Il Piano strategico degli interventi, approvato ad aprile 2024, definisce anche per il prossimo quinquennio un sostanzioso impegno economico per le indagini in collaborazione con le Università – evidenziano i vertici della Fondazione –. Nel caso specifico, abbiamo inteso intraprendere programmaticamente nel Piano i passaggi preliminari per l’apertura al pubblico dell’area delle Grandi Terme, la più vasta tra quelle conferite dal Ministero della cultura alla Fondazione Aquileia con i suoi 8 ettari di estensione.

«Essa include – spiegano Corciulo e Tiussi – due complessi monumentali di primaria importanza nell’urbanistica aquileiese, le terme e il teatro, e inoltre si collega a due aree già aperte al pubblico, il decumano di Aratria Galla con le mura altomedievali e il Sepolcreto. Due distinti itinerari attraverseranno questa zona: uno più prettamente archeologico, l’altro di carattere naturalistico collegato alla storica Roggia del Mulino, della quale stiamo trattando con il Demanio il conferimento e la gestione.

«Così come per lo scavo del vicino teatro, la collaborazione con l’Università di Udine – sottolineano infine Corciulo e Tiussi – pone anche le basi per pensare concretamente alla futura valorizzazione del complesso termale, di cui nel progetto scientifico allegato all’accordo di programma si è inteso prima di tutto determinare le considerevoli dimensioni. L’emozionante scoperta dei numerosi frammenti di statue avvenuta quest’anno, oltre a quella già nota dei bellissimi mosaici, rendono la sfida ancor più affascinante».

Veduta aerea dell’abside e del calidarium

Le Grandi Terme di Aquileia, o Thermae felices Constantinianae, come sono chiamate nell’iscrizione di una base di statua di Costantino rinvenuta nell’area, erano state realizzate in una città che era uno dei porti principali del Mediterraneo e una delle nuove residenze imperiali.

In età tetrarchica l’impero era stato infatti suddiviso tra quattro imperatori, due Augusti e due Cesari. Gli imperatori cessarono di abitare a Roma, scegliendo altre città, tra cui Aquileia, come loro sedi e dotandole degli edifici adeguati al prestigio di una “capitale”.

«La collocazione delle terme nello spazio dell’ampliamento della città protetto dalle nuove mura tardoantiche prova inoltre – sottolinea Cadario – la volontà imperiale di beneficare l’otium della popolazione aquileiese, dotandola di una magnifica struttura termale, come avvenne anche a Milano, Trier, Arles, Antiochia e poi Costantinopoli».

Crediti fotografici: Università di Udine

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Prende il via il Bicentenario del Museo Egizio: riaprono la Galleria dei Re e il Tempio di Ellesiya https://www.classicult.it/prende-il-via-il-bicentenario-del-museo-egizio-riaprono-la-galleria-dei-re-e-il-tempio-di-ellesiya/ https://www.classicult.it/prende-il-via-il-bicentenario-del-museo-egizio-riaprono-la-galleria-dei-re-e-il-tempio-di-ellesiya/?noamp=mobile#respond Wed, 20 Nov 2024 16:49:09 +0000 https://www.classicult.it/?p=283902 Entrano nel vivo le celebrazioni del bicentenario del Museo Egizio: riaprono la Galleria dei Re e il Tempio di Ellesiya

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Con la riapertura della Galleria dei Re e della sala che ospita il tempio di Ellesiya, si inaugura ufficialmente il bicentenario del Museo Egizio di Torino.

Gallery delle nuove sale

Bicentenario Museo Egizio Galleria dei Re

Le sale, chiuse al pubblico da otto mesi per il restauro e il riallestimento, sono state visitate in anteprima dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dal Ministro della Cultura Alessandro Giuli e dal Secretario Generale del Consiglio Supremo delle Antichità della Repubblica Araba d’Egitto, Khaled Mohamed Ismail accompagnati dal direttore del Museo Egizio Christian Greco e dalla Presidente della Fondazione Museo Egizio Evelina Christillin.

Gallery dell’inaugurazione della Galleria dei Re e del Tempio di Ellesiya, alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella e del ministro della Cultura, Alessandro Giuli

Bicentenario Museo Egizio Galleria dei Re

È l’ultima tappa di una serie di nuovi allestimenti ed eventi, che hanno scandito il 2024, anno del bicentenario del Museo Egizio, un traguardo che verrà celebrato per tutto il 2025, quando si concluderà il progetto della corte coperta in vetro e acciaio e dell’ipogeo, firmato dallo Studio Oma – Office for Metropolitan Architecture, di Rotterdam.

Crediti per la foto: Mauro Ujetto

Celebrare il bicentenario del Museo Egizio è un esercizio sia di memoria sia di proiezione verso il futuro. Il progetto architettonico di OMA nasce da una nuova visione del Museo come istituzione di ricerca di livello mondiale e luogo inclusivo dove tutti i visitatori sono invitati a scoprire il mondo dell’antico Egitto. È con grande orgoglio che presentiamo la Galleria dei Re rinnovata e offriamo per la prima volta l’accesso gratuito al Tempio di Ellesiya, che fu a sua volta un dono del governo egiziano al popolo italiano. Basandoci sulla grande trasformazione completata nel 2015, i lavori di ristrutturazione in corso sosterranno il Museo Egizio nel nostro obiettivo di aprirci al mondo e raccontare ai visitatori non solo la cultura materiale, ma anche la storia nascosta dei reperti e della civiltà dell’antico Egitto. Per il bicentenario, abbiamo deciso di riflettere sul ruolo del Museo, ponendoci domande difficili: il museo è un luogo di conservazione o di distruzione? Cosa ci manca ancora a 200 anni dalla nostra fondazione? Sono queste domande che hanno guidato la nostra strategia per la prossima fase della storia di questa straordinaria istituzione e collezione”, hanno dichiarato la Presidente del Museo Egizio, Evelina Christillin e il Direttore, Christian Greco.

Il bicentenario è anche un’occasione per celebrare i 20 anni della Fondazione Museo delle Antichità Egizie, la prima struttura di gestione per un grande museo italiano di natura pubblico-privata. Abbiamo sviluppato nuovi percorsi accessibili, migliorato la nostra autonomia finanziaria e consolidato un nuovo modello per creare valore sociale, culturale ed economico. Questi ingredienti chiave ci hanno aiutato a creare uno spazio aperto a tutti, un museo archeologico contemporaneo che accoglie la diversità e esplora nuovi orizzonti interdisciplinari”, ha dichiarato Samanta Isaia, Direttrice gestionale del Museo Egizio.

L’opportunità di progettare la Galleria dei Re ci ha spinto a esplorare la maniera in cui l’esperienza museale contemporanea e il contesto storico dei reperti possano coesistere attraverso l’architettura. È stato un onore lavorare con la squadra altamente professionale e dedicato del Museo su questo progetto. Siamo entusiasti di vedere come i visitatori locali e internazionali si rapporteranno a questa collezione in modi nuovi. Non vediamo l’ora di continuare la collaborazione con il Museo Egizio per realizzare il resto della trasformazione architettonica”, ha dichiarato David Gianotten, Managing Partner Architect dello Studio Oma – Office for Metropolitan Architecture.

Il Museo vuole aprirsi alla società e si propone di riflettere sul nuovo corso dei musei archeologici come luoghi di scambio e di continua evoluzione per un pubblico sempre più ampio.

Crediti per la foto: Mauro Ujetto

Per questo motivo, il Museo Egizio già dal 2023 ha intrapreso un percorso di rinnovamento, non solo sotto il profilo architettonico, con un grande progetto firmato dallo Studio Oma, che si è tradotto in un cantiere in tre lotti che terminerà nell’estate del 2025, ma anche sotto il profilo scientifico, di ricerca archeologica e di riallestimento delle collezioni. Un percorso che è stato avviato nel dicembre 2023, con l’inaugurazione della Galleria della Scrittura ed è proseguito con il riallestimento della Sala Deir-El Medina, la creazione della Sala dei Tessuti, il lancio dei Giardini Egizi sul Roof Garden, la creazione della sala dedicata al corredo della Regina Nefertari, a 120 anni dalla scoperta della sua tomba, e non ultimo l’allestimento permanente di un’ala del museo dal titolo Materia. Forma del tempo.

Crediti per la foto: Simone Dalmasso

La sintesi plastica dei nuovo corso del Museo Egizio, che intende coniugare la progettazione architettonica alla ricerca archeologica, è costituita proprio dalla nuova Galleria dei Re, curata da sei egittologi (Johannes Auenmüller, Paolo Del Vesco, Alessandro Girardi, Cédric Gobeil, Federico Poole e Martina Terzoli) e realizzata dallo Studio Oma – Office for Metropolitan Architecture di Rotterdam; e dalla Cappella Rupestre di Ellesiya, il cui nuovo ingresso da via Duse, nel retro del Museo, ha rimodellato il palazzo seicentesco dell’ex Collegio dei Nobili e l’esperienza d visita del Tempio. Restaurata dal Centro di Restauro e Conservazione La Venaria Reale, la Cappella Rupestre di Ellesiya è stata riallestita grazie al lavoro di ricerca e studio degli egittologi e curatori del Museo (Johannes Auenmüller, Alessia Fassone, Paolo Marini, Beppe Moiso, Tommaso Montonati). Un suggestivo video mapping, ideato da Robin Studio, sui blocchi della Cappella restituisce al pubblico il suo viaggio verso l’Italia.

La nuova Galleria dei Re del Museo Egizio

Una nuova immagine, che grazie al lavoro degli allestitori, vuole restituire un’idea di contesto originario.

From darkness to light”, dall’oscurità alla luce. In collaborazione con lo studio di architettura OMA, lo spazio è stato aperto, facendo entrare luce dalle ampie vetrate seicentesche del Collegio dei Nobili, rimaste chiuse per quasi vent’anni, riportando anche a vista le grandi volte delle sale. Le statue sono state riposizionate perché siano fruite meglio e “da vicino”, oggetto di una narrazione rinnovata, più prossima al pubblico. L’allestimento riflette ed è l’esito diretto dell’importante lavoro di ricerca svolto dai curatori del Museo Egizio.

Crediti per la foto: Mauro Ujetto

In questo senso, uno dei principali obiettivi che il Museo Egizio si è posto è stato quello di far tornare protagonista il contesto archeologico attraverso una narrazione che parli a tutti, in modo ampio e stratificato.

Crediti per la foto: Mauro Ujetto

A questa rigorosa disamina scientifica, il nuovo progetto affianca uno sviluppo allestitivo curato assieme che riflette la volontà di amplificare la luminosità degli spazi e di conseguenza la leggibilità delle opere attraverso soluzioni quali i grandi pannelli di alluminio: oltre a dare vita a un contrasto materico con la pietra delle statue, questi creano un effetto specchiato – con suggestivi riflessi – che accenna a un raddoppio delle immagini e contribuisce all’effetto di ideale sfondamento dei confini fisici della sala.

Tempio di Ellesiya

Approda a Torino nel 1966 la Cappella Rupestre di Ellesiya, il più antico tempio rupestre della Nubia. A seguito della costruzione della diga di Assuan, l’Italia e il Museo Egizio furono chiamati a contribuire alla campagna UNESCO per il salvataggio dei templi della Nubia, che rischiavano di essere sommersi dalle acque del lago Nasser.

Crediti per la foto: Mauro Ujetto

Il governo egiziano decise quindi di donare all’Italia il Tempio, in segno di gratitudine per la partecipazione del nostro Paese all’operazione di salvataggio: il reperto, dopo una complessa operazione di trasporto e ricostruzione all’interno del Museo Egizio, fu presentato a Torino alla presenza delle autorità italiane ed egiziane nell’autunno del 1970. A distanza di oltre mezzo secolo il Museo Egizio, nell’ambito del rinnovamento per il bicentenario, sceglie di rendere accessibile gratuitamente al pubblico la Cappella, che avrà un suo ingresso indipendente da Via Duse e alla fine dei lavori anche dalla corte coperta del Museo, liberamente fruibile dai visitatori.

Crediti per la foto: Mauro Ujetto

Nel 2023 è iniziato l’ultimo restauro della Cappella con la pulitura e il consolidamento delle superfici ad opera del Centro Conservazione Restauro La Venaria Reale. La Cappella è stata riallestita grazie al lavoro di ricerca e studio degli egittologi e curatori: Johannes Auenmüller, Alessia Fassone, Paolo Marini, Beppe Moiso, Tommaso Montonati. Un suggestivo video mapping, ideato da Robin Studio, rielabora sui blocchi della cappella i suoi trascorsi storici e il viaggio dall’Egitto a Torino.

Per l’occasione, Franco Cosimo Panini Editore pubblica La Memoria è il nostro futuro curato dal direttore Christian Greco, il volume che celebra ufficialmente il bicentenario.

Crediti per la foto: Mauro Ujetto

Nelle pagine si alternano gli interventi di curatori del Museo Egizio e docenti, ricercatori e curatori provenienti da altre istituzioni nazionali e internazionali, talvolta in dialogo tra loro. I contributi diventano così laboratori nei quali si confrontano idee, visioni e proposte inerenti a un ampio ventaglio di temi: il ruolo del Museo nello sviluppo dell’egittologia, e a sua volta l’impatto che l’evoluzione della disciplina ha avuto e ha ancora ancora oggi sulle sue scelte; l’importanza dell’integrazione tra discipline umanistiche e scientifiche; i rapporti con altre istituzioni museali, con gli studiosi e con il pubblico; l’Egitto immaginato dell’ “egittomania” e quello reale che rivendica una voce nel raccontare la propria storia.

 

Gallery dell’inaugurazione della Galleria dei Re e del Tempio di Ellesiya, alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella e del ministro della Cultura, Alessandro Giuli

Bicentenario Museo Egizio Galleria dei Re

 

Foto dall’Ufficio Stampa – Relazioni con i Media del Museo Egizio di Torino

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Il DNA antico riscrive le storie delle vittime dell’eruzione a Pompei https://www.classicult.it/il-dna-antico-riscrive-le-storie-delle-vittime-delleruzione-a-pompei/ https://www.classicult.it/il-dna-antico-riscrive-le-storie-delle-vittime-delleruzione-a-pompei/?noamp=mobile#respond Thu, 07 Nov 2024 18:56:54 +0000 https://www.classicult.it/?p=282092 Il DNA antico mostra che i sessi e le relazioni familiari degli individui a Pompei non corrispondono alle interpretazioni tradizionali; lo studio su Current Biology

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Il DNA antico riscrive le storie delle vittime dell’eruzione a Pompei

Pompeii body casts. Photo Credits: Archaeological Park of Pompeii
Crediti della foto: Parco Archeologico di Pompei

La premessa

Se da una parte di Pompei dal punto di vista archeologico si conosce quasi tutto, delle vittime dell’eruzione abbiamo spesso un’immagine evanescente, emotiva, di cui ancora poco si sa, se non dopo l’invenzione dei calchi in gesso di Giuseppe Fiorelli. Il primo rinvenimento di una vittima risale al 19 aprile 1748, assieme ad un suo tesoretto di 18 monete di bronzo e una d’argento al di sopra dello strato di pomici. Gli scavi avviati proprio in quell’anno da Carlo di Borbone erano chiaramente intenzionati, sulla scia delle grandi scoperte archeologiche orientali, a tirare fuori quanto di più prestigioso e ricco: edifici quindi, ma anche e soprattutto preziosi di ogni genere.
Delle vittime fino a quel momento nessuna menzione, se non in appositi Diari in cui si annotavano le scoperte del giorno. Naturalmente in diverse aree della città cominciano a riaffiorare “gli abitanti” che non sopravvissero alla catastrofe e questo man mano cominciò per certi versi ad interessare gli scavatori e le autorità stesse, forse più di case e monumenti. La fantasia non mancava e allora tra le annotazioni suggestive sono le immagini: di vittime incatenate, schiavi morti senza poter fuggire (come avvenne infatti per un gruppo di quattro corpi ritrovati il 20 dicembre 1766 in un ambiente aperto su un porticato) o della donna, sicuramente una matrona amante di un gladiatore e perita riccamente adorna di gioielli e monili dopo un incontro passionale.
Il diffondersi delle notizie e della curiosità, da parte delle corti europee, per quanto avveniva e veniva scoperto a Pompei fu determinante per l’inserimento della città antiche di tappe obbligate per gli illustri ospiti del Regno.

L’imperatore Giuseppe II d’Aragona in visita a Ferdinando IV, assieme alla moglie, a Francesco La Vega e a William Hamilton – oltre a visitare attentamente man mano le rovine che tornavano alla luce – , si impressionò notevolmente alla scoperta di una vittima in un’abitazione vicina al Foro Triangolare, inaugurando in un certo senso una lunghissima stagione emotiva in cui musicisti e scrittori produssero varie opere, proprio rievocando i poveri abitanti di Pompei. Non mancarono nemmeno episodi di pruderie: la famosa Arria Marcella del romanzo di Théophile Gautier, dove il seno impresso nel frammento di cenere di una donna ritrovata nella villa di Diomede appare, durante una visita notturna a Pompei, al protagonista come simbolo della bellezza e della classicità.

Una tappa fondamentale nella storia dei rinvenimenti ossei avvenne il 5 febbraio 1863, quando l’allora direttore Fiorelli ebbe l’intuizione di ricavare il calco dei corpi versando, all’interno delle cavità che venivano scoperte nello strato di cenere depositato dai surges, del gesso allo stato liquido.

La scoperta suscitò all’epoca un’incredibile sensazione, tanto da essere tutt’oggi citata come una delle grandi invenzioni della Pompei moderna. Negli anni successivi e fino ai nostri giorni si sono recuperati numerosi calchi di corpi umani e animali, tra i quali possiamo ricordare nel 1914 i quattro corpi su un totale di nove della Casa del Criptoportico, nel 1961 i tredici corpi nel cosiddetto orto dei Fuggiaschi e i dieci corpi negli scavi condotti fino dal 1958 e fino alla metà degli anni ’70 nell’Insula Occidentalis.

Ma cosa sappiamo di queste vittime dell’eruzione? Chi erano e che rapporti avevano tra di loro e con la società della Pompei del 79 d.C.? A parte le ricostruzioni fantasiose che spesso accompagnano queste vicende, le moderne tecnologie oggi permettono uno studio approfondito del DNA di questi individui.

La nuova ricerca

Lo studio internazionale, pubblicato in Current Biology e condotto da Elena Pilli, Stefania Vai, Victoria Carley Moses, Stefania Morelli, Martina Lari, Alessandra Modi, Maria Angela Diroma, Valeria Amoretti, Gabriel Zuchtriegel, Massimo Osanna, Douglas J. Kennett, Richard J. George, John Krigbaum, Nadin Rohland, Swapan Mallick, David Caramelli, David Reich, Alissa Mittnik, coinvolge prestigiosi enti di ricerca come le Università di Firenze, di Harvard, della California a Santa Barbara, della Florida, la Harvard Medical School e il Max Planck — Harvard Research Center for the Archaeoscience of the Ancient Mediterranean di Lipsia e di Cambridge MA. Le analisi sono state effettuate sui resti scheletrici, molto frammentati e mescolati coi calchi, di 14 vittime provenienti da Villa dei Misteri, dalla Casa del Criptoportico e dalla Casa del Bracciale d’oro, vuole comprendere a fondo le diversità e le origini degli abitanti attraverso l’analisi del DNA e i dati degli isotopi dello stronzio.

Come riportato il 7 novembre 2024, in Current Biology, l’evidenza del DNA mostra che i sessi e le relazioni familiari degli individui a Pompei non corrispondono alle interpretazioni tradizionali che erano state formulate in gran parte dalle ipotesi moderne.

“I dati scientifici che forniamo non sempre si allineano con le ipotesi comuni”, afferma David Reich dell’Università di Harvard. “Un esempio degno di nota è la scoperta che un adulto che indossa un braccialetto d’oro e tiene in mano un bambino, tradizionalmente interpretato come una madre con il figlio, erano invece un maschio adulto e un bambino non correlati. Similmente, una coppia di individui che si pensava fossero sorelle, o madre e figlia, include invece almeno un individuo geneticamente maschio. Questi risultati mettono in discussione le tradizionali ipotesi di genere e familiari.”

Il gruppo di studio, che comprende Alissa Mittnik, anch’essa dell’Università di Harvard, e David Caramelli dell’Università di Firenze, ha capito che il DNA antico, con gli isotopi di stronzio utilizzati per datare i campioni, potrebbero aiutare a comprendere meglio la diversità e le origini degli abitanti di Pompei. Per capire tali diversità hanno estratto il DNA da resti scheletrici altamente frammentati che si erano mescolati coi calchi in gesso, concentrandosi su 14 degli 86 calchi pompeiani in fase di restauro.

Pompeii body casts. Photo Credits: Archaeological Park of Pompeii
Crediti della foto: Parco Archeologico di Pompei

L’obiettivo dei ricercatori è stato quello di ricavare più informazioni possibili da questi campioni e il loro approccio multidisciplinare ha permesso di determinare con precisione i rapporti genetici, il sesso e l’ascendenza di questi individui. Ciò che i ricercatori hanno scoperto è in gran parte in contrasto con le ipotesi di lunga data, basate esclusivamente sull’aspetto fisico e sul posizionamento dei calchi.

I dati genetici hanno offerto informazioni sull’ascendenza dei Pompeiani, rivelando come questi avessero background genomici diversificati. Discendono principalmente da immigrati recenti provenienti dal Mediterraneo orientale, dall’Anatolia e dal Nord Africa. Secondo i ricercatori, il risultato evidenzia ancora di più la natura cosmopolita dell’Impero romano e testimonia della grande mobilità che avveniva all’interno dei suoi confini.

Le nostre scoperte hanno implicazioni significative per l’interpretazione dei dati archeologici e per la comprensione delle società antiche”, afferma Mittnik. “Essi sottolineano l’importanza di integrare i dati genetici con le informazioni archeologiche e storiche per evitare interpretazioni errate, basate su ipotesi moderne. Questo studio sottolinea anche la natura diversa e cosmopolita della popolazione di Pompei, che riflette modelli più ampi di mobilità e scambio culturale nell’Impero romano.”

Pompeii body casts. Photo Credits: Archaeological Park of Pompeii
Crediti della foto: Parco Archeologico di Pompei

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Riferimenti bibliografici:

Pilli et al. “Ancient DNA challenges prevailing interpretations of the Pompeii plaster casts”, Current Biology,
DOI: http://dx.doi.org/10.1016/j.cub.2024.10.007

Pompei ancient Pompeii Forum. Picture by Alago
Foro di Pompei. Foto di Alago, in pubblico dominio

Materiali stampa da Cell Press.

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Il Santuario Siriaco del Gianicolo apre le porte a 4 giorni di visite https://www.classicult.it/il-santuario-siriaco-del-gianicolo-apre-le-porte-a-4-giorni-di-visite/ https://www.classicult.it/il-santuario-siriaco-del-gianicolo-apre-le-porte-a-4-giorni-di-visite/?noamp=mobile#respond Wed, 09 Oct 2024 09:58:10 +0000 https://www.classicult.it/?p=277535 La Soprintendenza Speciale di Roma apre le porte del Santuario Siriaco del Gianicolo a quattro giorni di visite speciali gratuite tra ottobre e novembre.

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Numerose campagne di scavo hanno interessato il Santuario Siriaco del Gianicolo, posto alle falde di Villa Sciarra e scoperto casualmente a Roma nel 1906.

Un’ iscrizione, tra le numerose ritrovate, evoca la ninfa Furrina e ha permesso di identificare nei pressi di villa Sciarra il Lucus Furrinae, l’antico bosco e la fonte sacri a Furrina, una delle divinità più antiche di Roma (una piccola sorgente è ancora attiva nel complesso), ma anche il luogo dove, secondo le fonti antiche, il tribuno della plebe Caio Gracco si diede la morte nel 121 a.C.

Santuario Siriaco del Gianicolo
Santuario Siriaco del Gianicolo. Foto: Fabio Caricchia

Gli archeologi hanno individuato almeno tre fasi costruttive dell’edificio con vasche e piscine connesse alla fonte a partire almeno dal I secolo a.C.

Una seconda fase (II-III sec. d.C.) ha restituito apprestamenti idraulici, di drenaggio e ambienti pavimentati a mosaico. Le strutture attualmente visibili appartengono a una terza fase databile al IV secolo: un complesso orientato in senso est-ovest, composto da una sala absidata, fiancheggiata da due ali laterali, una corte centrale, una costruzione di forma poligonale, absidata a sua volta, inquadrata da due stanze pentagonali.

Santuario Siriaco del Gianicolo
Santuario Siriaco del Gianicolo. Foto Soprintendenza Speciale di Roma di Fabio Caricchia

È in particolare questa ultima fase che ha dato al via alle numerose interpretazioni dell’edificio tra cui quella che attualmente lo identifica come santuario siriaco, da cui poi il nome del luogo.

Tuttavia, pur senza escludere un culto siriaco in una fase precedente, gli scavi e gli studi degli ultimi venticinque anni hanno avanzato una diversa spiegazione, oggi la più accreditata, che vede nel complesso del IV secolo un luogo di culto pagano, la cui particolarità è l’essere posto all’interno di una abitazione privata.

Santuario Siriaco del Gianicolo
Santuario Siriaco del Gianicolo. Foto Soprintendenza Speciale di Roma di Fabio Caricchia

Il ritrovamento di una figura in bronzo avvolta nelle spire di un serpente, scoperta accanto a delle uova e altri oggetti rituali e identificabile con Osiride o Attis – oggi esposta al Museo Nazionale Romano –, oltre alle statue di Dioniso in marmo e di un faraone in basalto nero, dimostrerebbero la dedica del luogo ai culti egizi degli inferi e della fertilità.

La particolarità del complesso è che non si presenta come un edificio religioso pagano in quanto la struttura absidata di una parte dell’edificio e la stanza poligonale nella parte orientale assomigliano alle architetture delle domus tardo imperiali. Dopo l’editto di Teodosio del 380 d.C. con la proibizione di ogni forma di culto pagana, questi si trasferirono solo all’interno di edifici o abitazioni private, nascondendosi così agli occhi esterni.

Santuario Siriaco del Gianicolo
Santuario Siriaco del Gianicolo. Foto Soprintendenza Speciale di Roma di Fabio Caricchia

Tra le ipotesi più suggestive quindi quella di uno degli ultimi templi pagani sottratti alla vista e così ben sigillato dai suoi adepti da essersi conservato fino ai nostri giorni; una ipotesi certamente suggestiva ma difficile da verificare. La sua presenza però fornisce dati importanti circa la presenza di questi culti orientali in un luogo di Roma a carattere commerciale e produttivo come quello della riva destra del Tevere, connesso direttamente agli scali fluviali della città.

Santuario Siriaco del Gianicolo. Foto Soprintendenza Speciale di Roma di Fabio Caricchia

La Soprintendenza Speciale di Roma apre le porte del Santuario Siriaco del Gianicolo a quattro giorni di visite speciali gratuite tra ottobre e novembre.

«Siamo felici di riaprire le porte del cosiddetto Santuario Siriaco nell’ambito del piano di valorizzazione della Soprintendenza Speciale di Roma – dice Rocco Bochicchio, responsabile del sito – si tratta di un luogo dal grande fascino, collegato alla permanenza di culti pagani in un’area commerciale e produttiva connessa con gli scali fluviali e i mercati dell’antica Roma».

Santuario Siriaco del Gianicolo. Foto Soprintendenza Speciale di Roma di Fabio Caricchia

VISITE: 13, 20, 27 ottobre, 10 novembre ORARIO: 9.30 – 12.30

GRUPPI: 25 persone ogni 30 minuti

VISITA LIBERA E GRATUITA INFO E PRENOTAZIONI PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA:

ss-abap-rm.santuariosiriaco@cultura.gov.it

INGRESSO: Via Dandolo, 47

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