Poesia Archivi - Classicult https://www.classicult.it/category/poesia/ Dove i classici si incontrano. Cultura e culture Thu, 07 Aug 2025 08:25:28 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.8.2 https://www.classicult.it/wp-content/uploads/2018/08/cropped-tw-profilo-32x32.jpg Poesia Archivi - Classicult https://www.classicult.it/category/poesia/ 32 32 Le origini della lauda / le laude delle origini. Alle radici del canto spirituale in volgare italiano nell’ottavo centenario del Cantico di frate Sole, il convegno https://www.classicult.it/le-origini-della-lauda-le-laude-delle-origini-alle-radici-del-canto-spirituale-in-volgare-italiano-nellottavo-centenario-del-cantico-di-frate-sole-il-convegno/ https://www.classicult.it/le-origini-della-lauda-le-laude-delle-origini-alle-radici-del-canto-spirituale-in-volgare-italiano-nellottavo-centenario-del-cantico-di-frate-sole-il-convegno/?noamp=mobile#respond Tue, 05 Aug 2025 13:45:23 +0000 https://www.classicult.it/?p=314902 “Le origini della lauda / le laude delle origini. Alle radici del canto spirituale in volgare italiano nell’ottavo centenario del Cantico di frate Sole”,
convegno a Palazzo Laparelli, Cortona

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“Le origini della lauda / le laude delle origini. Alle radici del canto spirituale in volgare italiano nell’ottavo centenario del Cantico di frate Sole”, convegno
Palazzo Laparelli, Cortona
4 – 6 settembre 2025

Convegno internazionale dell’Università di Trento, mostra e concerto per riscoprire nascita e vitalità della lauda nell’ottavo centenario del Cantico di frate Sole composto da Francesco di Assisi. A Cortona (Arezzo) dal 4 al 6 settembre 2025

Trento, 6 agosto 2025 – (e.b.) È il testo poetico più antico della letteratura italiana di cui si conosca l’autore. La sua prima attestazione è nel manoscritto 338, custodito nella Biblioteca del Sacro Convento di Assisi. Il Cantico di frate Sole, o Cantico delle creature, è una delle opere più conosciute al mondo. Composto da Francesco tra il 1224 e il 1225, sprigiona ancora la sua forza poetica, spirituale e culturale, continua a ispirare studi e opere artistiche. Sul canto, espressione di religiosità e di stupore per la natura nella lingua del tempo, l’Università di Trento ha organizzato un convegno internazionale a Cortona (Arezzo), al confine tra Toscana e Umbria, sede di uno dei primi insediamenti francescani, dove si ritiene che la composizione sia stata ascoltata per l’ultima volta da Francesco riunito con il suo gruppo di compagni nell’eremo delle Celle.

Il convegno “Le origini della lauda / le laude delle origini. Alle radici del canto spirituale in volgare italiano nell’ottavo centenario del Cantico di frate Sole” si svolgerà a Palazzo Laparelli da giovedì 4 settembre (dalle 15.30) a sabato 6 settembre 2025 (conclusioni alle 13). Sarà articolato nelle sessioni: Origini della lauda e devozione mariana; Lauda francescana e forme arcaiche; Tradizioni parallele; Verso il Laudario di Cortona: aspetti notazionali e nuove ricerche.

«Cortona è un luogo simbolico e punto di incontro privilegiato per una rinnovata riflessione sulla nascita e la diffusione del canto spirituale italiano. L’ottavo centenario diventa un invito a riscoprire un patrimonio che ha saputo fondere espressione religiosa, comunicazione popolare e lingua volgare in forme di sorprendente vitalità»,

commenta Francesco Zimei, professore ordinario di Musicologia e Storia della Musica e principal investigator del progetto “Laudare” finanziato dalla Commissione europea con un Erc Advanced Grant e attivo al Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento.

Il convegno, che è organizzato dal suo team di ricerca, si avvale della collaborazione dell’Accademia etrusca di Cortona, della Scuola superiore di Studi medievali e francescani – Pontificia Università Antonianum, del Pontificio Istituto di Musica sacra di Roma e del Centro Studi Frate Elia da Cortona.

Francesco Zimei riprende: «L’obiettivo è approfondire le radici del canto spirituale in volgare italiano, attestato già nel XII secolo ma reso emblematico proprio dal Cantico di Francesco, che nell’immaginario collettivo segna l’inizio della tradizione laudistica. Attraverso un approccio interdisciplinare che intreccia filologia, musicologia, storia della spiritualità e delle pratiche devozionali, il convegno indagherà il rapporto tra musica e poesia nei primi secoli della lingua italiana, il ruolo di giullari, predicatori ed ecclesiastici nella creazione e nella del le con affini (dal canto liturgico all’innografia mediolatina, fino alla musica profana), nuove e i documentari».

La sera del 5 settembre, inoltre, la chiesa di San Francesco alle 21 ospiterà il concerto “Giullari di Dio”, eseguito dall’Ensemble Micrologus, tra i gruppi più affermati nel panorama internazionale di musica medievale. Il concerto, concepito appositamente per l’occasione sempre in collaborazione con il progetto Erc Advanced Grant “Laudare”, darà voce al repertorio dei giullari francescani attraverso un’interpretazione filologicamente rigorosa e al tempo stesso evocativa, in perfetta sintonia con i temi trattati durante i lavori.

A Cortona, intanto, si può già visitare la mostra “Cantare il Medioevo. La lauda a Cortona tra devozione e identità civica”, a cura dello stesso Francesco Zimei, allestita fino al prossimo 5 ottobre al Museo dell’Accademia etrusca e della Città di Cortona.

«L’esposizione illustra la centralità della lauda nella vita religiosa e sociale della città tra XIII e XV secolo, documentandone le forme, i protagonisti e la ricezione civica, e soprattutto riunendo per la prima volta i quattro laudari cittadini, compilati fra il XIII e il XV secolo», osserva il professore dell’Università di Trento.

la locandina del convegno a Palazzo Laparelli, Cortona, “Le origini della lauda / le laude delle origini. Alle radici del canto spirituale in volgare italiano nell’ottavo centenario del Cantico di frate Sole”
la locandina del convegno a Palazzo Laparelli, Cortona, “Le origini della lauda / le laude delle origini. Alle radici del canto spirituale in volgare italiano nell’ottavo centenario del Cantico di frate Sole”

Informazioni e programma dettagliato del convegno su:
https://eventi.unitn.it/it/convegno-internazionale-di-studi-le-origini-della-lauda-le-laude-delle-origini

Testo e immagine dall’Ufficio Stampa e Relazioni esterne Direzione Comunicazione e Relazioni esterne dell’Università di Trento

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Il passero bianco, di Sofia Fiorini https://www.classicult.it/il-passero-bianco-di-sofia-fiorini/ https://www.classicult.it/il-passero-bianco-di-sofia-fiorini/?noamp=mobile#respond Fri, 11 Jul 2025 20:02:42 +0000 https://www.classicult.it/?p=313357 Il passero bianco di Sofia Fiorini è una fiaba iniziatica in versi, della mor­te che nasconde la vita quando la vita nasconde la morte

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Sofia Fiorini, Il passero bianco

Collana: Vallecchi Poesia diretta da Isabella Leardini

Pagine: 98 Prezzo: 12 €

Vallecchi Firenze

Dal 25 luglio 2025 in libreria

 

Chi entra in queste pagine deve stringere un patto: leggere dall’inizio alla fine. Il passero bianco è una fiaba iniziatica in versi, della mor­te che nasconde la vita quando la vita nasconde la morte, del loro congiungersi in un territorio limite, tra il giardino e il bosco, tra l’infanzia e la sua perdita desiderante e definitiva. Un gran­de gioco di trasformazione include la morte apparente e il rischio dell’inganno sotto men­tite spoglie, ma tutto in questa fiaba è onirico e reale, gli animali messaggeri che prendono sarcastici la parola, le creature di mezzo che cacciano per altra fame, il corpo segreto di san­gue e ossa da nascondere. Qualcosa di crudele, incantato e tagliente lampeggia rapido, con sot­terranea ironia: nessuno è davvero innocente; i dialoghi oracolari e improvvisi celano sempre una sorpresa. Sofia Fiorini ha intrapreso una direzione originale e complessa, quella della narrazione lirica affidata alla struttura, alla te­nuta, a un lungo respiro che di pagina in pagina resta in equilibrio sulla storia.

«Hai il dono del passo»

dice il gatto alla protagonista, lo stesso si potrebbe dire dell’autrice, che ha un passo lieve, acuminato, precisissimo; la poesia di So­fia Fiorini riesce sulla distanza del sentiero in salita, sulla pazienza della trama. Nel telaio si intrecciano le dita dei grandi lettori di simboli, Ralph Waldo Emerson, da lei tradotto, Cristina Campo, nume tutelare dei rovesciamenti che nel fiabesco annidano il destino, Emily Dickin­son madrina delle madrine, ma si fa avanti con distacco e decisione anche un’inattesa Patrizia Cavalli. Il passero bianco è il totem infero che sceglie la fanciulla, nel suo apprendistato ci saranno la caccia, l’innamoramento, il rito, tre segreti e un diverso finale.

la copertina del volume Il passero bianco, di Sofia Fiorini, edito da Vallecchi Firenze (2025) nella collana Vallecchi Poesia
la copertina del volume Il passero bianco, di Sofia Fiorini, edito da Vallecchi Firenze (2025) nella collana Vallecchi Poesia

Sofia Fiorini (Rimini, 1995) ha pubblicato in poesia La logica del merito (Interno Poesia, 2017 e 2023) e La perla di Minerva (La Noce d’O­ro, 2023, finalista al Premio Carducci, Premio Flaiano, Premio Prato). Ha tradotto l’antologia italiana delle poesie di Ralph Waldo Emerson Il cervello di fuoco (La Noce d’Oro, 2022).

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa 1A comunicazione.

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Il femminismo italiano di Sibilla Aleramo https://www.classicult.it/il-femminismo-italiano-di-sibilla-aleramo/ https://www.classicult.it/il-femminismo-italiano-di-sibilla-aleramo/?noamp=mobile#respond Thu, 08 May 2025 09:27:26 +0000 https://www.classicult.it/?p=306139 Rina Faccio, conosciuta ai più con lo pseudonimo di Sibilla Aleramo, fu considerata una pioniera nell’ambito del femminismo italiano

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Il femminismo italiano di Sibilla Aleramo

Sibilla Aleramo è considerata una pioniera nell’ambito del femminismo italiano. La pubblicazione di Una Donna, nel 1906, attraverso cui si fece portavoce dei ruoli sociali e stereotipati attribuiti alle donne dell’epoca, le assicurerà una notorietà non indifferente, che Sibilla riconobbe accrescersi giorno per giorno. Emilio Cecchi, a tal proposito, scrisse:

Ella se ne guardò bene coltivando di preferenza i propri doni lirici, ella tentò e percorse, ancora felicemente, nuove strade più ardue e solitarie. E quel rifiuto di rifare l’eco a sé stessa resta una fondamentale riprova della sua serietà e sincerità.’[1]

Sibilla Aleramo una donna Foto di Cristina Stabile
la copertina della precedente edizione Universale Economica Feltrinelli di Una donna, con prefazione di Anna Folli e postfazione di Emilio Cecchi. Foto di Cristina Stabile

L’utilizzo dello pseudonimo non fu una scelta del tutto casuale, ma il nuovo nome fu un segno importante per l’autrice. Una delle sue migliori amiche dell’epoca, Ersilia Majno, che l’aveva chiamata Rina Pierangeli, fu rimproverata dalla stessa autrice la quale sostenne:

Come mai ti salta in mente di risuscitare uno stato civile che non ha più ragione d’essere nella memoria d’alcuno? Anzi […] ti dirò che ormai voglio sia dimenticato anche il mio cognome di nascita, ed essere nominata e presentata esclusivamente come Sibilla Aleramo: la mia personalità non si esplicita più che a traverso questo nome.’[2]

Un gesto di rinuncia e al tempo stesso di rinascita quello attuato nei confronti del nome assunto grazie al padre (Faccio) e, successivamente, al marito (Pierangeli). Sibilla fu una donna unica nel suo genere, un’avida lettrice e con un temperamento che sembrava atemporale rispetto all’epoca in cui voleva tanto che anche Franco Matacotta l’accosta a una donna dell’Ottocento:

Ma, rispose Sibilla, accostando Ibsen e Nietzsche, “senza quella voce ottocentesca forse non sarei diventata quello che sono”. (Diario, 24 Novembre 1940)’ [3]

Sibilla Aleramo una donna Foto di Cristina Stabile
Foto di Cristina Stabile

Sibilla Aleramo sfidò le norme sul genere femminile prevalenti all’interno della sua epoca, in favore di una ricerca di autorappresentazione artistica, il cui mezzo fu proprio la scrittura. Sulla scena letteraria si propose come esempio di una nuova femminilità: da un lato, quella della scrittura e dall’altro si pone cose come esempio della grande trasformazione che augurava coinvolgesse le sue contemporanee. Sul piano letterario, Aleramo sosteneva che la donna poteva dare una propria impronta all’arte, differenziando la sua voce da quella maschile e infondendo la propria visione di vita. L’idea di fondo dalla quale l’autrice partiva era proprio la differenza sessuale che comportava, sistematicamente, a una differenza stilistica. Il suo motto, Amo Dunque Sono[4], sono sintetizza l’amore che determina l’esistenza: l’amore auspicato riferito alla liberazione della donna.

Sibilla Aleramo (Firenze, 1917). Foto di ignoto, in pubblico dominio
Sibilla Aleramo (Firenze, 1917). Foto di ignoto, in pubblico dominio

Sibilla iniziò a interessarsi al femminismo scrivendo alcuni articoli che lei stessa inviava ad alcuni giornali e riviste locali. Per lei, la lotta femminista che stava iniziando a prendere vita in quegli anni non era del tutto giusta, in quanto essa garantiva diritti soltanto alle donne operaie lasciando la donna borghese in una condizione e posizione civile: senza diritto per poter sviluppare il proprio potenziale e senza mezzo per poter aspirare a un futuro equo. Nonostante il modo in cui il femminismo veniva interpretato in maniera generale, l’autrice ne aveva una buona opinione:

Credo fermamente che il femminismo sia una delle leve che rigenereranno il nostro vecchio mondo.’ [5]

E tale movimento diventò centrale per la sua identità di donna e di scrittrice. Nel suo programma di emancipazione, l’autrice ebbe modo di notare che gli ostacoli applicati alle donne provenivano da una doppia causa: l’istruzione inadeguata e la resistenza applicata dalle giovani donne borghesi, troppo insicure per prendere in mano il timone della loro vita. Immortalando sé stessa nella propria scrittura, l’Aleramo volle mostrarsi come esempio per tutte le donne, specialmente coloro delle generazioni future affinché trovassero il coraggio di ribellarsi e di condurre una vita che non le portasse soltanto ad un totale isolamento o a una estrema condizione di passività.

Sibilla Aleamo negli anni '50. Foto di ignoto, in pubblico dominio
Sibilla Aleramo negli anni ’50. Foto di ignoto, in pubblico dominio

Il romanzo Una Donna è scritto in prima persona, dove la protagonista delinea una sorta di via Crucis, un avvicendarsi di eventi infelici che non conducono a un lieto fine. Il romanzo si configura come

Documento umano che aveva voluto scrivere Rina gridava la verità; e l’urlo e il pianto arrivavano con una forza che era già in sé un valore estetico, espressiva tanto da tenere insieme il vissuto e il romanzesco. Tranne che nel finale, dove il dissidio interiore si spezzava nella decisione di partire, partire per sempre.’ [6]

All’interno del romanzo, diversi sono i prototipi femminili messi in risalto durante la narrazione: la donna maritata e la donna madre sono alcuni dei primi. Il matrimonio svolge uno dei punti chiave sulla quale si svolge tutto il romanzo. In primis, la protagonista presenta la relazione dei genitori, che si fonda su un tipico modello tradizionale che attribuiva alla donna il riconosciuto ruolo subordinato, passivo e debole.

Ma di tutto appariva responsabile la mamma, che reclinava il capo come se fosse colpita all’improvviso da una grande stanchezza, o sorrideva, d’un certo sorriso che non potevo sostenere, perché deformava la bella bocca rassegnata.’ [7]

La relazione tra i genitori è il tipico esempio da un rapporto non egualitario, nel quale il padre gode di tutti i diritti imposti dalla società e dalla libertà di poter esercitare la propria autorità, sostenuta da una società tutta al maschile. L’uomo rappresenta il dominus della casa, in posizione antitetica rispetto alla moglie che non replica mai, costantemente umiliata, finisce per configurarsi come donna docile, che ricopre il ruolo passivo della casalinga. Lo stesso matrimonio di Sibilla risulta un matrimonio di “dovere” in quanto quest’ultima subisce violenza dall’uomo che sarà costretta a sposare, per mettere a tacere le voci riguardanti la sua reputazione. L’abuso provoca in lei una sensazione di smarrimento che le fa scaturire una serie di interrogativi e dubbi. Quando viene stuprata, il futuro marito la considera come un oggetto privo di una propria identità, un qualcosa che può prendere quando lo desidera. Il matrimonio le comporta un abbandono della femminilità che aveva precedentemente rifiutato in direzione di un’inferiorità di genere che la porterà anche a non riconoscersi più. Da fanciulla giovane e loquace si trasformerà in sposa subordinata, dipendente completamente dal marito e dai suoceri ma, soprattutto, prigioniera di poter esprimere la propria voce. L’esperienza della sua maternità metterà in luce una critica che sarà lo spunto di riflessione del modello materno alla quale lei stessa aveva sempre guardato. Sibilla vive il ruolo di madre guidata da un senso di inadeguatezza del suo ruolo, sensazione che non lascerà mai anzi, si accentuerà quando sarà costretta alla clausura dal marito che la condurrà verso un tentato suicidio. È lì che parte la realizzazione di essere disposta ad abbandonare totalmente il figlio per poter vivere una libertà che le viene impedita. La decisione arriverà in seguito:

Imploravo in cuore: “Perdono, perdono figlio mio”. E a lungo restavo lì, china, senza parole attendendo per il piccolo essere il sonno pietoso, per me l’atonìa che segue la crisi.’[8]

La maternità diventa un sacrificio: sacrificare l’amore per il figlio, in cambio della propria libertà individuale. Al ruolo di madre finisce per preferire il ruolo di donna:

«Vado», gli dissi piano, «è già l’ora, sii buono, voglimi bene, io sarò sempre la tua mamma…» e lo baciai senza poter versare una lagrima, vacillando’[9]

Aprendo gli occhi verso la corrente femminista, realizza che gli spazi riservati alle donne sono piuttosto ristretti, confinati alla cura dei figli, alla cucina e alla chiesa. La solitudine, la vita confinata alla cura del figlio e quel sentimento di liberazione che diventa ancora più opprimente e insistente la porta a scrivere. Se teniamo conto che Una Donna rappresenta parte del vero vissuto dell’autrice, possiamo affermare che lei stessa ha compiuto il suo personale atto liberatorio, rivendicando il suo desiderio di esprimersi. È così che il romanzo si configura come una fuga, uno strumento salvifico redatto allo scopo di scacciare via l’inquietudine di quegli anni. La protagonista avverte una spinta verso la scrittura che diventa insistente:

E scrissi, per un’ora, per due, non so. Le parole fluivano, gravi, quasi solenni: si delineava il mio momento psicologico; chiedevo al dolore se poteva divenire fecondo; affermavo di ascoltare strani fermenti nel mio intelletto, come un presagio di una lontana fioritura. Non mai, in verità, avevo sentito di possedere una forza d’espressione così risoluta e una così acuta facoltà di analisi.’[10]

Sibilla Aleramo una donna Foto di Cristina Stabile
Foto di Cristina Stabile

La protagonista comprende che il movimento femminista è grande, ha potenzialità e potrebbe salvare non solo la sua anima ma anche quella delle donne postume. Sibilla finisce per incarnare la possibilità di uno spirito femminile di oltrepassare le barriere imposte dalla società patriarcale, che ha sempre costretto le donne all’isolamento, al cospetto del potere maschile. La sua diventa una rivendicazione verso sé stessa, tramite l’atto dell’abbandono sofferto e un messaggio alle donne del futuro:

Spetta alla donna rivendicare sé stessa, ch’ella sola può rivelare l’essenza vera della propria psiche, composta, si, d’amore e di maternità e di pietà, ma anche, anche di dignità umana”’[11]

Foto di Cristina Stabile
Foto di Cristina Stabile



Note: 

[1]  Sibilla Aleramo, Una Donna, prefazione di Anna Folli, Universale Economica Feltrinelli, Roma, 2019, p.169.

[2] Sibilla Aleramo, Lettera di Sibilla Aleramo a Ersilia Majno, Roma, 3 dicembre 1907, in Archivio Majno, Fondo Ersilia Majno Bronzini, cart. XVII, b. 6.

[3] Sibilla Aleramo, Una Donna, prefazione di Anna Folli, Universale Economica Feltrinelli, Roma, 2019, p. IX.

[4] Si tratta di un’opera della stessa autrice. È una raccolta del 1927, di circa quarantatré lettere scritte mai spedite a Giulio Parise. Si tratta di lettere che compongono una sorte di diario privato dell’autrice: vi sono raccolti i ricordi di una vita passata insieme, il racconto di giornate in attesa di Giulio (presentato con il falso nome di Luciano) con i sospiri e le speranze che determinerebbero un futuro incontro.

[5] Sibilla Aleramo, Una Donna, prefazione di Anna Folli, Universale Economica Feltrinelli, Roma, 2019, p.VIII.

[6] Ivi, p. XIII.

[7] Ivi, p. 3.

[8] Ivi, p.152.

[9] Ivi, pp. 160-161.

[10] Ivi, p. 79.

[11] Ivi, p.118.

 

Bibliografia:

Sibilla Aleramo, Lettera di Sibilla Aleramo a Ersilia Majno, Roma, 3 dicembre 1907, in Archivio Majno, Fondo Ersilia Majno Bronzini.

Sibilla Aleramo, Una Donna, prefazione di Anna Folli, Universale Economica Feltrinelli, Roma, 2019.

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Premio Strega Poesia 2025 – terza edizione: la cinquina https://www.classicult.it/premio-strega-poesia-2025-terza-edizione-la-cinquina/ https://www.classicult.it/premio-strega-poesia-2025-terza-edizione-la-cinquina/?noamp=mobile#respond Wed, 07 May 2025 20:07:54 +0000 https://www.classicult.it/?p=304285 Premio Strega Poesia 2025: ecco la cinquina, i libri finalisti annunciati al  MAXXI L’Aquila – Museo nazionale delle arti del XXI secolo

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Premio Strega Poesia 2025 – terza edizione: la cinquina

Premio Strega Poesia 2025 - terza edizione: la cinquina
Credits foto: MUSA

Roma, 7 maggio 2025. Al MAXXI L’Aquila – Museo nazionale delle arti del XXI secolo sono stati annunciati i libri finalisti del Premio Strega Poesia, promosso da Fondazione Maria e Goffredo Bellonci Strega Alberti Benevento, in collaborazione con BPER Banca e con Tirreno Power, media partner RAI, sponsor tecnici Librerie Feltrinelli SYGLA.

I cinque libri finalisti, selezionati dai dodici candidati dal Comitato scientifico – composto da Maria Grazia Calandrone, Andrea Cortellessa, Mario Desiati, Elisa Donzelli, Roberto Galaverni, Vivian Lamarque, Melania G. Mazzucco, Patricia Peterle, Stefano Petrocchi, Laura Pugno, Antonio Riccardi e Gian Mario Villalta – sono:

  • Alfonso GuidaDiario di un autodidatta, Guanda.
  • Giancarlo PontiggiaLa materia del contendere, Garzanti.
  • Jonida PriftiSorelle di confine, Marco Saya.
  • Marilena RendaCinema Persefone, Arcipelago Itaca.
  • Tiziano RossiIl brusìo, Einaudi.

Queste le motivazioni:

Alfonso Guida, Diario di un autodidatta, Guanda.

Un io, la sua terra, le esperienze vissute sono i fili che tessono insieme la trama di una vita, che in questa poesia si espone e si mette a disposizione dell’ascolto dell’altro, attraverso una lingua di “pietra” fatta dell’aspro paesaggio della Lucania. Un’immersione nel sé («figura di troppi lati»), nella sua profonda solitudine, senza narcisismi e certezze, è il punto di confluenza ed esplosione tra vita e scrittura in Diario di un’autodidatta. In queste pagine echeggiano voci di memorie familiari, di amori vissuti, di traumi accumulati negli anni, e anche di fantasmi: «Parlavo strambi linguaggi di vento». In un confronto che si fa duro e nudo: «La strada non c’era, ma ho cominciato / presto a camminare. Non c’era niente. / Solo un vuoto orrido da cui pendevo. / Questo sentirmi attinto da un coltello». Versi che possono evocare la voce di una Amelia Rosselli (“Non ho un mondo pronto per me così parto per un mondo meno pronto per me”), ma anche quella di altri che sono chiamati ad accompagnare i passi inquieti del poeta. Un andare avanti, dettato da un ritmo interiore, da un disseppellire e dissipare, che diviene una complessa operazione in cui la parola materica si fa sonda («Sondare è scarcerare») di una condizione esistenziale; insomma, uno scandagliare e perforare obliquamente, perché è «da una tregua spaventata», «da una riva» che Alfonso Guida scrive, in una soglia in cui tutti possiamo affacciarci e riconoscerci.

Giancarlo Pontiggia, La materia del contendere, Garzanti.

La materia del contendere di Giancarlo Pontiggia, edito da Garzanti, è, senza esitazioni, un libro presocratico: che qui è un altro modo per dire sapienziale, della sapienza di un tempo presente e futuro in cui poesia e filosofia, strettamente unite in epoca antichissima e poi lungamente costrette a vagare separate per il mondo, finalmente possono riunirsi. Poesia pensiero, quindi, ma fatta di un dire essenziale e depurato, che cerca la natura degli elementi e insieme la natura della sua propria materia poetica: tanto che, nel parlare delle cose ultime, parla sempre anche del suo stesso farsi. Come la freccia di Zenone, questa scrittura riconcilia gli opposti elementi di movimento e stasi, in quell’operazione che compie sempre la poesia, quando è poesia.

Jonida Prifti, Sorelle di confine, Marco Saya.

Non è questo il primo libro di carta di un’autrice che deve la sua notorietà – underground e sottotraccia, ci mancherebbe, ma abbastanza diffusa ormai – piuttosto al versante performativo: fra musica, spoken word, poesia sonora e declamazione più tradizionalmente “lirica”. Eppure Sorelle di confine si legge alla stregua di un esordio, nello sforzo di definire il più possibile una “posizione” destinata però a restare, e per fortuna, scissa e polimorfa: proprio come la biografia di chi esordisca alla scrittura in una terra e in una lingua diverse da quelle in cui è cresciuta (l’«atavismo riconquistato» – per dirla con Celan – dell’albanese si produce, così, solo a chiazze e con funzione, di nuovo, più “musicale” che narrativo-esperienziale). Decisivo è l’aggettivo che intitola il poemetto-guida Le portatrici carniche (dedicato a una vicenda toccante della memoria “di confine” di più d’un secolo fa). Al di là del toponimo, è nell’incarnazione del verbo e del mèlos che si definisce la promessa – ormai certa – d’una scrittura sfrontata e ribelle, laceratamente epica come non può non essere l’epos nel nostro tempo.

Marilena Renda, Cinema Persefone, Arcipelago Itaca.

Cinema Persefone parla a un lettore contemporaneo già avvezzo alle riletture del mito, non soltanto in prosa. Con gli dei e gli eroi della classicità si sono già cimentati poeti del calibro di Anne Carson e Kae Tempest, producendo narrazioni in versi dense ed eloquenti. Questo libro compatto ed enigmatico si confronta invece con il periodico inabissarsi e riemergere dall’oscurità di Persefone sprofondando nel non detto anche il plot (“il mistero non si può dire”), per poi lasciar affiorare micro-eventi carichi di luce. È un cinema, quello allestito da Marilena Renda, in cui il buio è rotto a sprazzi da frammenti suggestivi. Persefone è una ragazza che di notte sogna “di dirne quattro alla madre”. Ade, bello come un divo dei giorni nostri, “porta la fanciulla a casa sua malvolentieri”. Lei gli piace molto, anche se lui ha “le foto dell’altra ancora nella galleria del cellulare”. E la vicenda è davvero tutta qui: è l’eterno accendersi, spegnersi e riaccendersi del desiderio (“Ade è vivo da sempre / desidera sempre”). Scrive Renda che “ogni cosa bella viene dall’oscurità”, anche l’amore che si fa al buio è più potente di ogni altra cosa. È la legge del sottrarsi per non appassire/ammansire, l’arte di far coincidere l’inizio con la fine. Questo ci dice una voce sapienziale vecchia come il mondo eppure straordinariamente sensuale: “se non vai all’inferno l’estate non germoglia”.

Tiziano Rossi, Il brusìo, Einaudi.

Nell’ultimo quarto di secolo la scrittura di Tiziano Rossi ha alternato nuove scosse a lunghi assestamenti. All’onorevole carriera poetica riassunta da un collected del 2003 ha fatto seguito una sorprendente “svolta” in prosa, con cinque piccoli libri da ascrivere tra i più fragranti nell’écriture senza partizioni del nuovo secolo. Raccolta anche quell’esperienza nell’antologia Gli sfaccendati, è di nuovo tempo di versi. Nel frattempo però il decano della nostra poesia ha doppiato il capo dei Novanta, e così il nuovo capitolo si dice «atto penultimo», non ignaro dell’esperienza residuale dell’«io minimo» sperimentato in prosa. Negli anni Ottanta diceva un suo quasi coetaneo, Christopher Lasch, che in «epoca di turbamenti la vita quotidiana diventa un esercizio di sopravvivenza», e «l’io si contrae». Quello del lungodegente autoritratto in una «corsia» beckettiana è ridotto a un «perpetuarsi» da «insetti», o altre vite infinitesime capaci solo d’un «parlottìo» o d’un «ronzìo», quale è questa sua terminale «pioggerellina» poetica. Nell’approntarsi sgocciolanti al «nuovo trasloco», si comprende infine la natura di quanto interminabilmente lo ha preceduto: «Ora il finto spettacolo è finito / la digressione».

Alla serata, condotta da Fabio Emilio Torsello e Mara Sabia della Setta dei Poeti estinti sono intervenuti: Paola Macchi, segretario generale della Fondazione MAXXI e Pierluigi Biondi, sindaco L’Aquila, Giuseppe La Boria, Direttore Regionale Marche Abruzzo BPER Banca.
candidati hanno letto alcuni testi tratti dalle opere in gara con gli interventi musicali di Whalebones (Francesco Diodati e Stefano Calderano).

Un’ampia giuria composta da circa 100 personalità della cultura determinerà l’opera vincitrice che verrà proclamata il prossimo 8 ottobre a Roma, alla Casa dell’Architettura di Roma presso il complesso monumentale dell’Acquario Romano. I giurati riceveranno i libri grazie alle Librerie Feltrinelli e potranno esprimere la loro preferenza tramite voto telematico.

La cinquina sarà ospite in diverse località italiane particolarmente attive sul territorio nella promozione della lettura. Queste le tappe: 16 maggio al Salone Internazionale del Libro di Torinoore 18.15 Sala viola11 luglio a Civitavecchia; il 17 luglio a Pula, complesso monumentale di Nora; il 22 luglio, a Festambiente SudSan Marco in Lamis. Seguiranno altri appuntamenti in autunno: il 17-21 settembre a Pordenonelegge; il 27 settembre Teramo.

 

Testi e immagini dall’Ufficio Stampa Fondazione Maria e Goffredo Bellonci

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Nuovo documento sul poeta lucchese Bonagiunta Orbicciani lo attesta in vita nel 1274 https://www.classicult.it/nuovo-documento-sul-poeta-lucchese-bonagiunta-orbicciani-lo-attesta-in-vita-nel-1274/ https://www.classicult.it/nuovo-documento-sul-poeta-lucchese-bonagiunta-orbicciani-lo-attesta-in-vita-nel-1274/?noamp=mobile#respond Tue, 06 May 2025 09:20:51 +0000 https://www.classicult.it/?p=304022 Un nuovo documento sul poeta lucchese Bonagiunta Orbicciani lo attesta ancora in vita nel 1274, diciassette anni in più di quanto ritenuto

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Scoperto un nuovo documento sul poeta lucchese Bonagiunta Orbicciani che lo attesta  ancora in vita nel 1274, diciassette anni in più di quanto finora ritenuto

Il documento sarà presentato per la prima volta nel corso dell’evento “Dagli archivi alla storia della letteratura: novità su Lucca e i suoi poeti al tempo di Dante” 

8 maggio 2025, ore 15.30, Auditorium della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, via San Micheletto 3, Lucca

Il Laboratorio Ipermediale Dantesco dell’Università di Pisa annuncia la scoperta di un nuovo documento sul poeta Bonagiunta Orbicciani da Lucca. Il ritrovamento verrà presentato per la prima volta al pubblico da Elisa Orsi (Università di Pisa) e Federico Lucignano (ricercatore indipendente) giovedì 8 maggio 2025 in occasione dell’evento “Dagli archivi alla storia della letteratura: novità su Lucca e i suoi poeti al tempo di Dante”, un pomeriggio di studi aperto alla cittadinanza e alle scuole del territorio che ha l’obiettivo di mostrare concretamente in cosa consiste la ricerca in ambito storico e letterario.

Conservato presso l’Archivio di Stato di Lucca, l’atto accerta che nel 1274 il rimatore era ancora in vita, con un guadagno di ben diciassette anni per la biografia del poeta lucchese. La cronologia di Bonagiunta, che Dante nel canto XXIV del Purgatorio sceglie come interlocutore per formulare la celebre definizione di «dolce stil novo», viene riscritta da questo importante ritrovamento con significative ricadute sotto il profilo letterario: Bonagiunta ci appare oggi, anche da un punto di vista biografico, un vero e proprio anticipatore dello Stilnovo fiorentino, aprendo così la strada a una nuova interpretazione complessiva del passo della Commedia di cui è protagonista.

La scoperta è il primo significativo risultato del progetto promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, Poeti nella Lucca del Duecento. Primi scavi per una nuova valorizzazione di identità ed eredità della cultura cittadina prima di Dante, che indaga il patrimonio dell’Archivio di Stato e dell’Archivio Storico Diocesano di Lucca. Grazie a un innovativo approccio interdisciplinare, il progetto mira a realizzare la prima ricostruzione complessiva del panorama poetico della Lucca del Duecento, tracciando un profilo storico-letterario, sociale e familiare dei suoi protagonisti, a partire dall’importante figura di Bonagiunta. Al focus sui poeti del Duecento lucchese, nel corso dell’evento, si affiancherà un approfondimento sugli studiosi locali che di Dante si sono occupati, per valorizzare appieno la vivacità culturale e l’importanza di Lucca per gli studi su Dante e sul Medioevo.

Parteciperanno all’incontro Alberto Casadei, professore ordinario di Letteratura italiana (Università di Pisa) e direttore di LIDUP, Federico Lucignano, ricercatore indipendente, Elisa Orsi, assegnista di ricerca in Letteratura italiana (Università di Pisa) e coordinatrice del Gruppo di lavoro LIDUP di Lucca e provincia, Margherita Paoli, docente di Lettere (I.S.I. Barga), Alma Poloni, professoressa associata di Storia medievale (Università di Pisa).

L’incontro è organizzato dal gruppo LIDUP di Lucca e provincia col sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca. In collaborazione con: Accademia Lucchese di Lettere, Scienze e Arti, Archivio di Stato di Lucca, Archivio Storico Diocesano di Lucca, Associazione Amici di Enrico Pea e Società Dante Alighieri Lucca.

L’evento sarà trasmesso in streaming sul canale YouTube dell’Associazione Amici di Enrico Pea (https://www.youtube.com/@associazioneamicidienricopea).

Dagli archivi alla storia della letteratura novità su Lucca e i suoi poeti al tempo di Dante Locandina 8 maggio 2025
la locandina dell’evento nel quale si annuncia la scoperta del nuovo documento sul poeta Bonagiunta Orbicciani, ancora in vita nel 1274

Testo e immagine dall’Ufficio Stampa dell’Università di Pisa.

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Graziano Fiore – Poeta gentile: un libro per far rivivere https://www.classicult.it/graziano-fiore-poeta-gentile-un-libro-per-far-rivivere/ https://www.classicult.it/graziano-fiore-poeta-gentile-un-libro-per-far-rivivere/?noamp=mobile#comments Thu, 10 Apr 2025 09:15:15 +0000 https://www.classicult.it/?p=300517 Graziano Fiore, poeta gentile, volume a cura di Paolo Comentale, conta ventidue componimenti, è arricchito da un commento critico e storiografico, documenti e fotografie

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Un libro per far rivivere: Graziano Fiore – Poeta gentile, volume a cura di Paolo Comentale

la copertina del volume Graziano Fiore - Poeta gentile, a cura di Paolo Comentale, pubblicato da Edizioni Radici Future. Foto di Francesco Saverio Mongelli
la copertina del volume Graziano Fiore – Poeta gentile, a cura di Paolo Comentale, pubblicato da Edizioni Radici Future. Foto di Francesco Saverio Mongelli

«Io non sono un poeta. Io non sono che un piccolo fanciullo che piange»,

scriveva Sergio Corazzini all’alba del Novecento. Risulta naturale associare questi versi alla giovane morte, soprattutto se a perire è qualcuno che ha scritto anche delle poesie.

È il caso di Graziano Fiore, nato ad Altamura, nel barese, il 17 marzo 1925 e morto il 28 luglio 1943 durante l’eccidio di Bari, noto anche come la strage di via Niccolò dell’Arca, nel quale venti persone furono uccise con colpi di arma da fuoco dai soldati fascisti, nel corso di una manifestazione pacifica. Quell’evento è raccontato nel libro La Bellezza e il Coraggio (Edizioni di Pagina, 2022) di Paolo Comentale, autore e interprete di spettacoli teatrali per ragazzi, ma anche di romanzi e articoli giornalistici.

Ora lo scrittore barese è in libreria in veste di curatore del volume Graziano Fiore – Poeta gentile, pubblicato da Edizioni Radici Future in collaborazione con il Consiglio Regionale della Puglia. L’occasione è quella di presentare, per la prima volta, le poesie che il figlio più piccolo dell’umanista, meridionalista e antifascista Tommaso Fiore scrisse da maggio a luglio del 1943.

Il volume, oltre al corpus poetico, che conta ventidue componimenti, è arricchito da un commento critico e storiografico e da alcuni documenti e fotografie provenienti dall’Archivio storico dell’Istituto pugliese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea (IPSAIC) con l’autorizzazione della famiglia Fiore.

la copertina del volume Graziano Fiore - Poeta gentile, a cura di Paolo Comentale, pubblicato da Edizioni Radici Future. Foto di Francesco Saverio Mongelli
la copertina del volume Graziano Fiore – Poeta gentile, a cura di Paolo Comentale, pubblicato da Edizioni Radici Future. Foto di Francesco Saverio Mongelli

Lo sguardo del giovane Graziano volge alla natura, spesso spietata perché ride di fronte al suo dolore interiore ma da cui egli cerca ascolto.

«O spietato bosco, / non io cercava / infrangerti, / ma solo posarmi / solitario / sul tuo silenzioso corpo, / soffuso / di quel dolce incanto» (p. 64).

Non mancano le richieste alla luna, i richiami del tramonto, della sera e della notte, metafore di oscurità e paura.

Un sentimento di profonda tristezza, in fondo comprensibile, emerge nei versi iniziali di Cruda prigione:

«Dura prigion tien chiuso / il suo libero andare / per via giusta percorsa» (p. 80),

ricordando il periodo in carcere, l’anno prima, a soli diciassette anni, età in cui i giovani dovrebbero fiorire.

Quell’infelicità di fondo è possibile riscontrarla anche in Trapasso, una lirica che conserva versi dai caratteri nostalgici:

«Riviver giorni felici, / quando i dolori / le sofferenze / di mia prima età / non s’accalcavano / in questo animo / turbato, / che solo / deve soffrire / per vivere» (p. 72).

Le poesie di Graziano Fiore echeggiano nell’aria come una carezza madida di lacrime. I suoi versi, pregni di sofferenza ma anche di speranza, sono una testimonianza storica inestimabile ed è un bene che siano stati portati alla luce.

la copertina del volume Graziano Fiore - Poeta gentile, a cura di Paolo Comentale, pubblicato da Edizioni Radici Future. Foto di Francesco Saverio Mongelli
la copertina del volume Graziano Fiore – Poeta gentile, a cura di Paolo Comentale, pubblicato da Edizioni Radici Future. Foto di Francesco Saverio Mongelli

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Premio Strega Poesia 2025 – terza edizione: i dodici libri candidati https://www.classicult.it/premio-strega-poesia-2025-terza-edizione-i-dodici-libri-candidati/ https://www.classicult.it/premio-strega-poesia-2025-terza-edizione-i-dodici-libri-candidati/?noamp=mobile#respond Fri, 21 Mar 2025 19:28:13 +0000 https://www.classicult.it/?p=297436 Premio Strega Poesia 2025: i dodici libri candidati dai 170 i libri che hanno partecipato alla prima fase di selezione della terza edizione

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Premio Strega Poesia 2025 – terza edizione: i dodici libri candidati

Premio Strega Poesia 2025 - terza edizione dozzina

Roma, 21 marzo 2025. Sono 170 i libri che hanno partecipato alla prima fase di selezione del Premio Strega Poesia, giunto quest’anno alla terza edizione. Tra questi, il Comitato scientifico del Premio – composto da Maria Grazia Calandrone, Andrea Cortellessa, Mario Desiati, Elisa Donzelli, Roberto Galaverni, Vivian Lamarque, Melania G. Mazzucco, Patricia Peterle, Stefano Petrocchi, Laura Pugno, Antonio Riccardi e Gian Mario Villalta – ha scelto le dodici opere che accedono alla selezione della cinquina finalista.

Questa la dozzina:

  • Prisca AgustoniL’animale estremo, Interno Poesia Editore.
  • Elisa BiaginiL’intravisto, Einaudi.
  • Marco CorsiNel dopo, Guanda.
  • Maurizio CucchiLa scatola onirica, Mondadori.
  • Claudio DamianiRinascita, Fazi.
  • Roberto DeidierQuest’anno il lupo fissa negli occhi l’uomo, Molesini.
  • Alfonso GuidaDiario di un autodidatta, Guanda.
  • Antonio Francesco Perozzion land, Prufrock.
  • Giancarlo PontiggiaLa materia del contendere, Garzanti.
  • Jonida PriftiSorelle di confine, Marco Saya.
  • Marilena RendaCinema Persefone, Arcipelago Itaca.
  • Tiziano RossiIl brusìo, Einaudi.

Le autrici e gli autori candidati sono stati annunciati oggi, in occasione della Giornata Mondiale della Poesia, a Book Pride, Fiera nazionale dell’editoria indipendente, alla presenza dei componenti del Comitato scientifico Andrea CortellessaVivian LamarqueStefano Petrocchi e Laura Pugno.

«Per il terzo anno il Premio Strega schiera a cimento anche i poeti» ha dichiarato Andrea Cortellessa. «A queste dispute loro sono abituati, e a dispetto delle apparenze non sono affatto tipi teneri. Per parte nostra, prima di goderci lo spettacolo dagli spalti, siamo in grado di gettare, sul campo, uno sguardo panoramico. E per la prima volta intravediamo qualcosa come una querelle des anciennes et des modernes, o più semplicemente una faglia generazionale. A una pattuglia di maestri riconosciuti, ma dal proprio status tutt’altro che rasserenati, si contrappone un drappello di voci nuove, o semi-tali, dalla proverbiale, fisiologica combattività. In palio, come sempre, il governo della lingua.»

«Nella dozzina di quest’anno» ha aggiunto Laura Pugno, «si possono identificare una serie di temi forti, tra questi il rapporto forte con la letterarietà e una nuova sensibilità nei confronti del paesaggio. È una poesia che non rinuncia a giocare la sua partita e che si mostra consapevole delle questioni che agitano il nostro tempo, lette sempre attraverso lo specifico del mezzo poetico. Una poesia che dialoga con altre lingue e altri mondi, sia perché ne viene vivificata dall’interno, sia perché il processo di scrittura si svolge in un altrove linguistico o geografico rispetto a qualsiasi centro sia percepito come tale».

La dozzina sarà presente con un reading dai libri in gara il prossimo 8 aprile 2025, a Roma, alla XVIII edizione di Ritratti di Poesia.

L’annuncio della cinquina finalista si terrà il prossimo 7 maggio al MAXXI L’Aquila. Un’ampia giuria composta da personalità della cultura determinerà quindi l’opera vincitrice. Il premio verrà assegnato l’8 ottobre, alla Casa dell’Architettura di Roma presso il complesso monumentale dell’Acquario Romano.

L’elenco completo dei titoli proposti alla terza edizione è disponibile on line: https://www.premiostrega.it/PO/

Il Premio Strega Poesia è promosso da Fondazione Maria e Goffredo Bellonci Strega Alberti Benevento, in collaborazione con BPER Banca Tirreno Power, media partner RAI, sponsor tecnici Librerie Feltrinelli SYGLA.

 

Testi e immagini dall’Ufficio Stampa Fondazione Maria e Goffredo Bellonci

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Morto il professor Anthony Leonard Johnson: il ricordo dell’Università di Pisa https://www.classicult.it/morto-il-professor-anthony-leonard-johnson-il-ricordo-delluniversita-di-pisa/ https://www.classicult.it/morto-il-professor-anthony-leonard-johnson-il-ricordo-delluniversita-di-pisa/?noamp=mobile#respond Mon, 17 Feb 2025 21:45:11 +0000 https://www.classicult.it/?p=294359 Morto il professor Anthony Leonard Johnson: il ricordo dell'Università di Pisa, del Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica

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Ateneo in lutto per la scomparsa del professor Anthony Leonard Johnson, a lungo docente di Letteratura inglese all’Università di Pisa

Il ricordo del professore nelle parole dei colleghi del Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica

 

Domenica 16 febbraio è venuto a mancare il professor Anthony Leonard Johnson, a lungo ordinario di Letteratura inglese all’Università di Pisa. Nato a Londra nel 1939, dopo un periodo all’Università di Firenze, si è trasferito nell’Ateneo pisano nel 1983, dove ha assunto la cattedra di Lingua e Letteratura inglese presso la Facoltà di Lettere e Filosofia. È stato vicedirettore del Dipartimento di Anglistica dal 2003 al 2006. Era in pensione dal 2010.

Qui di seguito pubblichiamo un ricordo del professore a firma dei colleghi del Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica.

*****

Domenica 16 febbraio ci ha lasciati Anthony Leonard Johnson, già professore ordinario di Letteratura inglese all’Università di Pisa. Stimato collega, brillante studioso, docente amato dai suoi allievi, ha consacrato la vita allo studio delle lettere indagando, con passione e ineguagliabile sottigliezza analitica, le intricate trame fonosimboliche, anagrammatiche e semiologiche della parola poetica in ambito anglofono.

Tra i suoi numerosi studi, caratterizzati da una sempre cristallina visione analitica e un rigore metodologico senza pari, spiccano le opere su Yeats (The Verbal Art of W.B.Yeats; i commenti alle edizioni delle opere yeatsiane tradotte da Marianni; il titanico lavoro fatto per i Meridiani, con Boitani e Marianni), e i saggi su Eliot (Sign and Structure in the Poetry of EliotRhapsody: tre studi su una lirica di T.S. Eliot, con Pagnini e Serpieri, e molti altri).

Oltre a Shakespeare, ha indagato l’opera poetica di Keats, curando anche il volume per il bicentenario, insieme a Christensen (The Challenge of Keats: Bicentenary Essays, 1795-1995), e una splendida collettanea sull’esilio romantico di Shelley e Byron a Pisa (Paradise of Exiles. Shelley and Byron in Pisa), in collaborazione con l’altrettanto amato e compianto Mario Curreli.

Non tutti ricordano che Anthony L. Johnson è stato anche un giovane poeta di vibrante sensibilità. Tra le sue raccolte in versi, spicca Marigolds, Stilts, Solitudes: selected poems, 1956-1984, un insieme di liriche nelle quali l’attenzione al suono della parola, resa memorabile dalla ritmica del verso, è intessuta di immagini e simboli di vitalistica bellezza ed eterna sapienza archetipica, a riprova di quanto la grande competenza del saggista adulto sia sempre andata di pari passo con la raffinata eleganza del poeta.

Il Direttore e i colleghi del Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica, gli amici e allievi tutti lo salutano con affetto e gratitudine.

Once out of nature I shall never take

My bodily form from any natural thing,

But such a form as Grecian goldsmiths make

Of hammered gold and gold enamelling

(Sailing to Byzantium, di William B. Yeats).

Il commiato è previsto martedì 18, alle ore 15, presso la Pubblica Assistenza di via Bargagna.

Il cortile del Palazzo della Sapienza dell'Università degli Studi di Pisa. Foto di Antonio D'Agnelli, in pubblico dominio
Il cortile del Palazzo della Sapienza dell’Università degli Studi di Pisa. Foto di Antonio D’Agnelli, in pubblico dominio

Testo dall’Ufficio Stampa dell’Università di Pisa.

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Poesia e sopravvivenza: il mondo di Alda Merini https://www.classicult.it/poesia-e-sopravvivenza-il-mondo-di-alda-merini/ https://www.classicult.it/poesia-e-sopravvivenza-il-mondo-di-alda-merini/?noamp=mobile#respond Mon, 20 Jan 2025 09:12:29 +0000 https://www.classicult.it/?p=291100 Il rapporto di Alda Merini con la poesia è totalizzante e viscerale. È attraverso i versi che si apre al mondo, con un’espressione immediata e diretta

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Poesia e sopravvivenza: il mondo di Alda Merini

‘Sono nata il ventuno a primavera

ma non sapevo che nascere folle,

aprire le zolle

potesse scatenar tempesta.

Così Proserpina lieve

vede piovere sulle erbe,

 sui grossi frumenti gentili

e piange sempre la sera.

Forse è la sua preghiera’>

Nasce il 21 marzo 1931, in una casa milanese, Alda Merini, sintetizzando in parole quello che sarà il suo percorso di vita, divisa tra la poesia e la realtà. Emarginata prima, esaltata poi la sua vita è stata un continuo oscillare tra il rifiuto e l’accettazione di una società che faticava a comprendere la sua eccentricità creativa. Forse converrebbe iniziare proprio da qui, dalla sua eccentricità, richiamando all’immagine di un’artista sempre “diversa”, quasi alienata e sregolata ma, al tempo stesso, straordinaria. In lei, la poesia e la follia sono una trappola rischiosa, un binomio che vive sempre come una promessa indispensabile a sé stessa e alla sua sopravvivenza. Ce lo confermerà anche Giorgio Manganelli nella prefazione scritta per L’Altra Verità, Diario di una diversa:

“Grazie alla parola, chi ha scritto queste pagine non è mai stata sopraffatta, ed anzi non è mai stata esclusa dal colloquio con ciò che apparentemente è muto e sordo e cieco; la vocazione salvifica della parola fa sì che il deforme sia, insieme, sé stesso e la più mite, indifesa e inattaccabile perfezione della forma. Solo angeli e dèmoni parlano lo stesso linguaggio, da sempre.”[2]

il libro di Alda Merini, L’Altra Verità, Diario di una diversa, edito da Rizzoli, BUR contemporanea (2007). Foto di Cristina Stabile

Vita e poesia si fondono in Merini in un’armonia profonda e indivisibile, come un filo invisibile che unisce ogni esperienza, persino quella delle mura del manicomio, in una continua difesa della sua identità, salvaguardata e riaffermata solo attraverso l’atto poetico. Per Merini, la poesia non è una scelta, ma una forza che la travolge:

“Io la poesia non l’ho cercata, è arrivata. Mi ha invasa, mi ha posseduta e io non l’ho abortita. La poesia non è un passatempo. Scrive perché è obbligato, il poeta. Se non scrive, muore. Ma a volte muore anche quando scrive, perché nei versi c’è un infinito dolore. Grazie alla poesia ho conosciuto l’universo anche senza comprenderlo, però l’ho catturato.”[3]

Foto di Cristina Stabile

Il rapporto di Merini con la poesia è totalizzante e viscerale. È attraverso i versi che si apre al mondo, con un’espressione immediata e diretta, non mediata da elaborati processi interiori. Di sé stessa conosce una verità unica e fondamentale: è una poetessa, e in lei la poesia “accade” come un destino ineluttabile, un dono che non si può rifiutare.

“La poesia è una delle tante manifestazioni della vita. È un modo di parlare… è un modo di mascherarsi. Può essere una dignità che non si ha… il poeta deve parlare, deve prendere questa materia incandescente che è la vita di tutti i giorni e farne oro colato. La poesia educa il cuore, la poesia fa la vita… Sono felice di potere dichiarare a tutti che il peccato è scivolato su di me come l’acqua sulla pietra del fiume. La pietra è sempre nel letto, apparentemente muta ma levigata e liscia, ed è intoccabile sia dalla pioggia che dal vento. E soprattutto, la pietra del fiume, come la poesia, non potrà mai morire.”[4]

Per Merini, la poesia è una forma di vita e una resistenza che si nutre dell’esistenza stessa, trasformando il dolore in bellezza e rendendo eterna una voce che persiste, imperturbabile, nel flusso della vita. Diventa un qualcosa che nasce da una sofferenza indicibile, una dolorosa mescolanza di esperienze come le sedute di elettroshock, la somministrazione di psicofarmaci, episodi di violenza domestica e un rapporto complesso e conflittuale con la madre, cui attribuiva molti dei suoi turbamenti e che rappresentava, agli occhi della poetessa, il rigido mondo borghese e fascista.

Alda Merini poesia
Foto di Cristina Stabile

Questo spirito indomabile trova piena espressione nei suoi scritti, in particolare in L’altra verità. Diario di una diversa, dove Merini ci offre una testimonianza diretta della vita nel manicomio, fornendo una visione cruda dell’Italia degli anni Settanta. Questo era un periodo in cui l’internamento era ancora una realtà comune, prima che la legge 180 del 1978, la cosiddetta “legge Basaglia”, imponesse la chiusura definitiva degli ospedali psichiatrici. Pino Roveredo, scrittore e operatore sociale di Trieste, ha descritto così l’ambiente dei manicomi:

“Io, come la signora Merini, il manicomio l’ho conosciuto, vissuto, subito, ed era un manicomio con le mura alte, i portoni pesanti, le bastonate delle infermiere, i farmaci potenti come un martello, e con tutte le infamità di chi esercita un “mestiere” e potere, scordandosi il cuore fuori dalla coscienza.”[5]

Le parole di Roveredo rispecchiano la realtà umiliante e brutale che Merini racconta nel Diario. Tra le pagine più toccanti del Diario, emerge la descrizione dell’attività del bagno, momento di mortificazione del corpo, particolarmente per le pazienti donne.

“Al principio del ’65 quando ancora le leggi erano molto restrittive, ai malati era consentito così poco che nemmeno gli si dava la libertà nel lavarsi. […] Allora si ricorreva ad un mezzo coercitivo. Venivamo tutti allineati davanti a un lavello comune, denudati e lavati da pesanti infermiere che ci facevano poi asciugare in un lenzuolo eguale per capienza a un sudario, e per giunta lercio e puzzolente. Alle più vecchie facevano tremare le flaccide carni e così, nude come erano, facevano veramente ribrezzo. La prima volta che dovetti sottostare a questa rigida disciplina svenni, e per lo schifo, e perché ero così indebolita dalla degenza che non mi reggevo più in piedi. […] Si veniva fuori da quello strano inferno già stordite, con la riprova che la nostra demenza rimaneva un fatto inspiegabile e che non avrebbe avuto nessuna verità razionale. Poi ci allineavano su delle pancacce sordide, accanto a dei finestroni enormi, e lì stavamo a guardare per terra come delle colpevoli, ammazzate dalla indifferenza, senza una parola, un sorriso, un dialogo qualunque.”[6]

Poche pagine più avanti, la Merini terrà a sottolineare che nell’ambito degli istituti psichiatrici, la struttura del Paolo Pini era considerata un fiore all’occhiello proprio per lo svolgimento del momento dell’igiene. Tuttavia, ciò che più le preme è mettere in luce la condizione umiliante a cui i malati venivano sottoposti.

“Provi a piangere con le mani come i reclusi alle grate dei manicomi.”[7]

È questa una delle tante frasi sentenziose – quasi lapidarie – che ci lascia la poetessa, ritraendo in parole povere l’umiliante realtà degli ospedali psichiatrici, dove le grate determinano un confine tra che non ha suono né lacrime. I malati sono solo mani appese che manifestano un dolore disperato e isolato rinchiuso tra le mura del manicomio. Questo mondo, rinchiuso e distante dalla realtà esterna, ha negato ai pazienti il diritto di dignità che la società contemporanea, col tempo, avrebbe cominciato a riconoscere loro, grazie al progresso della scienza psichiatrica e soprattutto alla legge 180 del 1978, la “legge Basaglia”, ispirata dal lavoro di Franco Basaglia e approvata nel 1978, che segnò una svolta epocale per la psichiatria italiana: essa chiuse definitivamente i manicomi e favorì il reinserimento sociale dei pazienti psichiatrici, riconoscendo il loro valore umano e il diritto alla dignità. Tuttavia, per Merini, il manicomio divenne anche il luogo in cui la sua voce trovò espressione e che restituisce alla carta la sua testimonianza e fa della parola il mezzo più efficace di comunicazione.

Foto di Cristina Stabile

Ricoverata per la prima volta nel 1964, a seguito di gravi crisi successive alla morte della madre e alle incomprensioni coniugali, Merini si trovò improvvisamente intrappolata in un labirinto dal quale avrebbe fatto molta fatica ad uscire. Per lei, il manicomio fu al contempo luogo di sofferenza e ispirazione, capace di alimentare quella vocazione poetica che considerava un dono ineluttabile e indomabile.

“Fui quindi internata a mia insaputa, e io nemmeno sapevo dell’esistenza degli ospedali psichiatrici perché non li avevo mai veduti, ma quando mi ci trovai nel mezzo credo che impazzii sul momento stesso in quanto mi resi conto di essere entrata in un labirinto dal quale avrei fatto molta fatica ad uscire. Improvvisamente, come nelle favole, tutti i parenti scomparvero. La sera vennero abbassate le sbarre di protezione si produsse un caos infernale.”[8]

il libro di Alda Merini, L’Altra Verità, Diario di una diversa, edito da Rizzoli, BUR contemporanea (2007). Foto di Cristina Stabile

Fin dalla tenera età, le sue inclinazioni caratteriali la portavano ad una strana tendenza all’isolamento e una spiccata sensibilità e provare un ambiguo sentimento verso la figura materna a cui attribuisce tutti i suoi disturbi successivi. In adolescenza, l’indole singolare della Merini la porta a eventi patologici gravi: soffrirà di anoressia alla quale seguirà una forma di cecità isterica. Al termine della quale darà vita al progetto di La presenza di Orfeo.

Quello che vediamo nel Diario è una descrizione a posteriori che l’autrice fa delle sue turbolenze interiori sempre presenti, anche se declinate in forme diverse. All’epoca dell’internamento, la Merini aveva circa 34 anni, un marito, due figlie e quattro raccolte poetiche già pubblicate. Condotta all’interno del Paolo Pini, manicomio appena fuori il centro di Milano, veniamo a conoscenza di uno stato di totale confusione in cui cade la poetessa e che diventa una forte crisi nervosa scaturita dall’internamento stesso: nel nuovo ambiente è impaurita dai rumori intorno a lei, dalle urla degli altri pazienti, dall’oscurità e dalla severità con cui i malati vengono trattati. Dopotutto, gli istituti manicomiali italiani, fino agli anni Settanta, erano istituzioni totali che limitavano gravemente i diritti e le libertà dei pazienti, privandoli di un’esistenza dignitosa. La Merini ci riporta un’umanità costretta a perdere il proprio senso di dignità.

“Nel centro del giardino c’era anche un’altra appendice dell’ospedale: il ricovero delle cavie. Dove si facevano continue ricerche sul cervello umano. Io mi sono addentrata in quel posto poche volte, quanto basta per provarne un orrore incredibile. Bestie lobotomizzate, castrate e, dappertutto, un senso di innaturale forza malvagia, ridotta al massimo della sua violenza. Certe bestie, sotto i veleni delle medicine, avevano perso del tutto la loro identità.”[9]

Foto di Cristina Stabile

Tra le condizioni inumane vissute dai pazienti, Alda vive l’esperienza che la salverà dal manicomio: la terapia con il dotto G, un freudiano puro che inizia con lei un percorso terapeutico indagando nella sua infanzia, cercando di capire elementi che possano spiegare la sua stessa follia.

“Insomma, forse non scriverò nulla di nuovo, forse questi sono luoghi triti, ma sono convinta, serenamente convinta, che se non fosse stato per la psicoanalisi, io in quel luogo orrendo ci sarei morta.”[10]

Foto di Cristina Stabile

In definitiva, non è raro, difatti, che la Merini soffra di alterazioni comportamentali e affettive. Ci sono punti in cui la stessa poetessa cerca di minimizzare il suo status patologico e altri in cui chiarisce la gravità del suo malessere.

“In tutto, comunque, feci ventiquattro ricoveri perché molti furono i tentativi di dimettermi e di farmi tornare nel mondo dei vivi. Di fatto, quando venivo dimessa reggevo bene per qualche giorno; poi tornavo a immelanconirmi, a non mangiare più e ad essere tormentata nel sonno, e non riuscivo a procacciarmi anche le più piccole necessità, di modo che dovevo essere nuovamente ricoverata. D’altra parte, non sentivo alcun legame affettivo col mondo di fuori e non mi dispiaceva nemmeno di lasciare la mia casa. E se qualche volta pensavo ai miei figli, lo facevo come se fossero distanti non so quanto dal mio pensiero.”[11]

Nonostante le mura bestiali, il silenzio in connubio con la natura e brevi attimi di lucidità, la donna riesce a innamorarsi di Pierre. È una storia che dura a lungo, contornata da un affetto tenero e sincero, a tratti strano considerato l’ambiente in cui vivono, che si conclude con la deportazione dell’uomo, ritenuto inguaribile. Ancora più particolari sono due eventi straordinari e importantissimi: due gravidanze in cui concepisce Barbara nel 1968 e Simona nel 1972.  

Alda Merini poesia
Foto di Cristina Stabile

È soprattutto il desiderio e la necessità di raccontarsi che spingono la Merini a scrivere un’opera come questa in cui emerge un lato della scrittrice puro, complesso, a tratti nevrotico.

“Il Diario è un libro che ha il tono di grazie di una forza poetica che è cara solo a chi ha dovuto pagare una posta troppo alta per vivere.”[12]

L’opera si configura come qualcosa di molto più di un semplice diario ma diventa una testimonianza potente e sofferta di un percorso fatto di dolori e rinascite. L’autrice ci regala un’istantanea cruda e autentica dell’esperienza manicomiale, svelando al mondo un lato intimo e profondo della sua anima. La sua scrittura conserva intatta tutta la sua forza poetica diventando una pietra miliare nella letteratura italiana. Contribuisce a demistificare temi considerati ancora oggi tabù, ricordandoci l’importanza di ascoltare la voce di chi spesso è emarginato. Risuona ancora attuale la sua straordinaria riflessione sulla condizione umana, sulla fragilità dell’animo. Nel suo Diario, Alda Merini ha saputo dare voce a ciò che spesso rimane inespresso, regalandoci una testimonianza intensa, capace di lasciare un segno indelebile nella storia della letteratura.

Alda Merini. Foto di Giuliano Grittini, CC BY-SA 3.0
Alda Merini. Foto di Giuliano Grittini [1], CC BY-SA 3.0
Si ringrazia per i consigli Valerio Manippa.

 

Note:

[1] Alda Merini, Vuoto d’amore, in Alda Merini. Il suono dell’ombra. Poesie e prose 1953-2009, a cura di Ambrogio Borsani, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, collana La rosa, 2010, p. 353.

[2] Giorgio Manganelli, Prefazione in Alda Merini, L’Altra Verità, Diario di una diversa, Bur Rizzoli, Milano, 2007, p. 11.

[3] Massimo Cotto, Tu chiedimi chi era Alda, Sette Corriere della Sera, 17/10/2005, https://www.corriere.it/sette/17_ottobre_05/tu-chiedimi-chi-era-alda-merini-7c2e25c0-a775-11e7-8b29-3c19760df94c.shtml

[4] Alda Merini, La pazza della porta accanto, Bompiani, Milano 1995, pp. 72-75.

[5] Pino Roveredo, in Prefazione al volume di Riccardo Redivo, Alda Merini. Dall’orfismo alla canzone. Il percorso poetico (1947-2009), Asterios Editore, Trieste, 2009, p. 11.

[6] Alda Merini, L’Altra Verità, Diario di una diversa, Bur Rizzoli, Milano, 2007, pp. 36-37.

[7] Luisella Veroli, Alda Merini. Ridevamo come matte, Milano, Melusine, 2011, p. 71.

[8] Alda Merini, L’Altra Verità, Diario di una diversa, Bur Rizzoli, Milano, 2007, p. 14.

[9] Ivi, p.28.

[10] Ivi, p. 30.

[11] Ivi, p. 58-59.

[12] Ivi, p. 139.

il libro di Alda Merini, L’Altra Verità, Diario di una diversa, edito da Rizzoli, BUR contemporanea (2007). Foto di Cristina Stabile

BIBLIOGRAFIA:

Alda Merini, L’Altra Verità, Diario di una diversa, Bur Rizzoli, Milano, 2007, pp. 36-37.

Alda Merini, La pazza della porta accanto, Bompiani, Milano 1995, pp. 72-75.

Alda Merini, Vuoto d’amore, in Alda Merini. Il suono dell’ombra. Poesie e prose 1953-2009, a cura di Ambrogio Borsani, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, collana La rosa, 2010, p. 353.

Giorgio Manganelli, Prefazione in Alda Merini, L’Altra Verità, Diario di una diversa, Bur Rizzoli, Milano, 2007, p. 11.

Luisella Veroli, Alda Merini. Ridevamo come matte, Milano, Melusine, 2011, p. 71.

Massimo Cotto, Tu chiedimi chi era Alda, Sette Corriere della Sera, 17/10/2005, https://www.corriere.it/sette/17_ottobre_05/tu-chiedimi-chi-era-alda-merini-7c2e25c0-a775-11e7-8b29-3c19760df94c.shtml

Pino Roveredo, in Prefazione al volume di Riccardo Redivo, Alda Merini. Dall’orfismo alla canzone. Il percorso poetico (1947-2009), Asterios Editore, Trieste, 2009, p. 11.

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Rosario Castellanos: una voce ancora attuale https://www.classicult.it/rosario-castellanos-una-voce-ancora-attuale/ https://www.classicult.it/rosario-castellanos-una-voce-ancora-attuale/?noamp=mobile#respond Wed, 08 Jan 2025 07:31:51 +0000 https://www.classicult.it/?p=289809 Rosario Castellanos (1925-1974), una delle più importanti voci femministe della letteratura latinoamericana, ha esplorato in modo profondo le dinamiche di violenza e oppressione di genere

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Rosario Castellanos: una voce ancora attuale contro la cultura maschilista
una breve introduzione all’opera di questa scrittrice

la copertina del libro «Poesía no eres tú», di Rosario Castellanos, Editorial Joaquín Mortiz (1972). Foto di Yuleisy Cruz Lezcano
la copertina del libro «Poesía no eres tú», di Rosario Castellanos, Editorial Joaquín Mortiz (1972). Foto di Yuleisy Cruz Lezcano

Rosario Castellanos (1925-1974), una delle più importanti voci femministe della letteratura latinoamericana, ha esplorato in modo profondo le dinamiche di violenza e oppressione di genere, anticipando con la sua riflessione molte delle problematiche che oggi sono al centro del dibattito sociale e politico. La scrittura di Castellanos è un atto di denuncia contro il patriarcato, la discriminazione razziale e la marginalizzazione delle donne nella cultura messicana. La sua opera è scritta con il dolore. La sua vita, infatti, è molto affascinante, ma piena di contrasti, come le sue poesie.

Al momento, poche opere di Rosario Castellanos hanno ricevuto traduzioni in italiano, e per leggerle bisogna farlo, il più delle volte, in lingua originale, in spagnolo. 

L’autrice, nata a Città del Messico, trascorse la sua infanzia a Comitán, Chiapas, in una famiglia benestante, figlia di proprietari terrieri. In età precoce conobbe le ingiustizie che impedivano il progresso del popolo indigeno, una comprensione, che insieme alle sue ambizioni intellettuali, era da considerarsi impropria per una donna della sua epoca. Questo la fece sentire non integrata dal punto di vista sociale. Basta pensare che alla morte dei suoi genitori, diventò lei stessa unica erede e proprietaria delle terre, che decise di donare agli indigeni di Chiapas. Nel 1950 Rosario conseguì la laurea in Filosofia all’Università del Messico, poi studiò Estetica e Stilistica all’Università di Madrid. In seguito tornò in Messico, dove lavorò come insegnante.

Nel 1958 si sposò con il filosofo Ricardo Guerra. Il matrimonio però non fu dei più felici. Suo marito segnò la sua vita con molteplici infedeltà e il dolore provocò in lei crisi depressive, che dovette curare con trattamenti, farmaci e psicoanalisi. Poi dopo anni di sopportazione, nonostante fosse indipendente economicamente, prese la decisione di divorziare.

Rosario morì a Tel Aviv nel 1974, dove si trovava per rivestire l’incarico di ambasciatrice dal 1971, per un incidente domestico. Le voci sui suoi tentativi di suicidio e le speculazioni riguardo alla sua morte continuano ad alimentare la fantasia.

L’opera di Rosario Castellanos

La condizione femminile all’interno delle opere di questa autrice è trattata in modo pioneristico, perché si avvicina alla situazione delle donne messicane, alla loro posizione di inferiorità e di essere oppresse, nonostante l’autrice rifiuti il vittimismo. La sua posizione rivendica la necessità di finirla con l’autocompiacimento femminile di lamentarsi e propone alle donne di responsabilizzarsi, con la propria vita, portando avanti il pensiero che la maggiore differenza che esiste tra uomini e donne non è radicato o non deriva dalla biologia o da un’incapacità congenita, ma da un modo diverso di canalizzare le energie e lo spirito. Nella cultura messicana dell’epoca, per gli uomini, la produzione di cultura era la via per raggiungere la trascendenza, mentre la maternità lo era per le donne.

Rosario Castellanos scrive molto sulle donne, sulle loro emozioni, su come vivono l’amore, il matrimonio, la maternità, la solitudine… non solo fotografando la reale condizione della donna nella società messicana, ma trattando temi politici e rappresentando in modo anche ironico una serie di personaggi femminili. La donna, infatti, è presente nei vari generi che coltivò, in una forma o in un’altra. Per esempio, nei suoi racconti raccolti in tre volumi, «Ciudad Real» (Città reale, 1960), «Los convidados de agosto» (Gli invitati di agosto, 1964) e «Album de familia» (Album di famiglia, 1971), così come nei suoi romanzi «Balun-Canán» (1957) e «Oficio de tinieblas» (Ufficio di tenebre, 1962), Castellanos affronta la condizione femminile con una lucidità straordinaria, risaltando non solo le difficoltà individuali delle donne, ma anche il contesto sociale, culturale ed economico che le rende vulnerabili alla violenza, il loro inserimento in un sistema patriarcale.

È forse però nella saggistica che mette di più in evidenza argomenti riguardo alla donna e il suo inserimento in un sistema tradizionale di relazioni sociali. Il lettore non può non notare il grande numero di articoli e saggi suoi che trattano la donna nel suo ruolo nella storia, come scrittrice o semplicemente come spettatrice di un mondo messicano dominato dall’uomo. Per Castellanos, la violenza contro le donne non è solo un fatto individuale, ma una manifestazione di un sistema di potere che perpetua l’ingiustizia sociale. Le sue opere sono una riflessione sull’identità femminile e sul modo in cui la violenza di genere è connaturata alla struttura stessa della società.

La scrittrice, consapevole della sua posizione dentro una società che stava cambiando, con determinazione affrontò l’emarginazione femminile. Infatti, nel titolo di una collezione di saggi pubblicati postumi, nel 1979, già si annuncia il contenuto e si focalizza il tema trattato. Il titolo del libro «Mujer que sabe latín» (Donna che conosce il latino, 1973) già ci fa pensare. Infatti, Rosario combatte l’emarginazione con le armi dell’ingegno e dell’ironia.

In questo libro si parla di scrittrici di tutto il mondo, alcune più conosciute di altre: Clarice Lispector (in cui parla del libro «La Passione secondo GH»), Natalia Ginzburg, Flannery O´Connor, Eudora Welty, Isac Dinesen, Virginia Woolf, Lillian Hellman, Mary Mcarthy, Simone Weil, Doris Lessing, Silvina Ocampo. Altre, meno note, come Penélope Gilliat, Mercedes Rodoreda, Maria Luisa Bombal, Violette Leduc, Ulalume González. In definitiva, è un libro che necessita di essere letto, un libro che è stato necessario per me quando ho pensato di scrivere il mio ultimo libro «Di un’altra voce sarà la paura», pubblicato nel 2024 da Leonida Edizioni, che in questo momento sta accendendo il dibattito sulla violenza contro le donne, il trauma da stupro e le varie fragilità. Rosario parla, tra tante cose, anche del carnefice, della vittima. Inoltre, questo libro parla della sua vocazione per la scrittura.

Di un’altra voce sarà la paura: un inno alla vita e al coraggio

Esiste un detto popolare, usato spesso dalla comunità ispanica: “Mujer que sabe Latín no tiene marido ni buen fin” (“Donna che sa il latino non ha marito né fa una buona fine”). Sembra quasi che il nostro destino, nascendo donne, sia già tracciato: dobbiamo procurarci la bellezza fisica, così da incontrare marito o un compagno, dedicarci ad essere mogli e madri che si sacrificano per gli altri. Null’altro. Educarsi, leggere, pensare criticamente non sono altro che ostacoli lungo quel cammino rilucente che comporta che noi siamo state create per diventare perfette donne che accudiscono la famiglia e si preoccupano della propria. Sono anni che si mettono in discussione questi concetti, che chiamerei stereotipi.

In questa serie di meravigliosi micro saggi contenuti nel suo libro postumo, Rosario Castellanos esplora la ribellione femminile di fronte a questa imposizione ancestrale, analizzando 24 scrittrici. Non approfondisce le circostanze di ciascuna, non è necessario, poiché tutte condividono un tratto unificante: il trionfo della vocazione di queste donne, di fronte a un mondo che metteva loro contro tutto per contrastarle come artiste. La saggista si concentra sui particolari prodigi di ciascuna di loro: il cristianesimo incarnato di Simone Weil, l’intuizione gioiosa ed erudita di Virginia Woolf, la lucidità speranzosa di Flannery O’Connor, la rigorosa intellettualità di Susan Sontag. La descrizione di queste autrici diviene un piacere che si moltiplica, dopo avere letto anche la prosa e l’umorismo di Castellanos, che ci illustra nuovi modi di leggere autrici famose e meno famose.

È ammirevole la Castellanos poeta, consiglio caldamente di leggere La anunciación (La Annunciazione) o Misterios gozosos (Misteri Gaudiosi) per misurare l’enorme poeta che è stata; In Castellanos saggista però, si può scoprire oltre che la stessa profondità, piena di ironia e umorismo, la sua capacità di tradurre numerose autrici, tramite una visione e una lettura approfondita.

Secondo la stessa Castellanos, la sua poesia è composta da tre fili:

“L’umorismo, la meditazione seria, il contatto con le radici carnali e storiche. E il tutto è immerso nella luce livida della morte, che rende ogni cosa memorabile.1

Leggere scrittrici straordinarie come Castellanos, che portano ad altri scrittori straordinari, provoca in me un tipo di emozione molto particolare. Un incoraggiamento, chiamiamolo così, a continuare a scrivere perché nel seguire la propria vocazione sta la libertà. Un paragrafo come un mantra: Il significato della parola è il suo destinatario, l’altro che ascolta, che capisce e che, quando risponde, trasforma il suo interlocutore in colui che ascolta e in colui che comprende, stabilendo così il rapporto di dialogo che solo

“è possibile tra coloro che si considerano e si trattano da pari a pari ed è fruttuoso solo tra coloro che vogliono essere liberi”2.

Questa citazione si inserisce nel contesto più ampio del saggio in cui l’autrice riflette sulle dinamiche di potere, disuguaglianza e le possibilità di cambiamento nella società.

 

La Annunciazione

I

Perché sin dall’inizio eri destinato a me.

Prima dell’età del grano e dell’allodola

e ancor prima di quella del pesce.

Quando Dio non aveva altro che orizzonti

D’azzurro illimitato e l’universo

era solo una volontà inespressa.

Quando tutto giaceva nel grembo

divino, mescolato e confuso,

giacevamo tu e io, nella totalità, insieme.

Perché davanti a te che sei fatto di neve

e di candidi velli e petali,

devo essere come un’arca e come un tempio:

unta e fervente,

elevata in incenso e campane.

Perché saresti venuto a rompermi le ossa,

le mie ossa, al tuo annuncio, si sono rotte.

…”

I versi selezionati dalla poesia La Anunciación”3, come si può notare, sono figli della poesia visuale che crea immagini. Il suo passaggio dal concreto verso l’astratto apre nuove prospettive, in cui gli oggetti e le cose dell’intorno, della vita quotidiana diventano, e si vede, un motivo per cercare significati, adatti ad integrare la sua propria visione del mondo. Nella poesia precedente si può cogliere l’esperienza di vita dell’autrice.
A prima vista, questo potrebbe sembrare una sorta di esplorazione o di esposizione di natura autobiografica, sicuramente la poesia per eccellenza ha molti elementi autobiografici, ma anche se molte delle poesie della Castellanos sembrano parlarci di lei stessa, attraverso una varietà di immagini, la poesia precedente ha aspetti universali e ci fa pensare, per esempio, alla madre che attende anelante l’arrivo del suo primo figlio.

Nella poesia La Anunciación leggiamo anche:

“… Perché tu lo abiti, vorrei darti

un mondo illuminato di zefiri, allori,

alghe fosforescenti, litorali senza termini,

grotte di muschio fine e cieli di colombe.

… “

Questo ultimo passaggio racchiude il desiderio di preparare il meglio di sé per un arrivo, dopo tutto quello che si smette di essere e nelle varie premonizioni delle perdite, dovute a una diseguaglianza sociale, in un modello di sudditanza e sottomissione, si dona la libertà “con un cielo di colombe”.

La poesia La Anunciación di Rosario Castellanos è stata pubblicata nel libro «Poesía no eres tú» nel 1972, edito dalla casa editrice Editorial Joaquín Mortiz. Questo libro raccoglie una parte significativa della sua produzione poetica. Rosario Castellanos è una delle poetesse più importanti della letteratura messicana, e La Anunciación è un esempio del suo impegno verso temi come la condizione della donna e la riflessione sociale.

Esiste ed è visibile in tutta l’opera di Rosario Castellanos, una certa intertestualità, cioè una relazione dei suoi testi con i testi di altri autori: si può cogliere ad esempio l’influenza di Gabriela Mistral. Non ci sono dubbi che quando un autore crea, porta con sé un carico di letture, concetti e immagini acquisite previamente, che si vedono riflesse nelle sue parole.

Anche la morte è una costante nella poesia di questa autrice, ed è la forza che spinge molti dei suoi versi. La certezza della mortalità è presente, come una sentenza, in alcuni versi della poesia Falsa Elegía4, che inizia con:

Condividiamo solo un disastro lento.

Mi vedo morire in te, in un altro, in tutto

e ancora sbadiglio e mi distraggo

come prima di uno spettacolo noioso.

Si schiariscono i giorni

le notti si consumano prima di accorgerci

è così che finiamo

…”

Nonostante il titolo Amanecer5, che può corrispondere in italiano All’alba, Al sorgere del sole, nella poesia di Rosario Castellanos, alla morte vengono riservati gli spazi più importanti, i dubbi, che accompagnano l’incertezza universale dell’essere umano, nessuno sa dove sarà, cosa farà, penserà o non penserà all’ora di morire.

Cosa si fa all’ora di morire? Si volta la faccia verso il muro?

Si prende dalle spalle a chi è vicino e ascolta?

Si mette uno a correre come quello che ha

i vestiti che vanno a fuoco, per raggiungere la fine?

… “

Questi versi fanno pensare a una postura esistenzialista, nella quale esiste una consapevole lucidità della fugacità dell’essere umano. L’autrice crea un’atmosfera di thanatos, che continua a sviluppare nei seguenti versi della stessa poesia:

Quale è il rito di questa cerimonia?

Chi viglia l’agonia? Chi stira il lenzuolo?

Chi allontana lo specchio senza macchia?

… “

Anche la poesia Presencia6 (Presenza) inizia con versi simili:

Un giorno lo saprò. Questo corpo che è stato

mi abita, la mia prigione, è la mia tomba

…”

La morte è qui un elemento che si ripete più volte, e sembra una morte vissuta sin dalla radice della vita, sin dalla nascita.

Un altro esempio di questa affermazione è la poesia Muro de lamentaciones7 (Muro di lamenti):

“… Perché i bimbi sorgono da ventri come bare

E nel petto materno si nutrono di veleni.

… “

Poi si ripete ancora una volta il tempo fragile e fugace dell’essere umano con i seguenti versi della stessa poesia:

“… Perché il fiore è breve e il tempo interminabile

e la terra un cadavere trasformandosi

e lo spavento la maschera perfetta del nulla.

… “

Le metafore e le immagini diventano un pungiglione che cattura l’attenzione del lettore, mentre si sommerge nell’idea dell’agonia chiara descritta dalla Castellanos. La sua poesia segnata dai paradossi e dalle tragedie, racchiudono dettagli autobiografici e riflessioni autentiche sulla morte, sul vuoto, sulla consistenza labile del corpo e sulla solitudine.

Per esempio nella poesia El otro8 (L’altro) si può cogliere l’esasperazione della solitudine, in cui i versi parlano chiaramente del fastidio che dà la vicinanza di quell’altro non ideale o immaginario o astratto, ma quell’altro con chi ci si incontra, che esiste nella maniera più prossima, ma del quale spesso non ci accorgiamo, ci disturba. Pensando a questi versi, un lettore attento potrebbe chiedersi perché sia necessario ribadire che l’essere umano è un essere di relazioni, se poi nella sua presunta autosufficienza, crede di non avere bisogno di nessuno.

“… Guardati intorno: c’è un altro. Sempre c’è un altro.

Quello che lui respira è ciò che ti soffoca

quello che mangia è la tua fame.

Muore con la metà più pura della tua morte.”

Con la poesia Trayectoria del polvo9 (Traiettoria del polvo), i metri predominanti sono l’endecasillabo, l’ettasillabo e l’alessandrino. I versi descrivono il processo di creazione di un “io” che a volte si integra con elementi della natura, altre volte si rivolge a un tu indefinito. I versi di questa poesia alludono al vuoto, alla distruzione e alla perdita della forma.

Mi sono staccata dal sole (era il viscere

perpetuo della vita)

e sono rimasta lo stesso che la nube

sospesa nel vuoto.

…”

L’autrice in queste poesie usa un linguaggio artistico e sarcastico per mostrare come le figure del pensiero contrastano con il corpo vivo. Nonostante questo la presenza della morte nella poesia di questa autrice è sinonimo di calma, non di disperazione, una sorta di sedativo davanti all’incertezza della vita in cui frequentemente si soffre.

la copertina del libro «Poesía no eres tú», di Rosario Castellanos, Editorial Joaquín Mortiz (1972). Foto di Yuleisy Cruz Lezcano
la copertina del libro «Poesía no eres tú», di Rosario Castellanos, Editorial Joaquín Mortiz (1972). Foto di Yuleisy Cruz Lezcano

Le traduzioni delle poesie citate sono a cura di Yuleisy Cruz Lezcano.

 

Riferimenti bibliografici:

«Poesía no eres tú», di Rosario Castellanos, Editorial Joaquín Mortiz (1972)

«La mujer que sabe latín» di Rosario Castellanos, Segreteria de Educación Pública (1973)

«Entrevistas», a cura di Adelaida García Morales, Siglo XXI Editores (1988)

«Feminize Your Canon: Rosario Castellanos», di Emma Garman (17 settembre 2018), link: https://www.theparisreview.org/blog/2018/09/17/feminize-your-canon-rosario-castellanos/

«Rosario Castellanos, la feminista que da nombre a nueva universidad en México», di Héctor Román, El Sol de Zacatecas (2 dicembre 2024), link: https://oem.com.mx/elsoldezacatecas/cultura/rosario-castellanos-la-feminista-que-da-nombre-a-nueva-universidad-en-mexico-18433162

«The Communicative Functions of Language in Balún Canán», di Ruth Ward, Hispania, vol. 93, no. 2, 2010, pp. 198–207, JSTOR, link: http://www.jstor.org/stable/25703431

 

Note:

1 Rosario Castellanos descrive i “tre fili” che compongono la sua poesia in una riflessione che la stessa autrice ha condiviso in un’intervista, contenuta nel libro «Entrevistas», a cura di Adelaida García Morales, casa editrice Siglo XXI Editores, 1988.

2 «La mujer que sabe latín» di Rosario Castellanos, 1973, edito da Segreteria de Educación Pública, pag. 43.

3 «Poesía no eres tú», di Rosario Castellanos, 1972, edito dalla casa editrice Editorial Joaquín Mortiz, Sezione DE LA VIGILIA ESTÉRIL, pagg. 34-36.

4 Ibidem, pag. 116.

5 Ibidem, Sezione LÍVIDA LUZ, pag. 186.

6 Ibidem, pag. 191.

7 Ibidem, pag. 48.

8 Ibidem, pag. 116.

9 Ibidem, pagg. 19-25.

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