La “straniante” Teoria della prosa di Victor Šklovskij

Cinquant’anni dopo aver scritto un suo saggio celebre, dal titolo L’arte come procedimento, a Victor Šklovskij l’Einaudi chiese di scrivere una prefazione. Un compito arduo per questo critico e scrittore russo, che aveva pubblicato il saggio proprio quando, nel 1917, sarebbe scoppiata la rivoluzione, per l’appunto russa. Quello che il critico mette in evidenzia di questa prefazione – che ora possiamo leggere grazie alla Quodlibet, proprio perché ha deciso di pubblicare Teoria della prosa, all’interno del quale si trovava il celebre saggio prima citato – è che sapeva bene che di lì a poco sarebbe scoppiata la rivoluzione.

Foto di Adele Porzia
la copertina della Teoria della prosa di Viktor Šklovskij, edita da Quodlibet (2025) nella collana Saggi. Foto di Adele Porzia

E non solo lui, ma anche gli intellettuali futuristi Majakovskij e Chlebnikov sapevano che presto avrebbe soffiato il vento del cambiamento. “Eravamo in attesa di rivoluzioni e sovvertimenti – scrive il critico nella prefazione – di sovvertimenti cui avremmo preso parte di persona. Non volevamo rappresentare, percepire il mondo, ma capirlo e cambiarlo. Come, però, non sapevamo” (V. Šklovskij, Teoria della prosa, Quodlibet, Macerata 2025, p.11).

E l’arte, soprattutto la poesia e la pittura di quel periodo, era come se si sottomettesse docilmente a questo bisogno di cambiamento e, attraverso di essa, gli artisti sovvertivano tutte le regole che si erano codificate nel corso dei secoli e scoprivano con loro grande sorpresa che anche gli scrittori del passato erano divenuti grandi perché avevano tentato di sovvertire le regole dello scrivere.

E fu proprio in questo clima di forti trasformazioni, in cui si ripensava l’arte e la società, che Victor Šklovskij formulò la teoria dello straniamento. Una teoria giovanile, quindi, che però all’epoca rivoluzionaria e che per certi versi lo è ancora oggi, perché svela il segreto ultimo della scrittura da romanzo. Ci aiuta a capire perché uno scrittore come Tolstoj ci emoziona tanto, così come Dostoevskij, Dante o Alfieri.

E che cos’è questa teoria dello straniamento? Non è facile spiegarla a parole, perciò citerò direttamente Šklovskij, nella traduzione di Cesare G. de Michelis e Renzo Oliva. Per spiegare questa teoria è giusto partire da un assioma “l’arte è pensiero che si attua per mezzo di immagini” (p.34). Le immagini sono in grado di spiegare un concetto anche a chi non ha chiaro cosa significhi oppure lo rende ancora più chiaro a chi l’ha compreso. “L’arte – ci spiega Šklovskij più avanti – è fatta di simboli” (p.35) ed è grazie ai simboli o alle immagini che attraversa i secoli e rende familiari dei concetti all’uomo del Rinascimento come alla donna di oggi.

Foto di Adele Porzia
Foto di Adele Porzia

Nella vita di tutti i giorni si verifica un certo fenomeno, che prende il nome di “automatizzazione”. Cioè noi, a furia di vedere un oggetto, a furia di toccarlo e averci a che fare, finiamo col darlo per scontato. E questo discorso non riguarda solo le cose di cui ci attorniamo e che usiamo, ma potrebbe riguardare anche le persone. Nostro fratello o un cugino o un vicino. Persone che vediamo ogni giorno e che hanno perso quell’alone di unicità che potevano aver avuto la prima volta. Ci appaiono come imballate. Ricoperte di una patina, che ci impedisce di metterle a fuoco, di vederle. E l’arte, secondo Šklovskij, rende visibile ciò che abbiamo sotto gli occhi, contrastando la nostra comune tendenza all’automatizzazione. E questo proprio grazie alla tecnica dello straniamento.

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la copertina della Teoria della prosa di Viktor Šklovskij, edita da Quodlibet (2025) nella collana Saggi. Foto di Adele Porzia

Lo scrittore, insomma, si strania dall’oggetto d’uso comune e ce lo presenta in un modo del tutto diverso. E Šklovskij, a dimostrazione della sua teoria, cita in particolare un articolo di Tolstoj, che si intitola Vergogna. Qui lo scrittore fa riferimento alla pratica della fustigazione, che era comune alla sua epoca, e che veniva adoperata sia con gli schiavi della gleba, sia con chiunque avesse commesso un crimine. Eppure, Tolstoj non si limita a nominare la fustigazione, bensì la mostra e in questo modo ne rivela tutta la crudeltà e la disumanità:

“[…] denudare, gettare al suolo e battere con le verghe sulla schiena chi ha infranto le leggi, […] scudisciare sulle natiche denudate» (p.41).

La pratica della fustigazione viene, così, presentata come nuova agli occhi dei suoi lettori. Gli scrittori, quindi, mostrando, boicottano l’indifferenza, costringono il lettore a guardare in faccia la realtà e le immagini che si celano dietro alla terminologia.

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la copertina della Teoria della prosa di Viktor Šklovskij, edita da Quodlibet (2025) nella collana Saggi. Foto di Adele Porzia

E questa teoria non è che una delle tante che Šklovskij riporta nel suo libro. Parla di intreccio, di poesia, dei procedimenti di composizione della storia e mostra una conoscenza vastissima della letteratura. È questa, forse, la cosa più stupefacente della Teoria della prosa: che Šklovskij, nonostante la giovane età che aveva mentre si dedicava a questa lunga serie di saggi, avesse già una conoscenza enciclopedica della letteratura.

Non solo conosce a menadito la letteratura inglese e americana, francese e russa, tedesca e spagnola, ma ha letto Menandro, il romanzo greco, Cervantes. Conosce alla perfezione Ovidio e Boccaccio, ed è proprio grazie a questo se riesce a compiere analisi tanto approfondite e così sorprendenti. A distanza di anni (l’intera opera è stata pubblicata era il 1925) i suoi saggi sorprendono per l’attualità e fanno domandare al lettore cosa mai scriverebbe adesso Šklovskij, della nostra letteratura, come della nostra società. Perché è impossibile riflettere su quello che scriviamo, senza sapere chi siamo. Questo libro è un bellissimo regalo fatto a tanti lettori.

la copertina della Teoria della prosa di Viktor Šklovskij, edita da Quodlibet (2025) nella collana Saggi
la copertina della Teoria della prosa di Viktor Šklovskij, edita da Quodlibet (2025) nella collana Saggi, con prefazione dell’autore e un saggio di Jan Mukařovský, postfazione di Cesare G. de Michelis, Traduzione di Cesare G. de Michelis e Renzo Oliva

Il libro recensito è stato cortesemente fornito dalla casa editrice.

Nata a Bitonto nel ’94, ha studiato Lettere Classiche e Filologia Classica. Nel 2021 si è laureata in Scienze dello Spettacolo. Giornalista Pubblicista, collabora con più testate online. Attualmente frequenta il master in Critica Giornalistica alla Silvio D’Amico. I suoi interessi e studi riguardano la letteratura, il cinema e il teatro.

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