Vittorio Del Tufo, giornalista e scrittore, con Il caso Virgilio firma un romanzo capace di restituire al lettore la magia del mistero. È un romanzo-inchiesta che intreccia realtà e finzione, cronaca e leggenda, affondando le radici nei segreti di Napoli e nel fascino della storia antica. Un libro che mi ha catturato dalla prima all’ultima pagina: non leggevo qualcosa di così avvincente, intrigante e avvolto dal mistero dai tempi dei grandi gialli archeologici di Valerio Massimo Manfredi, come Chimaira, L’oracolo o Il faraone delle sabbie.

Senza svelare troppo della trama, il romanzo ruota attorno all’enigma di Viriglio, una vicenda che si dipana tra antichità e contemporaneità, passando attraverso documenti, reperti, intrighi e personaggi che sembrano vivere su più livelli temporali. È una storia che mette insieme figure come Virgilio e Ottaviano Augusto, l’ombra dei nazisti, i segreti della massoneria, fino a restituire un intreccio dal respiro internazionale.
Lo stile di Del Tufo porta con sé la sua esperienza di giornalista: asciutto, serrato, capace di imprimere al racconto il ritmo della cronaca. Ogni pagina scorre rapida, ma senza rinunciare a dettagli e sfumature che aumentano la suspense e alimentano la curiosità. L’atmosfera è sospesa, a metà strada tra l’indagine giornalistica e il romanzo storico, con quel senso costante di qualcosa di nascosto che aspetta di essere rivelato. Uno dei grandi meriti del libro è la sua capacità di muoversi sul confine tra verità e invenzione: ciò che sembra pura fantasia spesso affonda in una realtà documentata, e viceversa.

È la cifra dei migliori gialli storici e archeologici, ma qui declinata con un rigore e un’abilità che ricordano anche il giornalismo narrativo. Altro tema centrale è la memoria storica: il romanzo ci ricorda che l’Italia è un Paese stratificato, fatto di epoche sovrapposte e di segreti mai del tutto svelati. In questo senso, Napoli diventa il teatro perfetto: una città che è insieme mito e bellezza, luogo di ombre e leggende. Non è un caso che Del Tufo scelga la Napoli degli anni ’70, anni affascinanti e drammatici, segnati dal colera, e che inserisca ambientazioni uniche come la Gaiola, tanto suggestiva quanto inquietante per le sue leggende di maledizioni.
Ciò che mi ha colpito maggiormente è proprio questa fusione: Del Tufo riesce a far collimare elementi lontanissimi – Virgilio e Augusto, la massoneria, i nazisti, le cronache nere – e a trasformarli in un mosaico coerente, senza mai perdere di vista il ritmo narrativo. Ho apprezzato anche la scrittura: diretta, ritmata, mai dispersiva. Da lettore appassionato di gialli, thriller storici e romanzi d’avventura, posso dire che in pochi altri autori ho trovato questa capacità di unire tensione narrativa e profondità storica. È una qualità che, a tratti, mi ha ricordato i romanzi di Marco Buticchi, soprattutto per la capacità di intrecciare epoche diverse in un’unica trama avvincente.
Consiglierei Il caso Viriglio a chiunque ami i gialli archeologici, i romanzi storici e più in generale le letture che non si limitano a intrattenere, ma lasciano anche qualcosa su cui riflettere. Il caso Viriglio non è solo un romanzo d’inchiesta, né solo un giallo: è un viaggio nella memoria, un’avventura intellettuale che riconsegna dignità a un genere spesso bistrattato. Per chi cerca il brivido dell’enigma, la suggestione della storia e il fascino di Napoli con i suoi chiaroscuri, questo libro è una lettura imprescindibile. Vittorio Del Tufo firma un’opera che intrattiene, sorprende e fa riflettere: un raro esempio di narrativa capace di unire suspense, cultura e passione per il mistero.
