Leonardo i volti del genio

Mattoni e pietra. Angoli e feritoie. In mezzo a Torino la cittadella pare una piccola navicella spaziale, spiazzante come un’installazione contemporanea. Fuori luogo.

Un elegante quartiere tardo-ottocentesco, una manciata di edifici razionalisti hanno pian pian circondato quello che rimane della previdente belligeranza sabauda. Che pensa prima a difendere la città che a costruirsi una residenza quando, sul finire del Cinquecento, fa di Torino appena strappata ai francesi la nuova capitale del ducato.

Bravi con le armi, bravi con i matrimoni: per questo saranno ricordati i Savoia. E se lo sfarzo dei legami internazionali ha modellato la città di epoca barocca, la virtù militare è stata abilmente nascosta, come le macchine di scena in teatro. Poter di nuovo visitare il mastio tardo-cinquecentesco, dopo anni di chiusura, ci lascia ritrovare una bellezza che viene dal saper fare, dal pragmatismo e dalla passione per la conoscenza, una bellezza che ancora oggi fa parte della cultura torinese e che sarebbe piaciuta tanto a Leonardo.

Sono passati tondi tondi cinquecento anni dalla morte di questa strana figura di intellettuale, tanto insolita e sfuggente che ancora cerchiamo di indagarlo, capirlo, definirlo. Dargli una faccia.

Solo che dargli una faccia è terribilmente difficile. Così come interpretare la fascinazione che oggi le sue opere producono e qualificare il suo lavoro. Ci prova per l’ennesima volta l’esposizione aperta al Mastio della Cittadella a partire da sabato scorso e fino a maggio 2020.

Un percorso singolare, che ereditiamo da Madrid e che ha l’indubbia qualità di raccontare tanto del pubblico di Leonardo, più che dell’artista stesso.

L’intenzione dichiarata dal curatore è quella di indagare l’uomo, oltre il “genio”. Eppure la parola incriminata è quella che ricorre ossessivamente in tutta il percorso. E, se mi permettete, è quella che mi sforzerò di evitare.

L’esperienza che viene offerta sfugge a facili categorizzazioni: una mostra? Non direi. Oggetti o testimonianze originali sono davvero scarsi, eccezion fatta per un certo numero di buone edizioni storiche di testi su Leonardo.

Piuttosto si tratta di un enorme apparato didattico senza opere. Pannelli, gigantografie, riproduzioni di macchine raccontano la carriera di Leonardo.

Una specie di manuale di scuola superiore attraverso cui passeggiare. Nulla di sgradevole o di drasticamente sbagliato. Ma nulla di più.

Senza considerare che nulla di quanto affermato viene approfondito, contestualizzato o problematizzato. Perché capire l’approccio di Leonardo alla scienza, alle macchine, alla pittura, e la relazione che era in grado di stabilire tra tutte queste cose, richiederebbe ben più di un paio di pannelli didattici. Ma per il “grande pubblico”, soprattutto fuori dall’Italia, queste informazioni paiono essere meno scontate di quanto si possa pensare. E se il mistero di Leonardo stesse tutto qui? Nel fatto che di lui si sa poco, persino di quello che si sa già?

Per fortuna l’allestimento della cittadella offre tanto spazio, che verrà animato da un susseguirsi di iniziative; nella serata inaugurale un acrobata si esibisce in un numero dentro il cerchio, omaggio all’uomo vitruviano (e perfetta dimostrazione che l’invenzione leonardesca è pura astrazione, dal momento che l’acrobata per tutto il tempo tiene le ginocchia piegate). Se questo contorno didattico è solo un preambolo per contestualizzare eventi e performance, beh, potrebbe funzionare.

Come potrebbe funzionare la domanda intorno a cui ruota la seconda parte dell’esposizione: che faccia aveva Leonardo?

Sembra una domanda frivola? Insomma, forse, vediamo. Certo è curioso che davvero non sappiamo che faccia avesse. Lo ipotizziamo; abbiamo indizi per farlo. Il Platone che Raffaello raffigura nelle Stanze Vaticane ha la faccia di Leonardo? Vasari gli attribuisce “straordinaria bellezza fisica”, ma così è un po’ vago.

Il percorso ci guida alla scoperta dei tipi iconografici attraverso cui il passato ci restituisce “il volto del genio”: tutti piuttosto simili tra loro, a onor del vero. Capelli lunghi da filosofo antico, aspetto curato e piacevole. Proprio come Leonardo avrebbe voluto lo immaginassimo.

Il volto di Leonardo sfugge, e noi che viviamo di selfie e auto-rappresentazioni non possiamo rassegnarci. Così ci entusiasmiamo e interroghiamo sulla star di questa mostra: la tavola lucana.

Leonardo i volti del genio

L’unico vero oggetto in esposizione è una tavoletta in legno su cui è dipinto un ritratto, che somiglia molto alla fisionomia che la tradizione attribuisce a Leonardo. Si tratta di una scoperta relativamente recente: individuata una decina d’anni fa in una collezione privata ad Acerenza, ha subito destato curiosità.

Ne sappiamo pochissimo: il legno su cui è dipinta può essere datato a cavallo tra Quattro e Cinquecento. Certo, seppur ben chiusa in un cubo di plexiglass, una cosa mi sentirei di affermarla con certezza: non si tratta di un autoritratto autografo di Leonardo. A me non parrebbe neppure un’opera cinquecentesca.
Pennellate pesanti e uniformi sono quanto di più lontano si possa immaginare dallo “sfumato” caratteristico della tecnica leonardesca. Citando Montanari “se scambiare il Cristo Gallino per un Michelangelo era come confondere un leone con un gatto, scambiare la tavola di Acerenza per un autoritratto di Leonardo equivale a prendere una bicicletta per una portaerei”.

Però ci si diverte: a pensare che ancora oggi non sappiamo rassegnarci a conoscere Leonardo dalle sue opere e non dal suo aspetto. A immaginare quanto bene Leonardo abbia costruito il mito di sé e del suo volto, tanto da farci credere quello che voleva lui, cinquecento anni più tardi.

Che faccia aveva Leonardo? Mi piace pensare che la faccia che gli abbiamo attribuito sia una sua opera, forse la più riuscita.

Leonardo i volti del genio

 

Le immagini contenute nell’articolo sono di Chiara Zoia e sono distribuite con licenza
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