Breve e tagliente il nuovo romanzo di Domenico Starnone, che con Destinazione errata si conferma maestro nell’arte di dissezionare la fragilità nevrotica della borghesia contemporanea. Ancora una volta, come già in romanzi memorabili quali Lacci e Confidenza, lo scrittore sceglie un pretesto narrativo all’apparenza banale, un equivoco, per far esplodere la crisi di un’intera esistenza, penetrando in modo chirurgico nella capacità – o meglio incapacità – dell’essere umano di prendere posizione di fronte al caos che egli stesso innesca involontariamente.

Il protagonista di Destinazione Errata è uno sceneggiatore quarantenne, sposato con la brillante e apparentemente perfetta Livia. Padre di tre figli, vive una vita che ritiene felice, o per lo meno stabile, almeno finché non si verifica l’equivoco. La miccia è un semplice messaggio d’amore, un «Ti amo» destinato a Livia a inviato per errore alla collega Claudia, con cui ha sempre avuto un rapporto esclusivamente professionale. Il malinteso potrebbe risolversi a questo punto in una risata, un aneddoto da raccontare, se non fosse per la risposta di Claudia, «Finalmente ti sei deciso. Ti amo anch’io», che mette tutto in discussione.
È da questo momento in poi che Starnone affonda senza remore il bisturi nelle contraddizioni umane. Il protagonista non è però un eroe tragico o un seduttore incallito; è piuttosto l’incarnazione della paranoia di chi più che vivere lascia che le cose accadano. Anche se non cerca il tradimento, si lascia inghiottire dalla dinamica surreale innescata dall’errore senza avere il coraggio di compiere il gesto apparentemente più naturale di tutti: raccontare la verità. La risposta della collega, anziché spaventarlo o spingerlo a una confessione immediata, innesca in lui un perverso desiderio di autosabotaggio.
Tutte scuse, naturalmente. Cercavo solo un buon motivo per non infilarmi con le mie stesse mani in una rete di verbi sostantivi aggettivi che, se non fossi riuscito a governare con fermezza, mi avrebbero imprigionato sempre piú. O forse no, è difficile capire cosa ci smuove realmente la testa. Di sicuro non avevo voglia di telefonare, ma intanto tenevo a portata di mano il telefono. Una telefonata di Claudia mi avrebbe certamente agitato e tuttavia mi sembrava un destino alla cui forza mi sarei piegato, alla fine, con piacere.”[1]

Starnone esplora così nient’altro che l’uomo di oggi: un individuo che ha costruito una vita intera su certezze fragili e che ora, di fronte a un’inattesa possibilità di deviazione, è paralizzato tra il desiderio di rimettersi in gioco, cedendo alle glorie adolescenziali di un tempo, e la viltà di affrontare le conseguenze.
E avvertii un fiammeggiante piacere nel rappresentarmi mentre sfregiavo la mia stessa immagine di marito e padre devoto, mentre minavo un rapporto appagante, mentre facevo venir giù tutto soltanto per un errore generatore di errori.”[2]
Proprio come un degno inetto, lui non sceglie niente, ma subisce l’errore come se fosse un destino, delegando al caso la responsabilità del suo futuro naufragio. L’incapacità di agire e di trovare il modo di correggere l’errore iniziale, pur avendo più volte l’opportunità di farlo, lo trascina così in una spirale di bugie, reticenze e tentativi maldestri di tenere insieme due realtà che si stanno inesorabilmente scontrando.
Eppure, con la sua inconfondibile prosa tesa e attenta, Starnone non emette mai giudizi morali, ma offre la nuda, autentica complessità di una crisi tutta umana. Il romanzo diventa così un’indagine sul ruolo del caso nelle scelte individuali e su quanto sia facile mandare all’aria un’esistenza apparentemente felice, se le fondamenta sono logorate da non detti e da una sottile insoddisfazione che neppure il protagonista è in grado di riconoscere chiaramente.
Temo soprattutto i gesti abitudinari, dissi, ti danno l’idea che sia tutto in ordine ma in effetti fanno da paraocchi, la casa brucia proprio quando ci pare di avere il controllo assoluto del fuoco.”[3]

Allora, la vera destinazione errata non è solo il messaggio, ma forse l’intera vita del protagonista, che si scopre un bugiardo appeso a un filo emotivo per il quale non ha mai veramente lottato. Starnone ci costringe a guardare non solo il traditore, ma l’uomo esitante, quello che si nasconde dietro la routine e che, quando il caos lo raggiunge, non sa fare altro che crollare sotto il peso dei propri pensieri alla deriva.
Destinazione errata è un romanzo che inquieta per la sua ambiguità, proprio come accade con Confidenza. È un ritratto sporco, ma vero della labilità dell’essere umano, della sua insicurezza cronica, della micidiale facilità con cui un niente può trasformare l’ordinario in disastro e con un finale a metà che può lasciare l’amaro in bocca al lettore disabituato alla cifra narrativa starnoniana, ma che farà sorridere il lettore navigato per il modo in cui, ancora una volta, Starnone non ha fatto altro che prendersi gioco di lui.

Note:
[1] Domenico Starnone, Destinazione errata, Einaudi 2025, p.13.
[2] Ivi, pp. 101-102.
[3] Ivi, p. 27.
Il libro recensito è stato cortesemente fornito dalla casa editrice.
