Dissolvenza, il nuovo racconto di Giorgia Tribuiani per Oligo editore
La collana “Ronzinante” di Oligo Editore, a cura di Marino Magliani, conta pochissimi titoli, tutti con una caratteristica in comune: rimangono attaccati alla pelle, sanno essere incisivi come bisturi, malinconici, nostalgici, con qualche nota di disperazione, rabbia e una punta di amarezza.
Non fa eccezione “Dissolvenza”, il nuovo lavoro di Tribuiani che, già famosa per una lingua schietta, precisa, tagliente, che gioca con l’ossessività delle voci e dei personaggi, riesce a inscenare in poche pagine uno dei primi drammi della vita umana: il passaggio, tutt’altro che innocente, dalla fine dell’infanzia a un’idea, illusoria e sfumata, di adolescenza o dell’età adulta.

“Dissolvenza” è ambientato ad Alba Adriatica, ed è il racconto della fine dell’estate, di quei tempi al confine tra realtà e sogno, quando tutti se ne stanno andando perché è finito il sollazzo delle vacanze, ma non chi ad Alba Adriatica ci è nato e ci cresce. Cosa rimane di loro, quando tutti gli altri tasselli volgono le spalle e tornano in città, in altri paesi, in altre storie in cui non ci sono più i giochi sulla sabbia e le confidenze nelle soffitte? “Dissolvenza” è la voce di Gaia, una bambina che vede partire il suo più grande amico Carlo, quel Carlo con cui ha il piano di scappare nel Posto, perché il divertimento non deve finire, è appena iniziato, hanno tutta la vita davanti e separarsi non è un’opzione, anche se devono crescere, veloci, sempre più veloci, come vuole il mondo, sebbene loro del mondo sappiano solo di voler andare al Posto. Ma alla fine che cos’è il Posto? Un luogo nel mondo in cui rifugiarsi, il cantiere di un hotel che nascerà l’estate prossima, e tra gru, cemento, mattoni – quella figura bestiale rappresentata con mano sapiente dalla stessa Tribuiani sulla copertina –, Gaia cerca un senso, ma il Posto, o il mondo, un senso ce l’ha? Forse la risposta è semplice, ma a lei, con occhi di bambina che non è più e di adulta che non è ancora, sfugge quella cosa che prima avrebbe saputo: la dolcezza del ricordo, il suono del mare nell’orecchio – quelle onde incessanti che lavano via le orme, le lacrime –, la voce della mamma che la chiama per tornare indietro e salutare.
In un nucleo di potenzialità espressiva al suo culmine, Tribuiani racconta del folgorante momento in cui tutte le soglie stanno per essere varcate, tutte le immaginazioni pensate. Quando la stanchezza della crescita e del tempo che passa, di quel cambiamento che è magico – umano e divino – , Gaia vuole solo tornare a casa. Per tutte le partenze, anche quelle che lei avrà nella vita, dopo Carlo, si spera ci sia un ritorno di conforto da qualche parte. Perché per trovare un Posto, il Proprio Posto, occorre scavare a terra e innalzare pinnacoli al cielo. Come cattedrali, l’importante è rimanere uniti: nella vita e nella mente.
